Alla ricerca della mamma perduta di Antonio Caterina
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Alla ricerca della mamma perduta
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Giacomo era piccolo, ma tanto piccolo, come un batuffolo di lana; con tanta voglia di crescere.
Fu affidato ad un orfanotrofio di un grande paese, tutti cominciarono a volergli bene perché era un bambino modello Seguiva tutti gli insegnamenti che gi venivano dati. Ogni mattina si alzava, si rifaceva il letto, si lavava, poi scendeva giù con gli altri bambini per la colazione
Prima di tutto questo diceva, con gli altri una preghiera per ringraziare il Signore affinché la giornata andasse per il meglio. Dopo di che, tutti in fila, si saliva su pulmino che li avrebbe portati a scuola. A scuola si era invaghito di una maestra di nome Leonilda e immaginava come sarebbe stato bello se lei fosse stata sua madre. Era gentile, mansueta, aggraziata e vestiva in modo molto serio anche se, di età era molto giovane. Si vedeva che aveva avuto dei genitori molto responsabili. Quando spiegava la sua materia, l’italiano, Giacomo rimaneva come rapito dalla sua voce armoniosa e calda e avrebbe voluto che quell’ora non finisse mai. Anche lei gli voleva molto bene.
Alla fine della scuola, la solita storia, ritornava il pulmino a prenderli per portarli di nuovo all’orfanotrofio. Arrivati, si toglievano il grembiule e lo zaino, ognuno nella propria stanza, poi scendevano in mensa dove, prima di cominciare a mangiare, facevano una preghiera. Intanto gli anni passavano e Giacomo cresceva. Stava per diventare un uomo maturo e libero. E già! Perché all’età adulta avrebbe dovuto prendere un’altra strada. Avrebbe dovuto salutare tutti i suoi amici con la speranza di rivederli al più presto. Ma quello che lo scosse di più è quando venne a sapere che aveva una mamma e che tutto questo gli era sempre stato nascosto. Allora decise di andare dalla Madre Superiora per capire meglio come era questa storia. La Madre Superiora, in un primo tempo, era imbarazzata a parlargli di questa storia, ma poi si cominciò ad aprire anche perché era giunt il momento di sapere tutta la verità. Il discorso cominciò in questi termini: “Caro Giacomo, non ti ho detto mai niente perché tua madre mi vietò di parlarti di lei fino a che tu non avessi raggiunto la maggiore età. Quindi ho dovuto tenerti tutto nascosto.” Allora, Giacomo chiese di avere più notizie e come avrebbe potuto rintracciare la mamma. Ma la risposta fu che dall’ultima volta che era venuta, non avevano saputo più nulla. Gli sembrava di impazzire, ma non si perse d’animo e con la buona volontà e testardaggine si mise in cerca di sua madre. Vagò per città, paesi, ma nessuno la conosceva e non l’avevano mai vista. Il solo ricordo che gli rimaneva era quello di una fotografia, era bellissima, alta, bruna, carnagione un po’ scura, occhi marroni. Voleva capire perché tutto questo era successo proprio a lui. Ma comunque continuò per la sua strada e decise che fino a quando avesse avuto la salute l’avrebbe cercato; anche, come si suol dire, in capo al mondo. Perché solo chi non ha mai avuto l’affetto, la tenerezza e l’amore di una madre può arrivare a capire, a comprendere le cose.
Avrebbe voluto tanto essere come tutti gli altri bambini, ma, purtroppo, non tutti siamo nati fortunati. Si trovò, un giorno, a Firenze e fu lì, che quando entrò in un bar e chiese al barista: “Scusi mi può fare un cappuccino”, mentre stava in attesa sentì delle voci che dicevano: “Ma quello non è il figlio di Clarissa?”. Allora incuriosito si avvicinò, tirò fuori dalla tasca la foto della mamma e chiese: “La conoscete?” Questi rimasero un po’ imbambolati perché non sapevano se dirgli la verità oppure una bugia. Ma alla fine dissero che la conoscevano come una non abituale cliente del bar. A questo punto il suo calvario continuava nell’attesa di ritrovarla. Ad un tratto, stanco com’era, decise di andare in una pensione per rifocillarsi e dormire un po’ e poi l’indomani avrebbe continuato le ricerche. La notte la passò irrequieto mentre nella sua mente, i pensieri si arrovellavano come lame ardenti di fuoco in cerca di una spiegazione. Finalmente arrivò il giorno seguente e come al solito ordinò un cappuccino al barista della pensione. Finito il cappuccino salutò il barista e uscì dirigendosi verso la stazione centrale, che distava un chilometro dalla pensione, giunto si diresse verso la biglietteria e visto che c’era molta gente dovette mettersi in fila e attendere il suo turno.
