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Candido ovvero L'ottimismo

Candido ovvero L'ottimismo

Racconto di Voltaire (pseudonimo di François Marie Arouet)
CAPITOLO I

Come Candido è allevato in un bel castello e come n'è cacciato via

Era nella Vesfalia, nel castello del baron di Thunder-ten-tronckh, un giovinetto che aveva avuto dalla natura i più dolci costumi. Se gli leggeva il cuore nel volto. Univa egli a un giudizio molto assestato una gran semplicità di cuore, per la qual cosa, cred’io, chiamavanlo Candido. I vecchi servitori di casa avean de' sospetti ch'ei fosse figliuolo della sorella del signor barone, e d'un buon gentiluomo e da bene di quel contorno, che questa signora non volle mai indursi a sposare perchè non aveva egli potuto provare più di settantun quarti di nobiltà, il resto del suo albero genealogico essendo perito per l’ingiuria de' tempi.
Era il signor barone uno de' più potenti signori della Vesfalia, perchè il suo castello aveva porta e finestre; e di più sala con arazzi. Tutti i cani de' suoi cortili componevano in caso di bisogno una muta di caccia; i suoi staffieri erano i suoi cacciatori, e il piovano del villaggio il suo grande elemosiniere. Gli davan tutti dell’Eccellenza, e ridevano quando contava delle novelle.
La signora baronessa, che pesava circa trecentocinquanta libbre, si attirava per questo un grandissimo riguardo, e faceva gli onori della casa con una dignità che la rendeva più rispettabile ancora. La di lei figlia Cunegonda, in età di diciassett'anni, era ben colorita, fresca, grassotta, da far gola. Il figlio del barone si mostrava tutto degno germe di suo padre. Il precettore Pangloss era l’oracolo di casa, e il giovanetto Candido ne ascoltava le lezioni con tutta la buona fede dell'età sua e del suo carattere.
Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmologo-nigologia. Provava egli a maraviglia che non si dà effetto senza causa, e che in questo mondo, l'ottimo dei possibili, il castello di S. E. il barone era il più bello de’ castelli, e Madama la migliore di tutte le baronesse possibili.
- È dimostrato, diceva egli, che le cose non posson essere altrimenti; perchè il tutto essendo fatto per un fine, tutto è necessariamente per l'ottimo fine. Osservate bene che il naso è fatto per portar gli occhiali, e così si portan gli occhiali; le gambe son fatte visibilmente per esser calzate, e noi abbiamo delle calze, le pietre son state formate per tagliarle e farne dei castelli, e così S. E. ha un bellissimo castello; il più grande de' baroni della provincia dev'essere il meglio alloggiato, e i majali essendo fatti per mangiarli, si mangia del porco tutto l'anno. Per conseguenza quelli che hanno avanzata la proposizione che tutto è bene; han detto una corbelleria, bisognava dire che tutto è l'ottimo.
Candido ascoltava tutto attentamente, e se lo credeva innocentemente; perch'ei trovava Cunegonda bella all'estremo, sebbene non avesse mai avuto l’ardire di dirlo a lei. Egli concludeva che dopo la fortuna di esser nato barone di Thunder-ten-tronckh, il secondo grado di felicità era d'esser Cunegonda, il terzo di vederla tutti i giorni, il quarto di ascoltare il precettore Pangloss, il più gran filosofo della provincia, e in conseguenza del mondo.
Un giorno Cunegonda, passeggiando presso il castello in un boschetto cui si dava il nome di parco, vide tramezzo alle fratte il dottor Pangloss che dava una lezione di fisica sperimentale alla cameriera di sua madre, vezzosa brunetta e docilissima. Cunegonda ritornossene tutta agitata e pensosa, pensando a Candido
L'incontrò ella nel ritornare al castello, e arrossì; Candido arrossì anch'egli; ella gli diede il buon giorno con una voce interrotta, e Candido le parlò senza saper quel ch'ei si dicesse. Il giorno dopo nell'escir da pranzo, Cunegonda e Candido si trovarono dietro a un paravento, Cunegonda si lasciò cascare il fazzoletto, Candido lo raccattò; ella gli prese innocentemente la mano, egli innocentemente baciolla, con una vivacità, con un trasporto, con una grazia particolarissima; le loro bocche s’incontrarono, i loro occhi inffiammaronsi, le lor ginocchia caddero, le mani si strinsero. Il signor barone di Thunder-ten-tronckh passò accanto al paravento, e vedendo questa causa e questo effetto, cacciò via Candido dal castello a pedate. Cunegonda svenne, fu schiaffeggiata dalla baronessa appena rinvenuta che fu, ed ogni cosa fu sottosopra nel più bello e nel più delizioso di tutti i castelli possibili.



CAPITOLO II

Quel che divenne Candido fra i Bulgari

Scacciato Candido dal paradiso terrestre, vagò lungo tempo senza saper dove, piangendo, alzando gli occhi al cielo, e spesso rivolgendogli al bellissimo fra' castelli che racchiudeva la bellissima delle baronessine. Si coricò senza cenare in mezzo a' campi fra due solchi, e la neve fioccava. Candido intirizzito dal freddo si strascinò il giorno dopo verso la città vicina che chiamavasi Waldberghoff-trarbk-dikdorff, senza un quattrino, morto di fame, e di stanchezza; si fermò pien di tristezza alla porta di un’osteria. Due uomini vestiti di turchino l'osservarono:
- Camerata, disse un di loro, ecco un giovanotto ben fatto, della statura che si vuole.
S’avanzarono verso Candido, e con tutta civiltà il pregarono a pranzar seco loro.
- Mi fan troppo onore, signori, disse lor Candido con una modestia che incantava, ma io non ho da pagar lo scotto.
- Eh signore, replicogli un di quegli, le persone della sua figura e del suo merito non pagan mai nulla; non è ella cinque piedi e cinque pollici d’altezza?
- Sì, signori, diss’egli, con una bella riverenza, questa è la mia statura.
- Ah signore, si metta a tavola: non solo noi la farem franco di spesa, ma non soffrirem mai che un par suo manchi di danaro. Gli uomini son fatti per soccorrersi scambievolmente l’un l'altro.
- Me l'ha sempre detto il signor Pangloss, riprese Candido; han ragione, ed io vedo chiaramente che tutto è per lo meglio.
Lo pregano di accettare qualche danaro, ei lo prende, e vuol farne l’obbligo; non se ne vuol saper nulla, e si mettono a tavola.
- Non amate voi teneramente?...
- Tenerissimamente io amo, diss'egli, la signora Cunegonda.
- Eh no, replicò un di loro, si chiede se voi amate teneramente il re de' Bulgari.
- Niente affatto, diss'egli, perchè non l’ho mal veduto.
- Come? questo e il più amabile di tutti i re, e s'ha da bere alla sua salute.
- Oh volentierissimo, signori miei; e beve.
- Tanto basta, gli dicono, eccovi l'appoggio, il sostegno, il difensore, e l'eroe dei Bulgari; ecco fatta la vostra fortuna, ecco stabilita la vostra gloria.
Immediatamente gli si mettono i ferri ai piedi, e lo si conduce al reggimento.
Si fa voltare a dritta e a sinistra, levar la bacchetta, rimetter la bacchetta, impostarsi tirare, raddoppiar le file, e gli si regalano trenta bastonate; il giorno dopo fa un po’ meno male l’esercizio, e non ne riceve che venti: l’altro giorno non ne ha che dieci, ed è da' suoi camerati riguardato come un prodigio.
Candido stupefatto non sapeva raccapezzare ancor bene, come egli fosse un eroe: s'avvisò in una bella giornata di primavera d'andarsene a passeggiare, marciando di fronte, piè innanzi piè, credendo essere un privilegio della specie umana, come della specie animale, il servirsi delle sue gambe a sua voglia. Non aveva fatto due leghe, che eccoti quattro eroi di sei piedi lo raggiungono, lo legano, e lo conducono in una prigione. Gli si domanda giuridicamente se avea più gusto di passare trentasei volte per le bacchette da tutto il reggimento, o di ricever tutt'a un tratto dodici palle di piombo nel cervello. Aveva un bel dire che le volontà son libere, ch’ei non voleva né l'uno né l'altro; bisognò risolversi a scegliere. In virtù di quel dono di Dio che chiamasi libertà, egli si determinò a passare trentasei volte per le bacchette, e se ne prese due spasseggiate. Il reggimento era composto di duemila uomini e questo gli compose sul fil delle rene quattromila frustate, che dalla nuca del collo per infino al bel di Roma gli scopersero ti muscoli e i nervi. S'era per procedere alla terza carriera, quando Candido non ne potendo più, domandò in grazia che volessero aver la bontà di moschettarlo. Egli ottenne questo favore; gli si bendano gli occhi, lo si fa mettere ginocchioni; il re de' Bulgari passa in quel momento, s'informa del delitto del paziente; e come questo re aveva grand'ingegno, comprese subito da ciò che intese da Candido, esser egli un giovine metafisico, molto ignorante delle cose di questo mondo, e accordogli la grazia con un tratto di clemenza che sarà celebrato da tutti i giornali, e da tutti i secoli. Un bravo chirurgo guarì Candido cogli emollienti insegnati da Dioscoride in tre settimane. Aveva egli rimessa un po’ di pelle, e poteva marciare, quando il re de’ Bulgari diè battaglia al re degli Abari.



