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Allegoria di Roberta De Carolis

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1

Il trillo del telefono ruppe il silenzio. Nella sua stanza Maria non si ritirava molto spesso, ma quando ne sentiva la necessità. La stanza non era tanto grande, né particolarmente bella a vedersi. Le pareti erano rosa pallido, si sarebbero dette bianche in realtà, ma così le erano state descritte qualche anno prima quando i suoi genitori le avevano fatte ridipingere. Al centro del soffitto c'era una vecchia plafoniera piuttosto rovinata che ormai poco illuminava. Il bello della stanza, cioè quello che piaceva tanto a Maria, erano le pareti: negli anni era riuscita, almeno così lei credeva, a far parlare loro di lei. Foto, quadretti e souvenir erano messi, in realtà un po' alla rinfusa, su ogni spazio libero delle pareti rosa pallido. Su una di queste era appeso uno specchio, ricordo d'infanzia, dove Maria amava guardarsi, come se quell'immagine riflessa costituisse della stanza il marchio di appartenenza. Quando si specchiava, tutto l'intorno era suo, suo e di nessun altro. Quella mattina faceva veramente caldo, ma Maria teneva la porta chiusa, perché fuori c'era l'estraneo, l'ignoto, di cui aveva sempre avuto tanta paura. Era appena uscita fuori, sul suo piccolo balcone - non lo faceva quasi mai - perché richiamata da una musica lontana, forse il suono di un pianoforte, ma poco distinto, decisamente lontano… Dal balcone di casa sua non c'era un bel panorama, solo palazzi e strade, ma il quartiere era molto silenzioso.

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Quanto odiò quella mattina il trillo del telefono! Di solito era contenta di sentire le persone, di sapere che qualcuno pensava a lei, ma quella mattina no. Ripensava all'anno trascorso, a cosa per lei era cambiato, a cosa non era cambiato e a cosa voleva che cambiasse. Le sembrava in realtà che fosse un po' tutto uguale, o comunque riconducibile ad una stessa entità, problema insormontabile: Maria. Si piaceva, forse è meglio dire che si accettava, era circondata da persone affettuose, che le volevano bene. Ma negli ultimi tempi tutto le andava stretto. Era cresciuta in un ambiente protetto, forse è meglio dire protettivo, ma decisamente poco sereno. Si era ribellata e ora nulla le apparteneva piu', né l'esterno, né l'interno. Strana sensazione, avvertita tutta insieme quella mattina.

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Patrizia amava molto giocare a carte: era capace di stare sveglia tutta la notte per fare partite di briscola, di tressette, di poker. Luca, il suo fedele ragazzo ormai da tre anni, non condivideva questa passione, ma ormai era abituato a rimanere solo quando lei aveva i suoi tornei. Tra alti e bassi si poteva dire che la loro era una coppia felice: non avevano problemi di nessun tipo, andavano essenzialmente d'accordo e si volevano bene. Progettavano il matrimonio: Luca aveva un lavoro stabile da diverso tempo, Patrizia stava per laurearsi in Economia e Commercio. Durante questi tre anni avevano avuto una sola crisi profonda, l'anno precedente. Luca aveva cambiato lavoro - quello precedente non lo soddisfaceva piu'-. All'inizio il nuovo lavoro andava bene: i dirigenti sembravano stimarlo e, poco dopo l'assunzione, gli affidarono delle responsabilità. Patrizia era orgogliosa di lui e di lui si innamorò la prima volta, forse l'unica della loro lunga storia. Dopo qualche tempo Luca divenne ispettore generale della sua filiale, primato assoluto per un giovane della sua età. Tutto gli sfuggì di mano: si sentiva inadeguato, sempre in ritardo, il capo di qualcosa che non comandava. Tutto si riversò sul rapporto con Patrizia, che iniziò a vederlo sotto un'altra luce. La crisi non si manifestò mai e alla fine tutto rientrò nella normalità: coppia felice.