Arrivò anche il suo turno ed era indeciso quale destinazione avrebbe dovuto prendere. Mentre dietro la gente faceva pressione e lo incitava a decidersi ad acquistare il biglietto. Finalmente si decise e disse: “Un biglietto per Cuba”. Scelse questa destinazione perché, ripensandoci bene, si ricordò che la bar aveva sentito che forse il posto dove avrebbe potuto trovare la madre era: “Cuba” essendo una zona calda che a lei piaceva molto. E così dovette cambiare molte volte il treno per prendere la coincidenza giusta per arrivare a Cuba. Si trovava in uno stato d’animo felice e nello stesso tempo ansioso. Tutto gli sembrava irreale, mentre davanti ai suoi occhi scorrevano vedute di paesaggi mai visti prima. Ad un certo punto il treno fece una brusca frenata e il controllore ordinò a tutti di stare calmi, tranquilli perché c’era un problema e che in poco tempo tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. Intanto le ore passavano e la gente cominciava a diventare nervosa ed agitata e voleva una spiegazione. Dopo tanto fu data la risposta che dato che era notte e non ci si vedeva i lavori sarebbero ripresi l’indomani. Giacomo disse: “Anche questo ci mancava” e così come tutti gli altri si mise l’animo in pace e rientrò nel proprio scompartimento cercando di trovare una soluzione per passare la notte. Nel suo scompartimento, seduta accanto a lui, c’era una graziosa signora che lo fissava, forse aveva capito in che stato d’animo si trovasse. E cominciarono a parlare. Gli disse che anche lei dovette lasciare Cuba perché le avevano ammazzato il marito e i figli che si erano ribellati alle leggi vigenti e che era venuta in Italia per rifarsi una nuova vita, ma che sentiva sempre nostalgia della sua terra. Ma ora ritornava dopo dieci lunghi anni, perché voleva vivere il resto degli anni dove le furono tolti gli affetti più cari. Mentre Giacomo vedeva gli occhi di lei brillare e riempirsi di lacrime, a dir la verità, anche lui ebbe una sensazione strana. Cercò di farle capire che purtroppo il potente prevarica sempre sul più debole, ma che prima o poi questa situazione sarebbe cambiata. La confortò come meglio poteva e lei lo ringraziò con un bacio sulla guancia e si rasserenò. Poi calò un dolce torpore e si addormentarono. Intanto l’alba cominciava a nascere e si fece giorno e negli scompartimenti i viaggiatori cominciavano a svegliarsi. Chi sbadigliava ancora, chi si sgranchiva le gambe e così via. A questo punto passò il controllore e disse: “Buongiorno signori, il guasto è stato riparato, si riprende il viaggio”. Allora, tutti contenti, fecero un applauso, Giacomo non vedeva l’ora di arrivare. La signora che era seduta accanto a lui gli disse che se aveva bisogno di qualcosa, poteva contare su di lei. Lui rispose: “Veramente non le vorrei dare disturbo”.