CAPITOLO III

Come Candido scappò da' Bulgari e quel che gli avvenne.

Non si può dar cosa più bella, più addestrata, più all’ordine, dei due eserciti. Le trombe, i pifferi, gli oboe, i tamburi, i cannoni formavano un'armonia, che non se ne sente una simile a casa al diavolo. Le cannonate buttaron giù al primo saluto vicino a seimila uomini da ambe le parti, quindi la moschetteria portò via dall'ottimo dei mondi nove o diecimila birbanti che ne infettavano la superficie. La bajonetta fu anch'essa la ragion sufficiente della morte di qualche migliajo; in tutto poteva montare a una trentina di mila uomini. Candido che tremava come un filosofo, si appiattò meglio che potè durante quest'eroico macello.
Finalmente, mentre ognuno nel suo campo facevano i due re cantare il Te Deum, prese il partito d'andarsene a raziocinare altrove degli effetti e delle cause. Passò di sopra a mucchi di morti e di moribondi, e arrivò a un villaggio vicino. Era questo un villaggio degli Abari che i Bulgari, secondo le leggi del gius pubblico, avevan ridotto in cenere. Da una parte vecchi crivellati da' colpi stavano a veder morir scannate le mogli che tenevano i lor bambini alle sanguinanti mammelle; dall'altra fanciulle sventrate dopo aver satollato le brame d'alcuni eroi, rendeano l’ultimo fiato; altre mezzo bruciate chiedevano colle strida che si finisse di ucciderle; ed era coperto il terreno di sparse cervella accanto a braccia e gambe tagliate.
Candido se ne fuggì a tutta furia in un altro villaggio. Apparteneva questo a' Bulgari, ed aveva ricevuto dagli Abari eroi un simile trattamento. Candido, camminando sempre su delle membra ancor palpitanti, e tramezzo alle ruine, arrivò finalmente fuor del teatro della guerra, con qualche piccola provvisione nella bisaccia, e colla memoria ancor fresca della sua Cunegonda. Gli mancaron le provvigioni arrivato che fu in Olanda, ma, avendo sentito dire che quivi tutti eran ricchi, e che era paese di cristiani, non dubitò punto di esser trattato come nel castello del signor barone, prima d'esserne scacciato per i begli occhi di Cunegonda.
Dimandò egli la limosina a molte gravi persone, ma gli fu da tutte risposto che se seguitava a far quel mestiere l'avrebbero ficcato in una casa di correzione, perchè imparasse a vivere.
S'accostò quindi ad un uomo che aveva appunto finito di parlar egli solo per un’ora di seguito in una grande assemblea sulla carità. Questo oratore guardandolo a traverso:
- Che venite voi a far qui? gli disse. Vi siete voi per la buona causa?
- Non si dà effetto senza causa, rispose Candido con tutta modestia; in tutto v’è una concatenazione necessaria, e un’ottima disposizione. È bisognato ch'io sia cacciato via d'appresso a Cunegonda, ch'io sia passato per le bacchette e bisogna ch’io accatti per mangiare finch’io possa guadagnarmelo. Tutto questo non poteva essere altrimenti.
- Amico, gli disse l’oratore, credete voi che il Papa sia l’Anticristo?
- Io non l’avevo ancora sentito dire, rispose Candido ma o lo sia o non lo sia, io non ho pan da mangiare.
- Tu non meriti d’averne, riprese l’altro, monello, birbante, vattene via e non mi venir mai più d’intorno.
La moglie dell’oratore fattasi alla finestra, e scorgendo un uomo che dubitava che il Papa fosse l’Anticristo, gli rovesciò addosso un pien... O cielo! a quale eccesso arriva nelle dame lo zelo di religione.
Un uomo che non era stato battezzato, un buon anabattista nomato Giacomo, vide l’ignominiosa e crudel maniera con cui trattavasi uno de’ suoi confratelli, una creatura bipede implume, la quale aveva un'anima; lo condusse in sua casa, lo nettò, gli diè del pane e della birra, gli fe’ presente di due fiorini, anzi volle insegnargli a lavorar nella sua fabbrica, alle stoffe di Persia che si fanno in Olanda. Candido inginocchiandosegli innanzi esclamava: “Il maestro Pangloss me l'aveva ben detto che in questo mondo tutto è per lo meglio; io sono infinitamente più commosso dell’estrema vostra generosità, che dell’asprezza di quel signore dal mantello nero e della sua moglie.”
Il giorno dopo andando a spasso s’imbatte in un accattone tutto coperto di bolle, cogli occhi smorti la punta del naso rosicchiata, la bocca storta, i denti neri, la voce affogata, tormentato da una tosse violenta, e che ad ogni nodo di tosse sputava un dente.



CAPITOLO IV

Come Candido ritrova il suo antico maestro di filosofia il dottor Pangloss, e quel che ne segue.

Candido più commosso ancora di compassione che d’orrore, diede a quello spaventevole accattone i due fiorini che avea ricevuti da quell’uom dabbene dell'anabattista Giacomo. Quel fantasma gli fissò gli occhi addosso, cominciò a piangere, e gli saltò al collo. Candido spaventato si tira indietro.
- Ahimè dice un miserabile all’altro, non ravvisate il vostro caro Pangloss?
- Che ascolto? Voi il mio caro maestro! Voi in questo orribile stato! Che sciagura v’è dunque accaduta? Perchè non siete voi più nel bellissimo fra i castelli? E di Cunegonda, la perla delle donzelle, il capolavoro della natura che n’è?
- Io non ne posso più, dice Pangloss.
Candido lo mena immediatamente alla stalla dell’anabattista, ove gli dà del pane a mangiare, e riavuto che fu alquanto:
- Ebbene: e Cunegonda? gli chiese.
- Cunegonda è morta, rispose quegli.
Candido svenne a tai detti; l'amico lo fece ritornare in sè con del cattivo aceto che per caso si trovò nella stalla. Riapre Candido gli occhi:
- Cunegonda è morta! O mondo l'ottimo dei possibili dove sei tu? Ma di qual male è ella morta? Forse d’avermi veduto scacciare dal bel castello del signor padre a furia di gran pedate!
- No, risponde Pangloss, ella è stata sventrata da soldati Bulgari: dopo esser stata oltraggiata quanto esser si possa. Al barone, che voleva difenderla, è stata fracassata la testa; la baronessa tagliata a pezzi, il mio povero pupillo trattato per appuntino come la sorella; e del castello non n'è rimasto pietra sopra pietra, non un granajo, non un montone, non un'anatra, non un sol albero: ma abbiamo avuta la rivincita; perchè gli Abari han fatto l'istesso di una baronia vicina che apparteneva a un signore bulgaro.
A questo discorso Candido tornò a svenire; ma rinvenuto che fu, e detto quel che avea a dire, s'informò della causa e dell'effetto, e della ragion sufficiente, che aveva ridotto Pangloss a un sì compassionevole stato.
- Ahimè disse l'altro, questo è l'amore; l'amore, il conforto dell’uman genere, il conservatore dell’universo, l’anima di tutti gli esseri sensibili, il tenero amore.
- Ahimè, disse Candido, io l'ho conosciuto cotesto amore, cotesto signor de’ cuori, cotest’anima dell'anima nostra, egli non mi ha fruttato che un bacio, e venti pedate nel messere. Come mai una sì bella cagione ha potuto produrre in voi un si abbominevole effetto?
Pangloss così rispose:
- O mio caro Candido! voi avete conosciuto Pasquetta, la leggiadra damigella della nostra augusta baronessa, nelle sue braccia ho io gustato le dolcezze del Paradiso; che mi han prodotto questi tormenti d’inferno, onde lacerar mi vedete...
Candido andò a gettarsi ai piedi del suo caritatevole anabattista Giacomo, e gli fece un ritratto sì vivo dello stato lacrimevole in cui era ridotto il suo amico, che non esitò punto quell'uomo da bene ad accogliere il dottor Pangloss, e a farlo guarire a sue spese. Altro non perdè Pangloss in questa cura, che un occhio e un orecchio. Egli avea buona mano di scrivere, e sapeva a perfezione far di conto. L'anabattista lo fece suo scritturale. In capo a due mesi essendo per affari del suo commercio obbligato di andare a Lisbona, condusse seco i due filosofi nel suo bastimento. Pangloss gli spiegò come il tutto era l’ottimo. Giacomo era d’un altro parere. Bisogna, ei diceva, che gli uomini abbiano alquanto corrotta la natura, perchè non son nati lupi, e lupi divengono; Dio non ha dato loro nè cannoni da ventiquattro, nè bajonette, ed essi son fatti per distruggersi con bajonette e cannoni. Potrei metter su questo conto e i fallimenti e la giustizia che mette le mani su' beni de' falliti per defraudarne i creditori. - Tutto questo, replicava il guercio dottore, era indispensabile, e le sciagure particolari fanno il bene generale; talmente che più disgrazie particolari vi sono, più tutto è ottimo.
Nel tempo che ei ragiona l'aria si abbuja, si scatenano i venti da quattr'angoli del mondo, e il bastimento è assalito in vista del porto di Lisbona da orribile tempesta.