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Nella sua stanza Maria pensava a cosa per lei fosse l'amore: bah, non lo aveva mai vissuto, forse non lo aveva mai conosciuto davvero. Le ragazze della sua età lo vivevano con speranza, quasi come qualcosa che spettava loro. Lei invece ne aveva una visione opposta. Sostanzialmente riteneva l'amore impossibile: questa concezione veniva da un ragionamento un po' contorto, ma che a lei sembrava il piu' lineare possibile. Ammettiamo che una persona provi questo sentimento per un'altra - pensava. Quest'ultima dovrebbe provare lo stesso sentimento per la prima, se l'amore esistesse. Ma che probabilità c'è che, fra tanta gente, due persone sole provino lo stesso sentimento l'uno per l'altra? Quasi nulla. Concludeva dunque che l'amore non esisteva. Qualcuno ora potrebbe obbiettare che Maria era presumibilmente circondata da coppie felici. E' vero, ma per lei quello che univa quelle persone non poteva essere amore, se non per un caso su un milione. Si era convinta che i sentimenti che univano due persone non erano mai identici. A volte una provava attrazione fisica ed affetto profondo per l'altra, che, sentendosi "amata" veniva trascinata. Altre volte era necessità di entrambi avere una persona accanto. Ma l'amore no, quello era praticamente impossibile. Mentre faceva questi pensieri, le vennero in mente immagini confuse, in quel silenzio lievemente coperto solo da quel lontano suono, forse di pianoforte… Non era di certo una musicista, ma probabilmente non per scelta. La musica per lei era il finito e l'infinito e quando l'ascoltava sola, senza parole, era tutto, si sentiva tutto. L'amore, un sentimento per Maria così astratto, quella mattina poté quasi toccarlo.



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Dal balcone Maria vedeva dei bambini giocare. "Maria, passami la palla, dai!". " No, la tengo io!". Furono quegli anni che cambiarono profondamente il suo animo. Si sarebbe detto da un giorno all'altro: Maria crebbe. Ad un tratto si vide diversa, o forse vide diversi gli altri. Intorno ai 12 anni divenne cupa, ma mai pessimista, realista diceva, come dicono tutti i pessimisti. Crescendo ebbe tanti amici, tante delusioni ma anche tante speranze. A 18 anni decise di diventare adulta, e ne pagò le conseguenze.

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Quella mattina Patrizia voleva andare al mare. Luca preferiva il cinema, ma decise di accontentare Patrizia. Era in tempesta: impetuosi flutti si alternavano sotto un cielo sereno, e uno sguardo placido. Patrizia guardava il mare; quella mattina le assomigliava un po'. Luca e Patrizia fecero merenda in silenzio, quindi si distesero abbracciati e si addormentarono. A Patrizia parve di essere stata invitata ad un matrimonio. Entrò in una chiesa dalla porta principale. A sinistra e a destra i banchi erano pieni di invitati, tutti elegantissimi, ma molto seri. La chiesa era sfarzosa: lampadari barocchi illuminavano la chiesa in maniera accecante, le pareti erano coperte di quadri e arazzi. Patrizia però si sentiva a disagio, c'era qualcosa di strano in quella chiesa; guardò meglio e iniziò a respirare affannosamente. Luca la svegliò preoccupato, sentendola gridare: "Sola…Sposa…Sola!". Patrizia l'abbracciò dicendo:"Meno male che ci sei tu con me, amore mio!".

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Non era bella Maria, anzi, si sarebbe detto che fosse bruttina, ma molti dicevano che aveva un fascino particolare. Nessuno però aveva cercato di avere con lei un rapporto diverso dall'amicizia. Quello che distingueva Maria dalle sue coetanee era la quasi totale indifferenza agli eventi esterni. Tutti le invidiavano una straordinaria forza d'animo e lei da tempo aveva smesso di ribellarsi. Invano aveva cercato di far capire a chi le stava intorno che la sua era indifferenza, non forza d'animo. Dopo inutili tentativi si era rassegnata, ed era diventata ancora piu' indifferente. Nulla ormai la turbava piu'. In passato aveva pensato di essere insensibile - così le diceva anche sua madre - tanto che era arrivata al punto di invidiare la sue coetanee che piangevano per un nonnulla. Nessuno si era mai preoccupato per lei: Maria era forte, una roccia su cui appoggiarsi, non di certo un pulcino da proteggere. A volte però Maria era un pulcino, e nessuno lo vedeva. Se aveva un problema e si confidava con gli amici piu' cari, le veniva puntualmente risposto: " Sii forte, come sempre". Tutto questo l'aveva distaccata dal mondo esterno e chiusa in se stessa. Oh, ma questo lo sapeva lei solo: Maria era socievolissima, la piu' aperta della compagnia, quella per cui Carnevale non viene mai. Sì, perché lei era sempre la stessa, anche se nessuno si era mai preoccupato di sapere se era lei…Alla fine accettò la situazione, giocando il ruolo che le era stato attribuito, salvo quando si chiudeva nella sua stanza.