Lei rise e disse: “ Ma nessun fastidio, figurati”, così presero confidenza. Giunsero a Cuba, era bellissima, per Giacomo tutto questo, sole, spiagge, belle ragazze, per lui, che non aveva mai visitato questi luoghi, sembrava assomigliare al paradiso terrestre. Mentre scendevano dal treno la signora gli prese la mano e gli fece capire di seguirla. Vedeva lunghi viali e tanti alberi di palme e le luci accese; gli sembrava di vivere in un sogno. Quando arrivarono era sera, giunsero a casa di Marika che si trovava in un quartiere dove tutti si rispettavano e si volevano bene. Cominciarono a disfare i bagagli, a fare i letto, poi sorseggiarono un te e alla fine andarono a dormire. Anche un altro giorno si era concluso! La notte passò tranquilla e Giacomo riuscì a riprendere le forze che aveva perso durante il lungo viaggio. All’indomani si alzarono, fecero colazione e si misero subito alla ricerca di Clarissa. Girarono per vicoli, quartieri, villaggi, ma niente da fare, nessuno sapeva e aveva visto niente. Marika, così si chiamava la signora gli disse: “Giacomo, facciamo una cosa, ora andiamo a mettere qualcosa sotto i denti poi, di conseguenza ci diamo una regola sul da farsi”. Tornarono a casa e Giacomo mangiò dei piatti tipici di quel posto. Non sapeva proprio come ringraziare Marika per questo aiuto che gli stava dando. “Giacomo, non preoccuparti, vedrai che prima o poi la troveremo”. Finito il pasto si riposarono un po’ e poi ripresero le ricerche. Scese la sera, ma di Clarissa nessuna notizia. Giacomo disse: “Sai, Marika, avrei voglia di ascoltare della buona musica dal vivo, che ne dici?”. “Certo, ti porterò in un posto dove si suona esclusivamente musica dal vivo”. E così andarono in un locale molto bello che affacciava sul mare e in mezzo c’era una grandissima piattaforma dove suonava un gruppo locale. Tutti ballavano, si divertivano, bevevano e anche Giacomo decise che quella sera voleva liberare la sua mente dal pensiero che lo assillava, cioè quello di ritrovare la madre. Così prese Marika per mano e la invitò a ballare, anche se Giacomo non sapeva ballare. Ma comunque lei lo guidò e rimase molto contenta di aver ballato con lui. Sentiva che stava nascendo qualcosa di molto forte dentro di lui, non so se era amore oppure una vera amicizia. Il sangue gli ribolliva dentro. Decise di fare una sorpresa a Marika, andò dal leader del gruppoe, anche se non sapeva parlare bene la loro lingua, cercò con i gesti di farsi capire. Alla fine ci riuscì e salì sulla piattaforma per eseguire con loro un brano musicale alle percussioni. Marika rimase sbalordita, gli andò incontro tutta contenta e disse: “Non sapevo che eri così bravo a suonare”, Giacomo rispose che era una passione che aveva da quando era piccolo.
Finita la festa ritornarono a casa e mentre stavano per sdraiarsi sul letto, bussarono alla porta. Marika andò ad aprire, era una signora amica di Clarissa che li avrebbe aiutati nella ricerca. Si cominciava ad aprire uno spiraglio di luce. La fecero entrare, sedere e Consuelo cominciò: “Clarissa non è qui a Cuba, ma a Santiago e lavora presso l’Hotel Cuba 1 come cameriera. Purtroppo è dovuta fuggire perché c’era un essere spregevole che gli dava la caccia e che la voleva solo sfruttare. Mentre quando stava in Italia rimase incinta e colui che doveva essere il padre di Giacomo sparì. Ecco perché anche col dolore nel cuore dovette affidarti ad un orfanotrofio, non aveva le possibilità per mantenerti, comunque mi incaricò di dirti che se un giorno l’avresti trovata o saputo notizie, che rivoleva e ti vuole sempre bene.” Giacomo non sapeva se esultare di gioia oppure rimanere a riflettere su tutti i guai che gli erano successi. Ringraziò la signora amica della madre e la rassicurò che le avrebbe fatto sapere notizie su Clarissa. Guardò Marika che con un salto di gioia lo abbracciò e gli disse: “Hai visto che ce l’abbiamo fatta a ritrovarla?”