CAPITOLO V

Tempesta, naufragio, terremoto e quel che avvenne di Pangloss, di Candido e dell'anabattista.

La metà de' passeggieri, languidi, e affranti dalle indicibili angosce che il tentennìo d'un bastimento produce ne' nervi e in tutti gli umori del corpo agitati in contrarie direzioni, non avea nemmeno la forza di mettersi in pena del suo pericolo; l’altra metà gettava delle strida, e innalzava preghiere. Eran lacere le vele, gli alberi spezzati, sdruscito il bastimento. Lavorava chi poteva, non vi era chi s'intendesse, non vi era chi comandasse. L'anabattista dava un po’ di ajuto alla manovra; egli era sul cassero; un marinajo furioso lo colpisce malamente, e lo distende sulla coperta, ma dal colpo che diede a lui ebbe egli stesso una scossa sì violente che cadde a capo riverso fuor del bastimento. Restava egli sospeso e abbriccato a un pezzo d'albero rotto. Il buon uomo di Giacomo corre al di lui soccorso, e l’ajuta a risalire, ma dallo sforzo che fece è precipitato egli nel mare in vista del marinajo che non si degnò nemmeno di rimirarlo. Candido si accosta, vede il suo benefattore che ricomparisce a galla un momento, e resta inghiottito per sempre. Vuole egli gettarsegli dietro nel mare, il filosofo Pangloss lo ritiene, provandogli che la spiaggia di Lisbona era stata formata apposta, perchè quest'anabattista vi si annegasse. Mentre lo stava provando a priori, s'apre il bastimento e tutti periscono, a meno di Pangloss, di Candido, e del marinaro brutale che aveva affogato il virtuoso anabattista. Quel birbante nuotò fino alla riva, ove Pangloss e Candido furono trasportati anch’essi sopra d'un asse.
Ritornati che furono un poco in sè, presero il cammino verso Lisbona. Restava a loro qualche denaro con cui speravano di scampar la fame dopo aver scampato il naufragio.
Appena messo piede in città, piangendo la morte del loro benefattore, sentono tremare la terra sotto i lor piedi; il mare si solleva ribollendo nel porto, e fracassa i bastimenti che sono all'áncora. Vortici di fiamme e di cenere coprono le strade o le piazze, crollano gli edifizj, si rovesciano tutti sulle fondamenta, e le fondamenta dispergonsi. Trenta mila abitanti d'ogni età e d'ogni sesso restano schiacciati dalle rovine. Il marinajo fischiando, e bestemmiando dicea fra sè: - Qui v’è da buscar qualche cosa.
- Qual può esser la ragion sufficiente da’ un tal fenomeno? dicea Pangloss.
- Questa è la fine del mondo, esclamava Candido.
Il marinajo corre addirittura tramezzo alle rovine ad affrontar la morte per trovar de' quattrini, ne trova, se ne impadronisce, s’ubbriaca, e avendo smaltito il vino, compra i favori della prima ragazza cortese che se gli para davanti, sulle ruine delle case distrutte, e in mezzo dei moribondi e de' morti. Pangloss lo tirava intanto per la manica, “amico, dicendogli, la non va bene, voi mancate alla ragione universale, voi impiegate malamente il tempo.” - Corpo di... sangue di... rispondeva l'altro, son marinajo e nato a Batavia; oh va che tu hai trovato il tuo, colla tua ragione universale!
Candido era stato ferito da alcune scaglie di pietre, e coperto di frantumi di rovine giacea disteso sulla strada. - Ahimè, diceva egli a Pangloss, procurami un po' di vino, e un po’ d’olio, ch’io mi muojo. - Questo terremoto rispondeva Pangloss, non è cosa nuova; la città di Lima sofferse in America le stesse scosse l'anno passato: l'istessa cagione produce l’istesso effetto: bisogna che certamente sotto terra vi sia una striscia di zolfo da Lima fino a Lisbona - Non vi è niente di più probabile, diceva Candido, ma datemi per Dio un po' di vino e un po’ d’olio. - Come probabile? replica il filosofo; la cosa è evidente, ed io la sostengo.
Candido perdè il lume degli occhi, e Pangloss gli recò dell’acqua d'una fontana vicina.
Il giorno dopo, avendo trovato qualche po' di provvisioni con ficcarsi tramezzo alle rovine, si rinfrancarono un po' di forze, quindi si posero come gli altri a lavorare per sollievo degli abitanti ch’erano scampati alla morte. Alcuni cittadini sovvenuti da essi gli diedero da desinare qual poteva apprestarsi in tanta sciagura. Era il pranzo veramente assai tristo, bagnando i convitati il loro pane di lacrime, ma Pangloss li consolava assicurandoli, che le cose non potevano andare altrimenti; perchè, diceva egli, tutto quel che è, è ottimo, imperocchè se vi è un vulcano a Lisbona non poteva essere altrove non essendo possibile che le cose non sieno dove sono; perchè ogni cosa è bene. Un omiciattolo moro famiglio dell'Inquisizione, che gli era accanto, prese civilmente la parola, e gli disse: - Al vedere il signore non crede al peccato originale; perchè se ogni cosa è per lo meglio, non v’è dunque nè caduta nè castigo. - Domando umilissima scusa a vostra eccellenza, rispose anche più civilmente Pangloss, perchè la caduta dell'uomo e la maledizione entravano necessariamente nell'ottimo de' mondi possibili. - Vossignoria non crede dunque la libertà? riprese il famiglio. - Mi scusi vostr'eccellenza, replicò Pangloss, la libertà può sussistere, con la necessità assoluta, perchè era necessario che noi fossimo liberi, perchè finalmente la volontà determinata...
Pangloss era in mezzo a questo discorso, quando il famiglio fece un cenno al suo staffiere che lo serviva a tavola con del vino di Porto.



CAPITOLO VI

Come si fece un bell'auto-da-fè per impedire i tremoti e come Candido fu frustato.

Dopo il terremoto che avea distrutto tre quarti di Lisbona, i dotti del paese non avevan trovato mezzo più efficace per impedire una total rovina, che di dare al popolo un bell'auto-da-fè. Era stato deciso dall’Università di Coimbra che lo spettacolo di qualche persona bruciata a fuoco lento in gran cerimonia era un segreto infallibile per impedire che la terra non si scuota. Aveano in conseguenza catturato un biscaglino convinto d’aver sposato la comare, e due portoghesi che, mangiando un pollastro, ne aveano levato il lardo; si venne poi dopo pranzo alla cattura del dottor Pangloss, e di Candido suo discepolo; di quello per aver parlato, e di questo per aver ascoltato in aria d'approvazione. Furono tutti e due condotti separatamente in appartamenti freschissimi, ne' quali non s'era mai infastiditi dal sole. Otto giorni dopo furono tutti rivestiti d'un sambenìto, e vennero loro adornate le teste di mitere di carta, la mitera e il sambenìto di Candido eran dipinte con delle fiamme all’ingiù, e con de' diavoli senza granfie e senza coda; ma i diavoli nel sambenìto di Pangloss avean granfie e coda, e le fiamme eran dritte. Andarono così vestiti a processione e sentirono un sermone assai patetico seguito da una bella musica in falso bordone; Candido fu frustato sul messere a tempo di battuta mentre cantavano; il biscaglino e quei due che non avean voluto mangiar del lardo furono bruciati, e Pangloss fu appiccato, benchè non sia questo il costume. Il medesimo giorno vi fu un'altra scossa di terremoto con un fracasso spaventevole. Candido spaventato, confuso, smarrito, tutto insanguinato, tutto affannato dicea fra sè: “Se questo mondo è l’ottimo dei possibili che mai son gli altri? Se io non sono stato altro che nerbato a posteriori, lo sono stato anche fra i Bulgari; ma, o mio caro Pangloss, il massimo de' filosofi, ho io avuto a vedervi impiccare senza ch’i’ sappia perchè! Oh mio caro anabattista, ottimo degli uomini, avev’io a vedervi annegare nel porto! O Cunegonda, perla delle fanciulle, er’egli dovere che avessero a spaccarvi la pancia! ”
Egli se ne ritornava mal reggendosi in piedi, sermonizzato, ma assoluto e benedetto, quando una vecchia gli si fa innanzi, e gli dice: “Fatevi animo, figliolo mio, e seguitatemi.”



CAPITOLO VII

Come una vecchia prese cura di Candido e come egli ritrova quel che volea.

