Occhi marroni
un racconto di Enrico Carboni
Cominciò una sera di Febbraio. Le strade, stanche di un lungo inverno, accolsero la mia piccola auto, mentre percorrevo ancora una volta la breve via verso il nulla. Era ancora molto freddo, alcuni passanti infreddoliti osservavano annoiati il tranquillo via vai del traffico, mentre la notte avvolgeva gelida il piccolo paese nel quale vivevo da pochi anni. Alla mia destra, il mare triste e desolato aspettava ancora i giorni in cui le sue acque avrebbero accolto centinaia di corpi divertiti. Era già arrivato il fine settimana e, come spesso accadeva in quei giorni, riflettevo sullo scorrere veloce del tempo. La mia percezione era, in effetti, cambiata negli anni, come se dopo il liceo ci fosse stata una brusca accelerazione che rendeva i giorni brevi ma tristi. Gli anni della scuola, ai quali ripensavo a volte con affetto e malinconia, sembravano non finire mai, stretto tra il desiderio di crescere e l’incontenibile voglia di leggerezza; oggi il rimpianto sembra essere l’unico sentimento al quale aggrapparsi. L’inutilità dei gesti, ripetuti in eterno, sembrava aver abbattuto ogni velleità di rivolta di un ragazzo che, a vent’otto anni, non aveva più aspirazioni, sogni, illusioni. Io, che fino a poco tempo prima ero stato un sognatore tra i sognatori. Passato. Ora il mio presente ricordava una notte senza stelle. Amicizie smarrite in un bivio oscuro, amori mai esistiti, sogni infranti. Nemmeno il divertimento della notte, che fino a pochi mesi prima mi aveva fatto sentire almeno vivo, faceva ancora parte della mia vita.