. Domani andremo a Santiago. Neanche quella notte riuscì a dormire e pensava chissà se era bella come una volta. L’importante era rivederla e stringerla forte tra le braccia, sudò anche perché faceva molto caldo quella notte. Dopo la tanto attesa, arrivò il giorno e si diressero verso Santiago ed andarono all’Hotel Cuba 1. Arrivati all’entrata Giacomo aveva come brividi di freddo su tutto il corpo. Marika lo invogliava ad entrare e a non avere timore. Si decise, entrarono e chiesero: “Cerchiamo la signora Clarissa”, l’addetto alla portineria chiese chi doveva annunciare. “Sono suo figlio”. Questa sarebbe potuta essere la parte più gioiosa o più dolorosa. Arrivò, Giacomo e Clarissa rimasero a fissarsi, poi lui l’abbracciò piangendo e le sussurrò: “Mamma sono tuo figlio, non mi riconosci?”. Lui la fissò di nuovo con le lacrime agli occhi e disse: “Certo che ti riconosco mio piccolo tesoro, quanto ho aspettato questo momento” anche Marika pianse. Giacomo presentò Marika alla madre e la ringrazi per tutto quello che aveva fatto per lui. Prendendo la madre per mano Giacomo le disse: “A che ora finisci di lavorare?”. “Fra un’ora” rispose, “intanto fatevi una passeggiata”. Erano le ore sedici e così Giacomo e Marika andarono a fare questa passeggiata nella quale non so se fece bene o male, cominciò prospettarle quello che gli stava succedendo. “Sai, Marika, volevo dirti, anche se ci conosciamo poco, quando ti vedo sento qualcosa di molto forte. Forse saranno stati i tuoi occhi, i capelli, il tuo modo di parlare, comunque resta di fatto che ho bisogno di te”. Marika lo fissava con quei suoi occhi, poi si fece rossa in viso, stette un momento e riflettere e disse: “Giacomo, anch’io sento qualcosa dentro, però non affrettiamo i tempi, se sono rose fioriranno”. Purtroppo una sua brutta abitudine era quella di affrettare i tempi. Si erano fatte le cinque e così andarono a prendere la madre al lavoro. Di lì decisero cosa fare e si recarono a casa di Clarissa che distava un chilometro e mezzo dal lavoro. Arrivati la madre disse: “Giacomo mentre io e Marika prepariamo qualcosa da mangiare, tu visita la casa e dimmi se ti piace”. E così fece. Era a pianterreno, ma era disposta bene, nel senso che aveva tutto quello che si poteva cercare. E cioè una cucina, un bagno, due camere da letto che affacciavano sul mare e un salotto. Dopo aver visitato la casa si diresse verso la cucina e notò che Marika e Clarissa erano diventate amiche e questo gli fece molto piacere. Voltandosi la madre livide e gli chiese: “Allora che ne pensi, ti piace?”. Giacomo rispose: “Si, è molto bella, ma dovra pagare molto.” “No, Giacomo, pago il giusto”. La cena era quasi pronta e non poteva credere di sedere a tavola con la madre e Marika alle quali voleva molto bene. Mangiarono e bevvero tutto. Giacomo era seduto di fronte a Marika e ogni tanto si fissavano, mentre la madre sorrideva e capiva. Finita la cena uscirono tutti e tre. Fecero una bella passeggiata sul lungomare, puoi Clarissa chiese a Marika se era stanca e lei rispose di no, “Se vuoi puoi andare, anzi Giacomo, accompagnala”. Mia madre la salutò e la ringraziò per la bella serata che avevano passato e disse: “ Ci vediamo domani.” Giacomo accompagnò Marika a casa e la salutò con un bacio sulla guancia, “ci vediamo domani alle dieci”. Ritornato a casa, Clarissa era seduta sul divano a vedere la televisione. Fece un cenno con la mano e Giacomo capì che si doveva sedere vicino a lei. Così si sedette, la fissò negli occhi e le disse: “E’ vero che non mi lascerai più?”. Con un silenzio gli fece capire il si. Poi andarono a dormire, dopo tanto anche Giacomo ritornava ad avere una mamma. Il giorno seguente salutò la madre e le disse: “Mamma, vado da Marika, ti veniamo a prendere alle cinque al lavoro”. “va bene Giacomo, vi aspetto”.