Candido non si fece animo, nè punto, nè poco, ma seguitò la vecchia in una casupola rovinata, dove diedegli della pomata per strofinarsi, gli lasciò da mangiare, e da bere, un letto molto pulito, e accanto al letto da rivestirsi da capo a piedi. “Mangiate, bevete, e dormite gli diss’ella, la Madonna d’Antiochia, don S. Antonio di Padova, e don S. Giacomo di Galizia abbian cura di voi. Io ritornerò dimattina.” Candido stordito ognor più di quel che avea veduto, di quel che aveva sofferto, e molto più ancora della carità della vecchia, volle baciarle la mano.
- Eh, non è la mia mano, che avete a baciare, rispose la vecchia, io tornerò domani. strofinatevi colla pomata, mangiate e dormite.
Candido, malgrado tante disgrazie, mangiò e dormì. La mattina dopo, la vecchia gli porta da colazione, gli dà una rivista alla schiena, lo stropiccia con dell'altra pomata, gli porta poi da desinare; ritorna sulla sera e gli reca da cena. Il posdomani fa l'istessa cerimonia.
- Chi siete voi? badava a dirle Candido, chi vi ha inspirato tanta bontà? quali grazie poss’io io rendervi?
La buona donna non rispondeva mai nulla; ritornò la sera, e non portò nulla da cena.
- Venite con me, gli diss’ella, e non fiatate.
Se lo prende per braccio e cammina con esso per la campagna circa un quarto di miglio. Arrivano a un casino isolato, circondato di giardini e di canali. Bussa la vecchia a una porticella; si apre; conduce ella Candido per una scaletta segreta in un gabinetto tutt'oro; lo lascia sopra un canapè di broccato, richiude la porta, e se ne va via. Candido si credea di sognare, e considerava tutta la sua vita passata come un sogno funesto, o il momento presente come un sogno dilettevole.
La vecchia ricomparve ben tosto; sosteneva ella a fatica una donna tremante, d'una statura maestosa, tutta rilucente di gioje, e ricoperta da un velo.
- Levate quel velo, disse a Candido la vecchia.
Egli si accosta, alza il velo con mano timorosa. Oh momento! oh sorpresa! Credè di vedere Cunegonda, ei la vedeva in fatti, era ella stessa. Gli mancano le forze, non sa proferir parola, e si lascia cascare a’ suoi piedi; e Cunegonda si abbandona sul canapè, la vecchia li carica d’acque odorose, finchè ritornano in sè e possono parlarsi. Non eran sul primo che parole interrotte, domande e risposte, che facevano a urtarsi, sospiri, lacrime e strida. La vecchia lor raccomanda di far meno rumore, e li lascia in libertà. - Come! le dice Candido, voi Cunegonda? voi viva? Voi in Portogallo? Non vi han dunque oltraggiata? - Non v'han spaccata la pancia come mi aveva assicurato Pangloss? - Sibbene, dicea Cunegonda, egli è vero, ma non sempre di questi due accidenti si muore. - Ma vostro padre e vostra madre son eglino stati uccisi? - Pur troppo, disse Cunegonda piangendo, lo sono stati. - E il vostro fratello? - Ucciso ancor egli. - E come siete voi in Portogallo, e come sapeste ch’io vi fossi, e - per quale strana avventura fui condotto in questa casa? - Vi dirò tutto, replicò la donna, ma ditemi prima voi tutto quel che vi è succeduto dopo il bacio innocente che mi deste, e le pedate che ne buscaste.
Candido l’obbedì con un profondo rispetto, e benchè fosse confuso e avesse la voce fievole e tremante, e benchè gli facesse anche un po' male la schiena, le raccontò nella maniera più semplice quel che egli aveva sofferto dal momento della loro separazione. Cunegonda alzava gli occhi al cielo; pianse amaramente alla morte del buon anabattista, e di Pangloss, e parlò quindi in questi termini a Candido, che non ne perdeva una parola, e che la mangiava cogli occhi.



CAPITOLO VIII

Istoria di Cunegonda.

“Ero nel mio letto e dormivo saporitamente, quando al ciel piacque di mandare i Bulgari nel nostro bel castello di Thunder-ten-tronckh; essi scannarono mio fratello e mio padre, e tagliaron mia madre a pezzi. Un gran bulgaro alto sei piedi, vedendo che a un tale spettacolo avevo perduto il conoscimento, mi oltraggiò; questo mi fece rinvenire e ripigliare i miei sensi. Gridai, mi dibattei, morsi, sgraffiai, volli cavar gli occhi a quel bulgaro, non sapendo che tutto quel che accadea nel castello era cosa solita e d'uso. Quel brutale mi diede una coltellata sul fianco sinistro, di cui porto anche il segno. - Ahimè, spero che me lo farete vedere, disse il semplice Candido. - Voi lo vedrete, ma andiamo avanti, disse Cunegonda. - Andiamo pur avanti, disse Candido.
Ella così riprese il filo della sua istoria: “Un capitano de’ Bulgari entrò, vide me tutta insanguinata, e il soldato che non facea vista di muoversi. Il capitano in collera pel poco rispetto che avea per lui, quel brutale, me l’ammazzò accosto; mi fece quindi curare, e mi menò prigioniera di guerra nel suo quartiere. Io gl’imbiancavo quelle po’ di camicie che aveva, io gli faceva la cucina; egli mi trovava, per dir vero, molta bellezza, ed io nol negherò ch’ei fosse assai ben fatto; del restante niente di spirito e meno di filosofia; si vedeva bene che non era stato allevato dal dottor Pangloss.
“In capo a tre mesi, avendo perduti tutti i quattrini ed essendo ristucco di me, mi vende ad un ebreo chiamato don Issaccar, che negoziava in Olanda, e in Portogallo, e a cui piacevano estremamente le donne. Questo ebreo mi si affezionò moltissimo, ma non potè trionfare della mia ritrosia. L’ebreo mi condusse in questa villetta che voi vedete. Avevo sempre creduto che il castello di Thunder-ten-tronckh fosse quel che vi può esser di più bello nel mondo, ma mi son disingannata.
“Il grand'Inquisitore mi vide un giorno alla messa, mi adocchiò lungamente, e mi fece dire che avea da parlarmi per affari segreti. Fui condotta al suo palazzo, gli scopersi i miei natali, ed egli mi fece delle rimostranze di quanto disconvenisse al mio rango l'esser in balìa d'un ebreo. Fece egli propor per sua parte a don Issaccar di cedermi a monsignore. Ma don Issaccar, ch’è il banchiere di Corte, e un uomo di credito, non ne volle saper niente. L’inquisitore lo minacciò d'un auto-da-fè, sicchè l'ebreo impaurito, concluse un contratto, in virtù del quale e la casa, e la mia persona appartenessero a tutti due loro in comune; ma fecero i conti senza di me, che non voglio alcuno.
“Finalmente per distornare il flagello de' terremoti, e per impaurire don Issaccar, volle monsignor inquisitore celebrare un auto-da-fè, e mi fè l’onor d'invitarmici. Ebbi un buonissimo posto, e fra la messa e il supplizio si servirono i rinfreschi alle dame. Mi raccapricciai per dir vero, a veder bruciar vivi quei due ebrei, e quel galantuomo di Biscaglia, che avea sposata la comare. Ma qual fu la mia sorpresa, il mio raccapriccio, la mia agitazione, quando in sambenito e mitera vidi una figura che rassomigliava a Pangloss! Mi stropicciai gli occhi, lo riguardai attentamente, lo vidi impiccare, e svenni. Ritornata appena in me vi vidi spogliar nudo, e fu per me il colmo del dolore, della costernazione, della disperazione, dell’orrore. Alzai un grido, e fermate, dir volli, o barbari, fermate; ma la voce mancommi, e a nulla avrebbero servito le mie strida. Quando fosti stato ben ben frustato -come mai può darsi, dicea fra me, che l'amabil Candido, e il saggio Pangloss si trovino a Lisbona, uno per pigliarsi cento frustate, e l'altro per farsi impiccare d’ordine di monsignore inquisitore mio cicisbeo? Pangloss mi ha dunque crudelmente ingannata, con dirmi, che tutto quel che segue è per lo meglio?
“Agitata, smarrita, ora fuori di me; ed ora sentendomi morir di debolezza, aveva l'anima ripiena della strage di mio padre, di mia madre, e di mio fratello, di quel birbon di soldato bulgaro, della coltellata che mi aveva data, della mia condizione servile, del mio mestiere di cuciniera, del mio capitano, di quella brutta figura di don Issaccar, di quell’abbominevole inquisitore, dell’impiccatura di Pangloss di quel gran miserere in falso bordone, e sopra tutto del bacio che dato vi aveva dietro un paravento quel giorno che io vi vidi per l’ultima volta. Ringraziai il cielo che a me si riconduceva per tante prove; e mi raccomandai alla mia vecchia, perchè si prendesse cura di voi, e vi conducesse a me più presto che si potesse. Ella ha eseguito a maraviglia la sua commissione, ho gustato il piacere indicibile di rivedervi, di ascoltarvi, di favellarvi. Dovete avere una fame terribile, io ho un grand'appetito, cominciamo a cenare.”
Eccoli tutti e due a tavola, e dopo la cena si ripongono a sedere, quando don Issaccar, un do' padroni di casa, arrivò.



