Può essere definita come il valore dell’output per unità di condizioni produttive (fattori di produzione) impiegate, misurabili con indicatori complessivi (valore aggiunto per addetto, fatturato per unità di capitale investito) o con indicatori più semplici riferiti a singole unità aziendali (reparto produttivo, unità di vendita). Con una analisi più disaggregata si va alla ricerca della produttività dei singoli fattori impiegati nel processo produttivo (materie, mano d’opera, macchine). Questi ultimi sono detti rendimenti e scaturiscono da rapporti tra quantità fisiche oppure tra quantità fisiche e monetarie. La produttività è stata oggetto di dibattito dai tempi di F. Taylor per l’impostazione troppo meccanica (concezione atomistica o meccanicistica) scaturente da una visione deterministica e non finalistica. Il dibattito è avvenuto in USA tra imprenditori, studiosi e enti sindacali nei primi decenni del 1900 e si è rinnovato in Giappone dopo l’introduzione della qualità totale per l’assenza di socialità nei rapporti di lavoro.
Il concetto di produttività si è arricchito di finalità ed è diventato una valore condivisibile da tutti. Il miglioramento continuo preconizzato dalla qualità totale (TQM) non è un criterio che consenta sicuramente di associare qualità a produttività. Salti di produttività si possono realizzare con la progettazione creativa e con la progettazione e riprogettazione dei processi (v. BPR).
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