Fu affidato ad un orfanotrofio di un grande paese, tutti cominciarono a volergli bene perché era un bambino modello Seguiva tutti gli insegnamenti che gi venivano dati. Ogni mattina si alzava, si rifaceva il letto, si lavava, poi scendeva giù con gli altri bambini per la colazione
Prima di tutto questo diceva, con gli altri una preghiera per ringraziare il Signore affinché la giornata andasse per il meglio. Dopo di che, tutti in fila, si saliva su pulmino che li avrebbe portati a scuola. A scuola si era invaghito di una maestra di nome Leonilda e immaginava come sarebbe stato bello se lei fosse stata sua madre. Era gentile, mansueta, aggraziata e vestiva in modo molto serio anche se, di età era molto giovane. Si vedeva che aveva avuto dei genitori molto responsabili. Quando spiegava la sua materia, l’italiano, Giacomo rimaneva come rapito dalla sua voce armoniosa e calda e avrebbe voluto che quell’ora non finisse mai. Anche lei gli voleva molto bene.
Alla fine della scuola, la solita storia, ritornava il pulmino a prenderli per portarli di nuovo all’orfanotrofio. Arrivati, si toglievano il grembiule e lo zaino, ognuno nella propria stanza, poi scendevano in mensa dove, prima di cominciare a mangiare, facevano una preghiera. Intanto gli anni passavano e Giacomo cresceva. Stava per diventare un uomo maturo e libero. E già! Perché all’età adulta avrebbe dovuto prendere un’altra strada. Avrebbe dovuto salutare tutti i suoi amici con la speranza di rivederli al più presto. Ma quello che lo scosse di più è quando venne a sapere che aveva una mamma e che tutto questo gli era sempre stato nascosto. Allora decise di andare dalla Madre Superiora per capire meglio come era questa storia. La Madre Superiora, in un primo tempo, era imbarazzata a parlargli di questa storia, ma poi si cominciò ad aprire anche perché era giunt il momento di sapere tutta la verità. Il discorso cominciò in questi termini: “Caro Giacomo, non ti ho detto mai niente perché tua madre mi vietò di parlarti di lei fino a che tu non avessi raggiunto la maggiore età. Quindi ho dovuto tenerti tutto nascosto.” Allora, Giacomo chiese di avere più notizie e come avrebbe potuto rintracciare la mamma. Ma la risposta fu che dall’ultima volta che era venuta, non avevano saputo più nulla. Gli sembrava di impazzire, ma non si perse d’animo e con la buona volontà e testardaggine si mise in cerca di sua madre. Vagò per città, paesi, ma nessuno la conosceva e non l’avevano mai vista. Il solo ricordo che gli rimaneva era quello di una fotografia, era bellissima, alta, bruna, carnagione un po’ scura, occhi marroni. Voleva capire perché tutto questo era successo proprio a lui. Ma comunque continuò per la sua strada e decise che fino a quando avesse avuto la salute l’avrebbe cercato; anche, come si suol dire, in capo al mondo. Perché solo chi non ha mai avuto l’affetto, la tenerezza e l’amore di una madre può arrivare a capire, a comprendere le cose.
Avrebbe voluto tanto essere come tutti gli altri bambini, ma, purtroppo, non tutti siamo nati fortunati. Si trovò, un giorno, a Firenze e fu lì, che quando entrò in un bar e chiese al barista: “Scusi mi può fare un cappuccino”, mentre stava in attesa sentì delle voci che dicevano: “Ma quello non è il figlio di Clarissa?”. Allora incuriosito si avvicinò, tirò fuori dalla tasca la foto della mamma e chiese: “La conoscete?” Questi rimasero un po’ imbambolati perché non sapevano se dirgli la verità oppure una bugia. Ma alla fine dissero che la conoscevano come una non abituale cliente del bar. A questo punto il suo calvario continuava nell’attesa di ritrovarla. Ad un tratto, stanco com’era, decise di andare in una pensione per rifocillarsi e dormire un po’ e poi l’indomani avrebbe continuato le ricerche. La notte la passò irrequieto mentre nella sua mente, i pensieri si arrovellavano come lame ardenti di fuoco in cerca di una spiegazione. Finalmente arrivò il giorno seguente e come al solito ordinò un cappuccino al barista della pensione. Finito il cappuccino salutò il barista e uscì dirigendosi verso la stazione centrale, che distava un chilometro dalla pensione, giunto si diresse verso la biglietteria e visto che c’era molta gente dovette mettersi in fila e attendere il suo turno.