CAPITOLO IX

Quel che successe di Cunegonda, di Candido, del Grand’Inquisitore e d'un Ebreo.

Questo Issaccar era un'ebreo il più collerico che si fosse seduto in Israelle dopo la schiavitù babilonese. - Ah cagna di Galilea, diss’egli, non ti basta l'inquisitore? Vuoi mettermi a parte anco con questo furfante?
In questo cava fuori un lungo pugnale di cui era sempre provvisto, e non credendo provveduto di alcun arme la sua parte avversa si avventa a Candido. Ma il nostro bravo Vesfalo che insieme coll'abito di tutto punto aveva ricevuto dalla vecchia una bella spada, mette mano addirittura, e benchè fosse d'un assai dolce costume, distende morto sul terreno l’israèlita ai piedi di Cunegonda..
- Santissima Vergine! grida ella, che sarà di noi? Un uomo ucciso in mia casa! Se vien la giustizia siamo perduti. - Se Pangloss non fosse stato impiccato, disse Candido, ci daria qualche buon consiglio in simile estremità; egli era un gran filosofo. In sua mancanza consultiamo la vecchia.
Questa era molto prudente, e mentre cominciava a dire il suo parere, eccoti che s'apre un'altra porticina. Era un'ora dopo mezzanotte, ed era il principio della domenica, giorno assegnato a monsignor inquisitore. Entra egli, e vede il frustato Candido colla spada in mano, un cadavere steso per terra, Cunegonda smarrita, e la vecchia a dar consiglio.
Ecco quel che in tal momento si presentò allo spirito di Candido, e come ei ragionò: “se questo sant'uomo grida soccorso mi farà bruciare infallibilmente e potria far l’istesso di Cunegonda. Ei mi ha fatto frustare senza pietà, egli è mio rivale, io ho già preso il verso a ammazzare, e non v’è da esitare un momento.” Questo ragionamento fu semplice e corto, e senza dar tempo all’Inquisitore di rivenire dalla sua sorpresa, lo passa da parte a parte, e lo distende accanto all'ebreo. - Eccoti la seconda di cambio, grida Cunegonda, non c’è più remissione; noi siamo scomunicati, è venuta per noi l’ultim’ora. Come avete potuto fare voi, che siete nato così pacifico, ad ammazzare in due minuti di tempo un prelato ed un ebreo? - Ah, bella Cunegonda, rispose Candido, quando uno è innamorato, geloso e frustato dal Sant’Uffizio, esce fuori di sè.
La vecchia prese allor la parola: “Vi sono, diss’ella, tre cavalli d'Andalusia nella stalla, con tutto il lor fornimento; Candido li metta all'ordine, madama ha delle doppie e delle gioje; montiamo addirittura a cavallo, bench’io non possa star che sopra una parte sola, e andiamocene a Cadice; fa il più bel tempo del mondo, ed è proprio un piacere il viaggiar col fresco della notte.”
Candido mette immediatamente la sella al cavalli; Cunegonda, la vecchia, ed esso fan trenta miglia tutte d'un fiato. Mentre s’allontanavano, arriva alla casa la Santa Hermandad, si sotterra monsignore in una bellissima chiesa, e si butta Issaccar al Campaccio.
Candido, Cunegonda e la vecchia eran già nella piccola città d’Avacèna in mezzo alle montagne della Sierra Morena, e così se la discorrevano in 'osteria.



CAPITOLO X

In quale indigenza Candido, Cunegonda e la vecchia arrivarono a Cadice e del loro imbarco.


- E chi poteva dunque rubarmi le mie doppie e i mie diamanti? dicea Cunegonda piangendo. Come faremo a campare? dove raccapezzare degli inquisitori, e degli ebrei che me ne dieno degli altri? - Ahimè, diceva la vecchia, io ho gran sospetto di un reverendo zoccolante che dormì con noi a Badajoz nell’istessa locanda. Dio mi guardi di fare un giudizio temerario, ma egli entrò due volte nella nostra camera, e partì molto tempo prima di noi. - Ahimè, diceva Candido, me l'aveva sovente provato Pangloss, che i beni di questa terra son comuni a tutti gli uomini, e che ciascheduno v'ha l’istesso diritto. Quel zoccolante doveva bene secondo questo principio, lasciarci da finire il viaggio. Non vi riman dunque nulla nulla, bella Cunegonda? - Nemmeno un picciolo, diss'ella. - A qual partito appigliarci? diceva Candido. - Vendiamo un de’ tre cavalli, disse la vecchia; io monterò in groppa dietro alla signora e arriveremo a Cadice.
Vi era nell'istessa locanda un priore de' Benedettini, che comprò il cavallo a buon mercato. Candido, Cunegonda e la vecchia passarono per Lucena, per Chillas, per Lebrixa e finalmente giunsero a Cadice. Vi si equipaggiava una flotta, e vi si radunavan delle truppe per mettere a dovere i reverendi padri gesuiti del Paraguai, i quali eran accusati di aver fatto ribellare una delle migliori provincie contro i re di Portogallo, e di Spagna i presso alla città del SS. Sacramento. Candido, che aveva militato fra i Bulgari, fece l’esercizio alla bulgara dinanzi al generale della piccola armata con tanta grazia, con tanta celerità, con tanta destrezza, con tanta bravura e agilità che gli è dato il comando di una compagnia di fanti. Eccolo fatto capitano; egli s’imbarca con Cunegonda e la vecchia, due servitori, e i due cavalli d'Andalusia, che eran già stati di monsignore di Portogallo.
Durante tutto il passaggio parlarono assai sulla filosofia del povero Pangloss. - Noi andiamo in un altro mondo, diceva Candido, forse è là dove tutto e ottimo; perchè confessar bisogna che vi sarebbe da sospirare di quel che segue nel nostro, tanto in morale che in politica. - Ora vi voglio veramente bene, dicea Cunegonda, perchè ho l'anima anch’io tutta disgustata di quel che vi ho provato e veduto. - Tutto passerà bene, ripetea Candido, in questo novello mondo; il mare istesso è migliore che quel di Europa; egli è più placido, e il vento vi è men variabile. Al vedere è il mondo nuovo il migliore degli universi possibili. - Iddio lo voglia, dicea Cunegonda, ma son stata così orribilmente maltrattata nel mio, che ho il cuore quasi intieramente chiuso alla speranza - Voi vi lamentate, riprese la vecchia, ahimè, che voi non avete provato sciagure simili alle mie.
A Cunegonda scapparon quasi le risa, e le parve molto ridicola quella povera vecchia a pretendere di esser più infelice di lei. - Eh cara mia, le disse ella, quando non siate stata offesa da due Bulgari invece di uno, quando non abbiate ricevuto due coltellate nella pancia, quando non siano stati demoliti due de' vostri castelli e scannati sotto i vostri occhi due vostre madri, e due padri, e frustati due vostri amanti in un auto-da-fè, non vedo che possiate superarmi in disgrazia. Aggiungete che nata son io baronessa con settantadue quarti di nobiltà, e che sonmi ridotta a far da cucina. - Ah signorina, rispose la vecchia, voi non sapete qual è la mia nascita, e se io vi mostrassi il mio bel di Roma non parlereste così, e sospendereste il vostro giudizio. Questo discorso risvegliò nell'animo di Cunegonda e di Candido un'estrema curiosità. La vecchia lor parlò in questi termini:



CAPITOLO XI

Istoria della vecchia.

