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Fermata n°3

Fermata n°3

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Nel passeggiare per i deserti vicoli di quella città, che diveniva inquietantemente silenziosa durante le ore fin troppo calde del pomeriggio, mi persi. Tentai di girare qualche angolo in cerca di uno scorcio conosciuto ma non trovai niente. Continuai a cercare senza un percorso preciso finché non vidi, seduto al lato della strada, coperto da un poncho sudicio, un uomo. Raccogliendo tutte le mie, seppur poche, nozioni della lingua, mi avvicinai e chiesi informazioni su come tornare nella zona di S. Juan.
Oramai pensavo che fosse addormentato quando alzò la testa lasciando intravedere, sotto il sombrero, il viso di un vecchio di carnagione scura segnato da una cicatrice che attraversava quasi tutta una guancia, andando a finire su un occhio completamente bianco.
Ebbi un lieve sussulto, ma riuscii a farlo passare per un sospiro di caldo.
Mi fissò per qualche secondo finché non mi disse, con una voce rauca e stridula <<Prendi la linea 13 per il Rosso (era così che usavano chiamare il deserto roccioso che si stendeva accanto alla città) fino alla fermata 3. Da la troverai il pullman che ti porterà dove vuoi andare.>>
Stavo per ringraziare e salutare ma il vecchio continuò <<Anche io sono stato a quella fermata da giovane, avevo trenta anni, imprenditore in carriera.>> sospirò vistosamente <<mi affannavo con il lavoro, e lo facevo dannatamente bene! Per non dire del mantenimento della mia figura nel mondo esclusivo dell’alta società. Ma vivevo lontano da qui, nella capitale.>>
Fece una breve pausa nella quale, con l’occhio buono, guardò il sole, poi, più lentamente, continuò <<Ma, come forse devi ancora capire, è inutile correre se non sai dove andare. Ed è quello che stavo facendo, correre in cerchio per evitare quello che c’era al centro.>>
Attesi la conclusione della frase, ma il vecchio si limitò a riabbassare la testa facendo scomparire il viso sotto il largo cappello.
<<Cosa c’era al centro?>> chiesi forse con un po’ di foga.
Senza muoversi disse, con un tono pacato, quasi fosse la cosa più ovvia di questo mondo, <<la meta>>.
Rimasi un po’ perplesso e un po’ indispettito da quella risposta e da quel uomo che stava evidentemente giocando con me. Stetti al gioco.
<<E quale sarebbe la meta?>>
<<Il posto dove devi andare>> disse lui.
<<Ma non mi dica>> risposi lasciando trapelare la mia scocciatura, <<senta, la ringrazio delle informazioni, ma adesso devo proprio andare. Arrivederci>>.
<<Non voglio prenderti in giro>> disse lui mostrando di nuovo il viso adesso sorridente <<Ma come faccio a dirti la tua meta se solo tu la puoi sapere.>>.
Mi fermai e, con più calma dissi <<Va beh. Comunque che centra tutto questo con la mia fermata?>>
<<Semplice, un giorno, cercando una fermata, mi fu indicata la 3, e, raggiuntala, lessi dove andava l’unico pullman che vi passava.>> Nuovamente tornò a nascondersi.
<<E allora? Ma cosa centra questo. E poi ha detto che viveva lontano da qui, come avrebbe fatto ad arrivare a una fermata che sta qua. Mi sa che sta facendo un po’ di confusione e io davvero non ho più tempo di ascoltarla. Arrivederci>> dissi spazientito.
Senza muoversi disse <<Non sono confuso, non vivevo qua, e allora?>>
<<Ma questo non ha senso!>> risposi, attendendo poi una spiegazione. Ma non arrivò, il vecchio non mi disse più niente.
Fu così che mi incamminai in cerca di una fermata dove passasse la linea 13 per raggiungere la fermata 3, dopotutto mi ero perso, quindi tanto valeva provare a vedere se l’uomo mi aveva dato le indicazioni giuste per tornare a casa.
Non fu difficile trovarla, e non dovetti neanche aspettare tanto sotto il sole finché il pullman passò.
Il mezzo era vuoto, così, per sicurezza, chiesi al conducente se il pullman passava per la fermata 3 nel deserto. L’autista mi squadrò e mi disse <<Un po’ tutti andiamo la, dopotutto>>.
Mi sorrise e, prima che potessi ribattere, concluse <<comunque ci passiamo, non preoccuparti, ma ci vorrà almeno un’ora e mezzo>>.
Mi sedetti ed attesi. Dopo un po’ entrammo nel deserto, che vista! Vedevo la città che si allontanava fino a vederne i confini e, intorno, il nulla. Sentivo una sensazione strana, da una parte era ammaliante vedere il panorama, dall’altra, l’essere nel vuoto, il vedere quella città che dall’interno mi pareva infinita, come una macchia nell’orizzonte, mi facevano inesistente. Ero come un uomo che si china su un formicaio e vede centinaia di formiche che senza mai fermarsi corrono e si scontrano solo per poi ripartire. E mi vidi come una formica, una delle tante, indistinguibile, nel correre senza una meta, formando, insieme alle altre formiche, una macchia scura su un prato, uno dei tanti di un giardino qualunque.
Per molto tempo fui immerso in pensieri profondi su di me, sugli altri, su ogni particolare della mia vita, e su come gli eventi che pensavo più importanti, non fossero altro, a loro volta, che coaguli di piccoli e insignificanti momenti. Mi venne quindi da chiedermi quale penna tracciasse quelle linee che uniscono una serie di questi dettagli rendendoli più importanti degli altri, e chi la manovrasse, e perché.
Viaggiai a lungo nei miei pensieri, tanto che sobbalzai quando l’autista mi disse che eravamo alla fermata 3. Salutai e scesi.
Ero immerso in una pianura vuota, attraversata solo dalla lunga strada che avevo percorso per venire, e nella quale era piantato, a una decina di metri da me, un palo di legno con infissi due cartelli, di cui uno diceva “fermata 3 “. Sul secondo cartello ci doveva essere il percorso dei pullman che vi passavano, ma non riuscivo ancora a leggerlo.
Fui preso da un dubbio, cosa aveva letto il vecchio che mi aveva indicato la fermata. Mi aveva davvero preso in giro? C’era un solo modo per capirlo, mi avvicinai e lessi.
Proprio quando finii passò il pullman n°3, ma non lo presi, sorrisi, e cominciai a tornare verso la città a piedi, la strada era lunga.
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