Arrivò anche il suo turno ed era indeciso quale destinazione avrebbe dovuto prendere. Mentre dietro la gente faceva pressione e lo incitava a decidersi ad acquistare il biglietto. Finalmente si decise e disse: “Un biglietto per Cuba”. Scelse questa destinazione perché, ripensandoci bene, si ricordò che la bar aveva sentito che forse il posto dove avrebbe potuto trovare la madre era: “Cuba” essendo una zona calda che a lei piaceva molto. E così dovette cambiare molte volte il treno per prendere la coincidenza giusta per arrivare a Cuba. Si trovava in uno stato d’animo felice e nello stesso tempo ansioso. Tutto gli sembrava irreale, mentre davanti ai suoi occhi scorrevano vedute di paesaggi mai visti prima. Ad un certo punto il treno fece una brusca frenata e il controllore ordinò a tutti di stare calmi, tranquilli perché c’era un problema e che in poco tempo tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. Intanto le ore passavano e la gente cominciava a diventare nervosa ed agitata e voleva una spiegazione. Dopo tanto fu data la risposta che dato che era notte e non ci si vedeva i lavori sarebbero ripresi l’indomani. Giacomo disse: “Anche questo ci mancava” e così come tutti gli altri si mise l’animo in pace e rientrò nel proprio scompartimento cercando di trovare una soluzione per passare la notte. Nel suo scompartimento, seduta accanto a lui, c’era una graziosa signora che lo fissava, forse aveva capito in che stato d’animo si trovasse. E cominciarono a parlare. Gli disse che anche lei dovette lasciare Cuba perché le avevano ammazzato il marito e i figli che si erano ribellati alle leggi vigenti e che era venuta in Italia per rifarsi una nuova vita, ma che sentiva sempre nostalgia della sua terra. Ma ora ritornava dopo dieci lunghi anni, perché voleva vivere il resto degli anni dove le furono tolti gli affetti più cari. Mentre Giacomo vedeva gli occhi di lei brillare e riempirsi di lacrime, a dir la verità, anche lui ebbe una sensazione strana. Cercò di farle capire che purtroppo il potente prevarica sempre sul più debole, ma che prima o poi questa situazione sarebbe cambiata. La confortò come meglio poteva e lei lo ringraziò con un bacio sulla guancia e si rasserenò. Poi calò un dolce torpore e si addormentarono. Intanto l’alba cominciava a nascere e si fece giorno e negli scompartimenti i viaggiatori cominciavano a svegliarsi. Chi sbadigliava ancora, chi si sgranchiva le gambe e così via. A questo punto passò il controllore e disse: “Buongiorno signori, il guasto è stato riparato, si riprende il viaggio”. Allora, tutti contenti, fecero un applauso, Giacomo non vedeva l’ora di arrivare. La signora che era seduta accanto a lui gli disse che se aveva bisogno di qualcosa, poteva contare su di lei. Lui rispose: “Veramente non le vorrei dare disturbo”.