“Io non son stata sempre cogli occhi cisposi e orlati di scarlatto, il mio naso non è sempre andato a ritoccarsi col mento, nè sempre serva stata son io. Io son figlia di papa Urbano decimo, e della principessa di Palestrina. Fui fino all’età di quattordici anni allevata in un palazzo, a cui tutti i castelli dei vostri baron tedeschi avrian potuto servir di stalla; e valeva più un de' miei abiti che tutte le magnificenze della Vesfalia. Crescevo in bellezza, in grazia, e in talento, in mezzo a' piaceri, agli ossequi ed alle speranze, e inspiravo già amore: quali occhi! quali palpebre! quai ciglia! quali fiammelle scintillavano dalle mie pupille, e oscuravano il fulgore delle stelle! come diceanmi i poeti del luogo.
“Io fui promessa in isposa a un principe sovrano di Massa di Carrara. Che principe! impastato di dolcezza e di vezzi, pieno d'uno spirito brillante, e d’un fervido amore. L'amavo qual suole amarsi ne' primi amori, con idolatria, e con trasporto. Le nozze eran già preparate, con una pompa e una magnificenza inaudita; non si trattava che di feste, di scarrozzate e di burlette in musica a tutto pasto; e si fecero per tutta l’Italia de' sonetti sul mio soggetto, di cui non ve ne fu pur uno di passabile. Ero presso al momento della mia felicità, quando una vecchia marchesa che era stata cicisbea del mio principe, invitollo a prender la cioccolata da lei. Morì egli in men di due ore fra orribili convulsioni; ma questo non è nulla. Mia madre disperava, e pur molto meno afflitta di me, volle per qualche tempo involarsi a un sì funesto soggiorno. Aveva ella una bellissima terra presso Gaeta; c'imbarcammo in una galera del paese, dorata come l'altar di san Pietro, ed ecco che un corsal salettino ci dà addosso, e ci abborda. I nostri soldati si difesero da soldati papalini, si misero tutti in ginocchione, gittando le armi, e chiedendo al corsale un'assoluzione in articulo mortis.
“Furono immediatamente spogliati ignudi come tanti scimmiotti; così mia madre e le nostre damigelle d'onore, e così pur io.
“Non starò a dirvi quanto sia cosa dura per una giovine principessa l'esser condotta schiava al Marocco; voi comprendete benissimo quel che dovemmo soffrire nel bastimento del corsaro. Mia madre era ancora bellissima, le nostre damigelle d'onore, le nostre semplici cameriere aveano più vezzi di quel che possa trovarsene in tutta l’Africa. Io poi ero un incanto, ero la bellezza o la grazia medesima ed ero fanciulla...
“Marocco nuotava nel sangue allorchè vi arrivammo; cinquanta figli dell’imperatore Muley-Ismaele avean ciascuno un partito che produceva in effetto cinquanta guerre civili di neri contro neri, di zaini contro zaini, e di mulatti contro mulatti, ed era un continuo macello in tutta l'estensione dell'impero.
“Fummo appena sbarcate, che alcuni neri di una fazione nemica a quella del nostro corsale si presentarono per involargli la preda. Dopo l’oro e i diamanti eravamo noi quel che egli aveva di più prezioso. Io fui testimone d'una zuffa qual mai non può vedersi nei nostri climi d'Europa. I popoli settentrionali non hanno il sangue troppo bollente, nè il furor per le donne nel grado ch’è ordinario nell’Africa. Par che gli Europei abbiano latte nelle vene laddove è vetriolo e fuoco quel che scorre nelle vene agli abitanti del monte Atlante e dei paesi vicini. Si combatteva col furor de’ leoni, delle tigri, de’ serpenti della contrada a chi ci avrebbe a possedere. Un moro prese mia madre pel braccio destro, il luogotenente del mio capitano la riteneva per il sinistro, un soldato l’afferrò per una gamba, un de’ nostri pirati la ritenne per l’altra, e in un momento tutte le nostre donne trovaronsi nell’istessa guisa tirate da quattro soldati. Il mio capitano mi teneva nascosta dietro a lui, avea impugnata la scimitarra, ed uccideva tutto quel che opponevasi al suo furore. Finalmente vidi tutte le nostre italiane, compresa mia madre, sbranate, trucidate e tagliate a pezzi dai mostri che se le disputavano. Gli schiavi miei compagni, coloro che li avevan presi, soldati marinari, negri, bianchi, mulatti, e finalmente il mio capitano, tutto restò ucciso, ed io rimasi esangue sopra un mucchio di cadaveri. Simili scene seguivano, come è noto, in tutta l’estensione di più trecento leghe, senza si mancasse intanto alle cinque preghiere quotidiane ordinate da Maometto.
“Mi sbarazzai a gran fatica dalla folla di tanti cadaveri sanguinosi ammonticchiati l’uno sull’altro, e mi trascinai sotto un grand’albero d'arancio sul margine d'un ruscelletto vicino. Mi vi abbandonai svenuta dallo spavento, dalla stanchezza, dall’orrore, dalla disperazione e dalla fame. Non andò guari, che i miei sensi oppressi s’abbandonarono a un sonno che aveva più del deliquio che del riposo. Ero in quello stato di debolezza e d’insensibilità fra la morte e la vita, quando sentii qualcuno che mi toccava stranamente. Apersi gli occhi, e vidi un uomo bianco, e di buon aspetto, che dicea sospirando fra’ denti: oh che sciagura d'esser... quel che sono!



CAPITOLO XII

Seguito delle sciagure della vecchia

“Fra lo stordimento e il contento a udire il linguaggio della mia patria, e non meno stupita dalle parole che proferiva colui, gli risposi che vi erano delle disgrazie maggiori di quella di cui lamentavasi. L'istrussi in poche parole delle cose orribili da me sofferte, e caddi in isvenimento. Mi trasportò egli in una casa vicina, mi fece mettere a letto, mi fece dar da mangiare, mi servì, mi consolò, mi accarezzò, mi disse di non aver mai veduta beltà maggiore della mia.
“- Io sono nato a Napoli, mi diss’egli; vi si accapponano tutti gli anni due o tremila ragazzi, altri ne muoiono, altri acquistano una voce più bella di quella delle donne, altri vanno a governar degli Stati. Mi fu fatta questa operazione con grandissimo successo, e sono stato virtuoso della cappella della principessa di Palestina.
“- Di mia madre! esclamai.
“- Di vostra madre! esclamò egli piangendo. Come! sareste voi quella giovine principessa, che io ho allevata fino all’età di sei anni, e che prometteva fin d'allora di dover riuscire quella bellezza, che voi siete?
“- Io son quella stessa; mia madre è lontana di qui quattrocento passi, sbranata in quarti sotto un monte di morti.
“Gli contai tutto quel che mi era accaduto, egli mi narrò finalmente le sue avventure, e mi disse come egli era stato inviato al re di Marocco da una potenza cristiana per concludere con quel monarca un trattato, in virtù del quale gli si somministrerebbe polvere, cannoni e bastimenti per ajutarlo a sterminare il commercio degli altri cristiani.
- La mia commissione è eseguita, continuò quell’onorato eunuco, io devo imbarcarmi a Ceuta e di là ricondurvi in Italia.
“Io lo ringraziai con lacrime di tenerezza, egli invece di condurmi in Italia mi menò ad Algeri, e mi vendè al Deì di quella provincia. Appena fui venduta, quella pestilenza che ha fatto il giro dell’Africa, dell'Asia e dell’Europa si scatenò furiosamente in Algeri. Voi avete udito il terremoto, ma non avete mai signorina mia, provata la peste. Se provata l'aveste, confessereste ch’ella è ben qualche cosa di più che un terremoto. Ella è comunissima in Africa, ed io ne restai infetta. Figuratevi qual condizione per una figlia di papa, in età di quindici anni, che in tre mesi di tempo avea provata la povertà, la schiavitù, aveva veduto spaccare in quarti la madre, avea provata la fame e la guerra, e se ne moriva appestata in Algeri. Io però ne scampai, ma il Deì, e quasi tutto il serraglio d'Algeri perì.
“Passata la prima furia di questa orribile pestilenza si venderono le schiave del Deì. Un mercante mi comprò e mi condusse a Tunisi. Mi vendè egli a un altro mercante che mi rivendè a Tripoli, da Tripoli fui rivenduta al Alessandria, d'Alessandria a Smirne, e da Smirne a Costantinopoli. Toccai finalmente ad un Agà de’ giannizzeri ch’ebbe ben tosto il comando di andare a difendere Azof contro i Russi, che l’assediavano. L’Agà, ch’era un onestissimo uomo, condusse seco tutto il suo serraglio, e ci diè quartiere in una fortezza sulla palude Meotide sotto la guardia di due eunuchi, e di venti soldati. Fu ucciso un prodigioso numero di Russi, ma essi si presero ben la rivincita. Azof fu messo a ferro e fuoco, e non si risparmiò nè sesso, nè età. Non vi restò che la nostra piccola fortezza, e i nemici pensarono di prenderci con affamarci. I venti giannizzeri s'erano impegnati con giuramento di non arrendersi mai, e l’estremità della fame a cui furon ridotti, li costrinse a mangiarsi i nostri due eunuchi, per timore di violare il giuramento, e a capo di pochi giorni risolverono di mangiarsi le donne.
“Avevamo un pio Imano molto compassionevole, che fe’ loro un bellissimo sermone per persuaderli a non ucciderci affatto. - Tagliate, diss’egli, solamente una parte... carnosa per una a queste signore, e avrete da scialare. Se sarà necessario ritornarci un’altra volta fra pochi giorni, ne avrete altrettanto; il cielo vi saprà buon grado d’un’azione sì caritatevole, e ne sarete soccorsi.
“Siccome era molto eloquente, li persuase; ci fu fatta quest’orribile operazione, e l’Imano ci applicò l'istesso balsamo che si adopra a' bambini dopo la circoncisione; noi eravam tutte per morire.
“Appena avevano i giannizzeri terminato il pasto che noi imbandito loro avemmo, eccoti su de' battelli piatti arrivare i Russi, e neppur un giannizzero si salvò. I Russi non badarono punto allo stato in cui ci trovavamo. Vi son dappertutto dei chirurghi francesi; uno di questi molto bravo prese cura di noi, e ci guarì, ci disse a tutte di consolarci, perchè in molti assedj era stato praticato lo stesso, ed esser così la legge di guerra.
Quando le mie compagne furono in grado di camminare ci mandarono a Mosca. Io toccai in sorte un bojardo; che mi fece sua giardiniera, e mi regalava di venti frustate al giorno; ma questo signore, essendo stato arruotato in capo a due anni con una trentina d'altri bojardi, per impicci di corte, profittai di questa avventura e me ne scappai. Traversai tutta la Russia; fui lungo tempo a servire in una osteria a Riga, indi a Rostock, a Veimar, a Lipsia a Cassel, a Utrecth, a Leida, all’Aja, a Rotterdam; sono invecchiata nella miseria e nell’obbrobrio, ricordandomi sempre d’esser figlia di papa. Ho voluto uccidermi cento volte; ma amavo ancora la vita. Questa debolezza ridicola è forse delle nostre inclinazioni la più funesta. Perchè vi è nulla di più ridicolo che di voler portar continuamente un fardello, che si vorrebbe ad ogni momento buttar giù? Di aver in aborrimento la propria esistenza, e di non poter distaccarsene? D’accarezzar finalmente il serpe che ci divora, finchè non ci abbia mangiato il cuore?
“Ho veduto ne' paesi che la fortuna m’ha fatto scorrere e nelle osterie dove ho servito, un numero prodigioso di persone, che detestavano la propria esistenza, ma otto soli ne ho veduti che abbian volontariamente posto fine alla lor miseria, tre negri, quattro inglesi e un professore tedesco nominato Robek. Finalmente; sono stata a servire in casa dell’ebreo don Issaccar che mi mise appresso di voi signorina mia bella; mi vi sono affezionata, e mi son data più pensiero delle vostre avventure che delle mie. Non vi avrei nemmen parlato mai delle mie disgrazie, se voi non m'aveste un po' piccata e se non fosse l’uso sui bastimenti di contar istorielle per divertirsi. Finalmente, signora, io ho dell’esperienza e conosco il mondo. Pigliatevi un gusto; impegnate i passeggeri a contarvi ognun la sua istoria, e se uno solo se ne trova che non abbia sovente maledetto il punto in cui nacque, e che non abbia sovente detto a sè medesimo d’essere il più infelice che viva, gettatemi a capo all’ingiù nel mare, ch'io mi contento.”


