A RITROSO di Roberta De Carolis
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A RITROSO
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All’improvviso la chiamarono al citofono: era sicuramente il postino. Si guardava allo specchio: ormai la sua pelle era travolta dalle rughe, gli occhi si erano come rimpiccioliti, un po’ per la stanchezza, un po’ per il senile gonfiore delle palpebre sotto gli occhi. Aveva uno sguardo assente, come se volesse guardare dentro lo specchio senza trovare nulla. C’era solo lei, con la sua rinuncia alla giovinezza, con le sue scelte e la sua disperata voglia di vivere. I suoi movimenti ormai si erano fatti lenti e malfermi e la sua diminuzione di peso era compensata dalla gravità dei suoi passi, con cui voleva affermare indiscutibilmente la sua dannatissima presenza. Non ci era mai riuscita. Non era possibile in una famiglia come la sua, in cui lei aveva scelto il silenzio come protesta. Anche il pianto era divenuto silenzioso, qualcosa di intimo, uno sfogo contro la sua assoluta incapacità di vivere. Non odiava i genitori per il loro fallimento, ma i loro tentativi di coinvolgerla a volte sì. L’odio per i genitori è un sentimento tutto particolare, della stessa intensità dell’amore per loro. Quando si arriva a odiare i propri genitori non si smette nemmeno un minuto di amarli, perché quell’odio è figlio dell’amore stesso. Lei non odiava il fratello perché, quando la situazione distruggeva anche lui, se la prendeva con la sorella che soffriva per gli stessi motivi, ma perché non era come lei avrebbe desiderato un fratello maggiore. L’odio piu’ pericoloso è quello dovuto alla non accettazione dell’altro, perché si ritorce contro noi stessi, e quando lo si prova nei confronti di un fratello è qualcosa di soffocante, perché è come se non accettassi una parte di te. Provava un sottile ma penetrante fastidio nel vedere la sua debolezza, il suo continuo cercare protezione. Si accorse presto che l’irrefrenabile voglia che aveva di gridargli “Svegliati! Il mondo non ti aspetta!” era piu’ frutto di egoismo che di amore nei suoi confronti. Non che non gli volesse bene, ma a volte temeva fosse solo il richiamo del sangue, come se fossero i suoi geni a cercare i fratelli, non il suo cuore il fratello. Pensava spesso che se quel ragazzo non fosse stato il fratello l’avrebbe odiato con tutte le sue forze, ma i geni costituivano un muro resistente contro questo fiume in piena. Voleva odiarlo, perché nella sofferenza non l’aveva sostenuta, anzi, era divenuto per lei un ulteriore peso, perché i genitori cercavano di proteggere lui e non lei, perché non era l’uomo che il padre non era mai stato; sapeva però di non averne il diritto. Questo sentimento soffocato diveniva tanto piu’ forte quanto piu’ veniva inibito da uno altrettanto forte: l’amore. E la lotta universale, che per lei era interiore, l’aveva consumata, piu’ degli anni stessi; nella rughe rileggeva tutta la sua storia, da quando sua madre le disse che un osso importante del suo matrimonio si era rotto e pretendeva di appoggiarsi ai deboli 13 anni della figlia, a quel Natale in cui l’unico albero era il suo viso e lacrime i suoi addobbi, a quella volta in cui sentì, forte, l’istinto di uccidere il fratello che voleva, ancora, trascinarla nei dissidi familiari. Nel suo passo stanco sentiva l’abbandono delle forze ma anche la delusa richiesta di aiuto. Il citofono squillò nuovamente e lei dovette andare ad aprire… “Povero postino, lasciamogli fare il suo lavoro”. Poco dopo sentì dei ritmici passi gravi incedere verso la sua porta e un brivido le percorse la schiena. Pensò che lei era abituata ai passi confusi dei suoi vecchi compagni di lavoro, a quelli lenti, anche se un po’ minacciosi, del suo capo, al massimo ai passi veloci del padre furioso, quando era bambina, ma non aveva mai sentito dei passi così… Erano tutti uguali, tutti della stessa intensità, tutti con lo stesso peso, e puntavano dritto verso la sua porta. Continuarono, continuarono per parecchi minuti: nessuno suonava, ma i passi si sentivano sempre piu’ netti. Voleva scappare, ma non ce la faceva, voleva urlare, ma le mancò la voce… Poté solo fare un ultimo atto di coraggio e aprire la porta…I vicini la trovarono così, distesa a terra, ma con gli occhi, ancora, disperatamente aperti…
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