Lei rise e disse: “ Ma nessun fastidio, figurati”, così presero confidenza. Giunsero a Cuba, era bellissima, per Giacomo tutto questo, sole, spiagge, belle ragazze, per lui, che non aveva mai visitato questi luoghi, sembrava assomigliare al paradiso terrestre. Mentre scendevano dal treno la signora gli prese la mano e gli fece capire di seguirla. Vedeva lunghi viali e tanti alberi di palme e le luci accese; gli sembrava di vivere in un sogno. Quando arrivarono era sera, giunsero a casa di Marika che si trovava in un quartiere dove tutti si rispettavano e si volevano bene. Cominciarono a disfare i bagagli, a fare i letto, poi sorseggiarono un te e alla fine andarono a dormire. Anche un altro giorno si era concluso! La notte passò tranquilla e Giacomo riuscì a riprendere le forze che aveva perso durante il lungo viaggio. All’indomani si alzarono, fecero colazione e si misero subito alla ricerca di Clarissa. Girarono per vicoli, quartieri, villaggi, ma niente da fare, nessuno sapeva e aveva visto niente. Marika, così si chiamava la signora gli disse: “Giacomo, facciamo una cosa, ora andiamo a mettere qualcosa sotto i denti poi, di conseguenza ci diamo una regola sul da farsi”. Tornarono a casa e Giacomo mangiò dei piatti tipici di quel posto. Non sapeva proprio come ringraziare Marika per questo aiuto che gli stava dando. “Giacomo, non preoccuparti, vedrai che prima o poi la troveremo”. Finito il pasto si riposarono un po’ e poi ripresero le ricerche. Scese la sera, ma di Clarissa nessuna notizia. Giacomo disse: “Sai, Marika, avrei voglia di ascoltare della buona musica dal vivo, che ne dici?”. “Certo, ti porterò in un posto dove si suona esclusivamente musica dal vivo”. E così andarono in un locale molto bello che affacciava sul mare e in mezzo c’era una grandissima piattaforma dove suonava un gruppo locale. Tutti ballavano, si divertivano, bevevano e anche Giacomo decise che quella sera voleva liberare la sua mente dal pensiero che lo assillava, cioè quello di ritrovare la madre. Così prese Marika per mano e la invitò a ballare, anche se Giacomo non sapeva ballare. Ma comunque lei lo guidò e rimase molto contenta di aver ballato con lui. Sentiva che stava nascendo qualcosa di molto forte dentro di lui, non so se era amore oppure una vera amicizia. Il sangue gli ribolliva dentro. Decise di fare una sorpresa a Marika, andò dal leader del gruppoe, anche se non sapeva parlare bene la loro lingua, cercò con i gesti di farsi capire. Alla fine ci riuscì e salì sulla piattaforma per eseguire con loro un brano musicale alle percussioni. Marika rimase sbalordita, gli andò incontro tutta contenta e disse: “Non sapevo che eri così bravo a suonare”, Giacomo rispose che era una passione che aveva da quando era piccolo.
Finita la festa ritornarono a casa e mentre stavano per sdraiarsi sul letto, bussarono alla porta. Marika andò ad aprire, era una signora amica di Clarissa che li avrebbe aiutati nella ricerca. Si cominciava ad aprire uno spiraglio di luce. La fecero entrare, sedere e Consuelo cominciò: “Clarissa non è qui a Cuba, ma a Santiago e lavora presso l’Hotel Cuba 1 come cameriera. Purtroppo è dovuta fuggire perché c’era un essere spregevole che gli dava la caccia e che la voleva solo sfruttare. Mentre quando stava in Italia rimase incinta e colui che doveva essere il padre di Giacomo sparì. Ecco perché anche col dolore nel cuore dovette affidarti ad un orfanotrofio, non aveva le possibilità per mantenerti, comunque mi incaricò di dirti che se un giorno l’avresti trovata o saputo notizie, che rivoleva e ti vuole sempre bene.” Giacomo non sapeva se esultare di gioia oppure rimanere a riflettere su tutti i guai che gli erano successi. Ringraziò la signora amica della madre e la rassicurò che le avrebbe fatto sapere notizie su Clarissa. Guardò Marika che con un salto di gioia lo abbracciò e gli disse: “Hai visto che ce l’abbiamo fatta a ritrovarla?”