CAPITOLO XIII

Come Candido fu obbligato di separarsi dalla bella Cunegonda e dalla vecchia

La bella Cunegonda udita che ebbe l’istoria della vecchia le fe’ tutte le cortesie che a persona del di lei merito e del di lei rango si convenivano, ed avendo accettato il consiglio, impegnò tutti i passeggieri a contare, uno dopo l’altro, le loro avventure, ed ebbe, insieme con Candido, a confessare che la vecchia aveva ragione. - Che peccato, diceva Candido, che il saggio Pangloss sia contro il costume stato impiccato in un auto-da-fè! ei ci direbbe delle cose ammirabili sul mal fisico e sul mal morale onde è coperta la terra e il mare, ed io mi sentirei forza bastante di fargli con tutto il rispetto delle obbiezioni.
A misura che ognuno andava contando la propria istoria il bastimento avanzava cammino. Abbordarono a Buenos-Aires, e Cunegonda, il capitan Candido, e la vecchia andarono a casa del governatore don Fernando d’Ibaraa y Figueora y Mascarenes y Lampourdos y Souza. Questo signore avea tutta la fierezza che convenivasi a un uomo che portava una sì lunga sfilata di nomi, egli parlava alla gente con un sì nobil disdegno, arricciava talmente il naso, alzava sì spietatamente la voce, prendeva un tuono da imporre talmente e affettava un portamento sì altiero, che faceva venir voglia di bastonarlo a chiunque gli favellava. Amava furiosamente le donne, e Cunegonda gli parve quanto di più bello avesse mai veduto. La prima cosa ch’ei fece, fu di dimandare s'ella era moglie del capitano, e fece questa domanda in un'aria, che mise Candido in apprensione; non ardì egli dire che era sua sorella perchè non lo era nemmeno, quantunque questa bugia officiosa fosse di moda fra gli antichi e potesse essere utile tra i moderni; aveva l’anima troppo pura per avere a tradire la verità. -La signora Cunegonda, diss'egli, deve farmi l'onor di sposarmi, e siamo a supplicar l’Eccellenza Vostra a degnarsi di fare le nostre nozze.
Don Fernando d'Ibaraa y Figueora y Mascarenes y Lampourdos y Souza, arricciando le basette, sorrise amaramente, e ordinò al capitano Candido d'andare a far la visita della sua compagnia. Candido obbedì; e il governatore si fermò con Cunegonda; le dichiarò la sua passione, le protestò che il giorno appresso l'avrebbe sposata in faccia alla Chiesa, o altrimenti, come più fosse piaciuto alla di lei bellezza; Cunegonda gli domandò un quarto d’ora per raccogliersi, per consultar la vecchia, e determinarsi.
La vecchia diceva a Cunegonda: - Signorina, voi avete settantadue quarti di nobiltà, e nemmeno un picciolo; non sta che a voi il divenir la moglie del più gran signore dell’America Occidentale, e che ha una bella basetta: vorrete voi piccarvi d’una fedeltà a tutta prova?
Voi siete stata oltraggiata da’ Bulgari; un ebreo e un inquisitore si sono succeduti. Le disgrazie danno de' privilegi; ed io confesso, che se fossi ne' vostri piedi non mi farei il minimo scrupolo di sposare il signor governatore, e di far la fortuna di Candido.
Mentre la vecchia così parlava con tutta la prudenza che viene dall'esperienza e dagli anni, si vide entrar nel porto un piccolo legno, che portava un alcade, e degli alguazil; ed ecco quel che era successo.
La vecchia aveva molto bene indovinato, che era questi un francescano conventuale, che avea rubato i danari e le gioje di Cunegonda nella città di Badajoz, quando in tutta fretta se ne fuggiva con Candido. Questo frate avendo voluto vendere alcune di quelle gioje a un giojelliere, furon da lui riconosciute per quelle dell'inquisitore, e il francescano aveva, prima di farsi impiccare, confessato d'averle rubate, indicando le persone e la strada ch’esse avean presa. La fuga di Cunegonda e di Candido era già nota, s’inseguirono fino a Cadice, e senza perder tempo si spedì un bastimento per tener lor dietro, ed era già questi nel porto di Buenos-Aires. Si sparse la nuova che era per sbarcarne un alcade, che veniva in traccia degli assassini di monsignore il grand’Inquisitore; e la vecchia prudente, vide in un istante quel che era da farsi. - Voi non potete fuggire, diss’ella a Cunegonda, e non avete nulla da temere. Non siete voi quella che ha ucciso l'inquisitore, e d’altra parte il governatore che vi ama non vi lascerà maltrattare; restate.
Corre immediatamente da Candido, e “fuggite, gli dice, fra un'ora vi bruceranno.” Non vi era un momento da perdere, ma come lasciar Cunegonda, e dove rifugiarsi?