. Domani andremo a Santiago. Neanche quella notte riuscì a dormire e pensava chissà se era bella come una volta. L’importante era rivederla e stringerla forte tra le braccia, sudò anche perché faceva molto caldo quella notte. Dopo la tanto attesa, arrivò il giorno e si diressero verso Santiago ed andarono all’Hotel Cuba 1. Arrivati all’entrata Giacomo aveva come brividi di freddo su tutto il corpo. Marika lo invogliava ad entrare e a non avere timore. Si decise, entrarono e chiesero: “Cerchiamo la signora Clarissa”, l’addetto alla portineria chiese chi doveva annunciare. “Sono suo figlio”. Questa sarebbe potuta essere la parte più gioiosa o più dolorosa. Arrivò, Giacomo e Clarissa rimasero a fissarsi, poi lui l’abbracciò piangendo e le sussurrò: “Mamma sono tuo figlio, non mi riconosci?”. Lui la fissò di nuovo con le lacrime agli occhi e disse: “Certo che ti riconosco mio piccolo tesoro, quanto ho aspettato questo momento” anche Marika pianse. Giacomo presentò Marika alla madre e la ringrazi per tutto quello che aveva fatto per lui. Prendendo la madre per mano Giacomo le disse: “A che ora finisci di lavorare?”. “Fra un’ora” rispose, “intanto fatevi una passeggiata”. Erano le ore sedici e così Giacomo e Marika andarono a fare questa passeggiata nella quale non so se fece bene o male, cominciò prospettarle quello che gli stava succedendo. “Sai, Marika, volevo dirti, anche se ci conosciamo poco, quando ti vedo sento qualcosa di molto forte. Forse saranno stati i tuoi occhi, i capelli, il tuo modo di parlare, comunque resta di fatto che ho bisogno di te”. Marika lo fissava con quei suoi occhi, poi si fece rossa in viso, stette un momento e riflettere e disse: “Giacomo, anch’io sento qualcosa dentro, però non affrettiamo i tempi, se sono rose fioriranno”. Purtroppo una sua brutta abitudine era quella di affrettare i tempi. Si erano fatte le cinque e così andarono a prendere la madre al lavoro. Di lì decisero cosa fare e si recarono a casa di Clarissa che distava un chilometro e mezzo dal lavoro. Arrivati la madre disse: “Giacomo mentre io e Marika prepariamo qualcosa da mangiare, tu visita la casa e dimmi se ti piace”. E così fece. Era a pianterreno, ma era disposta bene, nel senso che aveva tutto quello che si poteva cercare. E cioè una cucina, un bagno, due camere da letto che affacciavano sul mare e un salotto. Dopo aver visitato la casa si diresse verso la cucina e notò che Marika e Clarissa erano diventate amiche e questo gli fece molto piacere. Voltandosi la madre livide e gli chiese: “Allora che ne pensi, ti piace?”. Giacomo rispose: “Si, è molto bella, ma dovra pagare molto.” “No, Giacomo, pago il giusto”. La cena era quasi pronta e non poteva credere di sedere a tavola con la madre e Marika alle quali voleva molto bene. Mangiarono e bevvero tutto. Giacomo era seduto di fronte a Marika e ogni tanto si fissavano, mentre la madre sorrideva e capiva. Finita la cena uscirono tutti e tre. Fecero una bella passeggiata sul lungomare, puoi Clarissa chiese a Marika se era stanca e lei rispose di no, “Se vuoi puoi andare, anzi Giacomo, accompagnala”. Mia madre la salutò e la ringraziò per la bella serata che avevano passato e disse: “ Ci vediamo domani.” Giacomo accompagnò Marika a casa e la salutò con un bacio sulla guancia, “ci vediamo domani alle dieci”. Ritornato a casa, Clarissa era seduta sul divano a vedere la televisione. Fece un cenno con la mano e Giacomo capì che si doveva sedere vicino a lei. Così si sedette, la fissò negli occhi e le disse: “E’ vero che non mi lascerai più?”. Con un silenzio gli fece capire il si. Poi andarono a dormire, dopo tanto anche Giacomo ritornava ad avere una mamma. Il giorno seguente salutò la madre e le disse: “Mamma, vado da Marika, ti veniamo a prendere alle cinque al lavoro”. “va bene Giacomo, vi aspetto”.
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