CAPITOLO XIV

Come Candido e Cacambo furono ricevuti da’ Gesuiti del Paraguai

Candido aveva condotto da Cadice un servitore di quelli che trovansi in abbondanza sulle coste di Spagna e sulle colonie. Era questi un quarto di spagnuolo nato da un meticcio nel Tucuman, era stato chierico di coro, sagrestano, marinaio, frate, fattore, soldato e lacchè. Si chiamava Cacambo, e amava molto il padrone, perchè il padrone era un bell’uomo. Sellò egli immediatamente i due cavalli d’Andalusia, e “andiamo, disse al padrone, seguitiamo il consiglio della vecchia, partiamo e galoppiamo senza voltarci indietro.” - Oh mia cara Cunegonda, dicea Candido piangendo, ho io ad abbandonarvi adesso che il signor governatore è per stringere i nostri sponsali? Oh Cunegonda, condotta di sì lontano che sarà di voi? - Farà quel che potrà, dicea Cacambo, le donne san ben levarsi d'intrigo. Iddio le provvede, scappiamo. - Dove mi meni tu? dove si va? che farem noi senza Cunegonda? - Per San Jacopo di Compostella, diceva Cacambo, tu andavi a far la guerra a' gesuiti, andiamo a farla per loro, io son pratico delle strade, e vi condurrò nel lor regno, ed essi avranno un gusto grandissimo di avere un capitano che faccia l’esercizio alla bulghera, e voi farete una fortuna prodigiosa. Quando non si trova il suo conto in un mondo si va in un altro, ed è un gran piacere vedere, e far cose nuove. - Tu sei dunque stato altre volte nel Paraguai? disse Candido. - E come! rispose Cacambo, sono stato sguattero nel collegio dell’Assunzione, e conosco il governo de los Padres quanto le strade di Cadice. Che cosa maravigliosa che è quel governo! Il regno ha di già trecento leghe di diametro diviso in trenta provincie. I padri vi hanno tutto e i popoli nulla. Questo è il capo lavoro della ragione e della giustizia. Io non vedo per me niente di sì divino quanto i padri che fan qui la guerra al re di Spagna e di Portogallo, e sono in Europa i lor confessori. Qui ammazzano gli Spagnuoli e a Madrid li mandano in paradiso. È un incanto; tiriamo avanti; voi diventerete il più felice di tutti gli uomini. Che piacere avranno los padres, quando sapranno che vien da loro un capitano, che fa l’esercizio alla bulghera!
Arrivati che furono alla prima barriera, Cacambo disse alla sentinella che un capitano voleva parlare a monsignor comandante. Si andò a darne avviso alla gran guardia. Un uffiziale paraguaino corse a’ piedi del comandante a dargliene parte; Candido e Cacambo furono immediatamente disarmati, e furon loro presi i due cavalli d'Andalusia. I due forestieri vengono introdotti in mezzo a due file di soldati, in fondo alle quali era il comandante colla berrettina a tre punte in capo, la toga tirata su, la spada al fianco e lo spuntone In mano. Fece egli un segno, e immediatamente i due forastieri furono circondati da ventiquattro soldati. Gli disse un sergente che conveniva aspettare, che il comandante non potea parlargli, perchè il reverendo padre provinciale non permette ad alcun spagnuolo di aprir la bocca fuorchè in sua presenza, o di restare in paese più di tre ore. - Ma il signor capitano, disse Cacambo, che muor di fame come me, non è spagnuolo, è tedesco; non potrebb'egli intanto che si aspetta Sua Reverenza, far colazione?
Il sergente andò subito a render conto di questo discorso al comandante. - Ringraziato sia Dio, disse questo signore, giacchè è tedesco posso parlargli, conducetelo nella mia pergola.
Candido viene allora introdotto in un gabinetto di verdura adorno d'un bel colonnato di marmo verde venato d'oro, di e belle graticolate con entrovi de' pappagalli, dei colibrì, degli uccelli mosche, dei pintades, e tutti gli uccelli i più rari. Era di già all’ordine in piatti d'oro una colazione squisita, e mentre i paragauini mangiavano del mais in scodelle di legno alla campagna aperta e al bollor del sole, il reverendo padre comandante entrò sotto il pergolato.
Era egli un bel giovanotto, pienotto di viso, di carnagion bianca e colorita, colle ciglia rilevate, l’occhio vivo, l'orecchie rosse, le labbra vermiglie, e l'aria fiera, ma di una fierezza non da spagnuolo e non da gesuita. Furono a Candido e a Cacambo rendute le armi lor prese, come ancora i due cavalli d'Andalusia. Cacambo gli mise a mangiar dell'avena vicino al pergolato, avendo sempre l’occhio addosso a loro per paura di qualche sorpresa.
Candido baciò il lembo della veste al comandante, e quindi si misero a tavola. - Voi siete dunque tedesco, gli disse in quella lingua medesima il gesuita. - Reverendo padre, sì, disse Candido, e l’uno e l’altro in ciò dire si guardavano con estremo stupore e con un'emozione che trattener non. potevano. - E di che paese di Germania siete voi? disse il gesuita. - Della sudicia provincia di Vesfalia. disse Candido; io son nato nel castello di Thunder-ten-tronckh. - Oh cielo! è egli possibile! esclamò il comandante. - Che miracolo! esclamò Candido. - Sareste voi, disse il comandante. Eh eh non può essere disse Candido...
Si lasciano entrambi cadere a traverso, s’abbracciano e versano un fiume di lacrime. - Come? Sareste voi, padre reverendo, il fratello della bella Cunegonda, voi che foste ucciso da' Bulgari! voi il figlio del signor barone! Voi gesuita nel Paraguai! Bisogna confessare che questo mondo è una strana cosa. O Pangloss, Pangloss, qual piacere sarebbe ora il nostro se non foste stato impiccato.
Il comandante fece ritirare gli schiavi negri, e i paraguaini che servivano a tavola recando da bere in gotti di cristallo di rocca; ringraziò Dio e sant’Ignazio mille volte, si stringeva Candido fra le braccia, e il lor viso era bagnato di lacrime. - Voi restereste più stupefatto, più commosso, e più fuor di voi, disse Candido, se lo vi dicessi che Cunegonda vostra sorella, che avete creduta sventrata è piena di sanità. - Dove mai? - Nelle vostre vicinanze, in casa del governatore di Buenos Aires; ed io venivo per farvi la guerra.
Ogni parola che profferivano in questa lunga conversazione accumulava prodigio sopra prodigio. Tutta l’anima volava sulla lingua, era attenta sulle orecchie, brillava loro sugli occhi. Siccome eran tedeschi stettero molto tempo a tavola, aspettando il molto reverendo provinciale; e il comandante così parlo al suo caro Candido.



CAPITOLO XV

Come Candido uccise il fratello della sua cara Cunegonda.

“Mi ricorderò finch'io viva di quel giorno orribile in cui i vidi uccidere mio padre e mia madre, e offender mia sorella. Ritirati che furonsi i Bulgari questa sorella adorabile non si trovo più; si mise in una carretta mia madre, mio padre ed io, con tre altri ragazzi scannati per condurci a seppellire in una cappella di Gesuiti due leghe distante dal castello de’ miei maggiori. Un gesuita ci sparse sopra dell'acqua benedetta, che era terribilmente salata, me n'entrarono alcune gocce negli occhi, e quel Padre s’accorse che la mia pupilla facea un piccol moto. Mi pose la mano sul cuore, e lo sentì palpitare; fui dunque soccorso, e in capo a tre settimane era tornato sano. Il reverendo padre
Didio superior della casa concepì per me un'affezione la più tenera. Mi diè l'abito di novizio, e qualche tempo dopo fui mandato a Roma. Aveva il padre generale bisogno di reclute di gesuiti tedeschi; perchè i sovrani del Paraguai ricevon men che possono gesuiti spagnuoli; hanno più gusto a' forestieri di cui si credono più assoluti padroni. Fui prescelto a proposito dal padre generale di venire a lavorare in questa vigna, onde partimmo un polacco, un tirolese, ed io. Fui al mio arrivo onorato del suddiaconato e dell'impiego di tenente. Io sono al presente colonnello, e sacerdote. Le truppe del re di Spagna saranno ricevute con vigore, ve ne assicuro io, e saranno scomunicate e battute. La provvidenza vi ha qui mandato per secondarci; ma è egli vero che la mia cara Cunegonda sia qui vicino dal governatore di Buenos Aires?”
Candido l’assicurò con giuramento che era verissimo, e le lor lacrime ricominciarono.
Il barone non sapea saziarsi d'abbracciar Candido chiamandolo suo fratello e salvatore. - Ah forse, diss'egli, potremo entrar assieme trionfanti nella città e ripigliar Cunegonda. - Questo è tutto quel che più bramo, diceva Candido, perchè contavo di sposarla, e lo spero. - Come, insolente, riprese allora il barone, avreste voi la sfacciataggine di sposar mia sorella che vanta settantadue quarti di nobiltà? Mi parete bene sfrontato ad aver l’ardire di parlarmi di un disegno sì temerario.
Candido restò di sasso a questa escita, e: Tutt'i quarti del mondo, replicò, non ci han che far nulla, padre mio reverendo. Io ho levato vostra sorella di mano a un ebreo, e ad un inquisitore; ella mi deve dell’obbligazioni e vuole sposarmi. - Maestro Pangloss mi ha sempre detto che gli uomini son tutti eguali, e sicuramente la sposerò. - Lo vedremo, pezzo di birbante, disse il gesuita baron di Thunder-ten-tronckh, e in queste dire gli diè una gran piattonata sul viso.
Candido pose immediatamente mano alla spada o l'immerse fino all'elsa nel corpo del baron gesuita; ma nel ritirarla tutta fumante si mise a piangere; “ahimè! dicendo, che io ho ucciso il mio vecchio padrone, il mio amico, il cognato, io sono il miglior uomo del mondo, e intanto ho ammazzato già tre persone, e fra queste due sacerdoti.”
Cacambo che faceva la sentinella alla porta del gabinetto accorse, e: - Non ci resta; gli disse il padrone, che a vender cara la nostra vita; entreranno senza dubbio nel gabinetto, bisogna morir coll'armi alla mano.
Cacambo che si era trovato in altri imbrogli non si si smarrì punto, prese egli la toga da gesuita che portava il barone, la mise addosso a Candido, gli diede il berrettino del morto, e lo fece montare a cavallo; tutto questo fu fatto in un batter d'occhio.
“Galoppiamo, padrone, sarete da tutti preso per un gesuita, che va a dar degli ordini, e si saran passate le frontiere prima che vi possan dar dietro.”
Nel dir queste parole volava via gridando in spagnuolo: - Largo, largo, al reverendo padre colonnello.
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