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Gilda, la madre di Patrizia, era una donna austera, molto severa con se stessa e con la figlia; si era inasprita molto dopo la morte del marito. Patrizia aveva perso il padre piu' di tre anni prima, in un terribile incidente stradale, in seguito al quale lei, che gli sedeva accanto, era rimasta praticamente illesa. Gilda aveva una sola figlia, Patrizia; non ne aveva voluti altri, anche se il marito li avrebbe desiderati. Da quando era accaduta la tragedia, dunque, Patrizia viveva sola con la madre, in un binomio di odio e amore che spesso la distruggeva. Ma per fortuna aveva Luca. Si conoscevano da sempre: la memoria di entrambi non ricordava il momento dell'incontro. Luca abitava nello stesso palazzo di Patrizia e aveva frequentato le sue stesse scuole elementari e medie, ma con due anni di differenza. In quegli anni Patrizia lo odiava, con quell'odio tipico della preadolescenza che esiste sempre fra i maschietti e le femminucce. Non che Luca avesse maggiore simpatia per lei; a chi, sventurato, gli chiedeva con la malizia tipica di quell'età:" Dì la verità, che ti piace Patrizia…", Luca era capace di dare schiaffi e calci. Finita quella fase, nacque una bella amicizia che durò per tutti gli anni delle scuole superiori. Tre anni dopo l'agognata maturità, il dramma. Patrizia entrò in un tunnel depressivo da cui, come lei stessa sempre affermava, non sarebbe mai uscita senza Luca. Non aveva tanti amici, causa probabilmente il suo carattere sostanzialmente introverso, e quei pochi che aveva non seppero starle vicino nella tragedia; si allontanarono da lei, e lei da loro. La madre non fu in grado di sopperire al vuoto e, poiché quando si soffre si diventa egoisti, ne creò un altro: lei. Ma Patrizia aveva Luca, che ben presto divenne per lei il bene piu' prezioso, forse l'unico.




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Molto particolare era il rapporto di Patrizia con "gli amici di carte", come li chiamava lei. Alcuni erano stati suoi compagni di classe, altri amici di amici; come spesso succede, nessuno si ricordava piu' come era successo che quelle 10 persone avevano iniziato a giocare a carte praticamente ad appuntamenti fissi. Non c'erano molte altre cose in comune fra di loro, Patrizia ormai l'aveva capito dopo aver creduto per troppo tempo di essere solo lei l'estranea. Questa passione per le carte, però, li spingeva immancabilmente a ritrovarsi tutti i Venerdì a casa di uno di loro. Era routine. Nessuno piu' voleva trascorrere quelle serate, si faceva e basta. L'unica cosa che si decideva era il luogo della serata, al massimo si discuteva un po' sui giochi da fare. Nessuno chiedeva a nessuno se intendeva partecipare: era scontato. Talmente scontato che c'erano sempre tutti. E così erano passati quattro anni e la morte del padre di Patrizia era stata un episodio, si diceva "E' la vita", anche se nessuno si preoccupava del fatto che era la vita di Patrizia. Nonostante tutto, per lei quelle serate erano state ed erano una distrazione, un rifugio. In questo Luca non la capiva e in passato l'aveva fortemente contestata; ultimamente però aveva rinunciato, anche perché era sicuro che per Patrizia era lui la cosa piu' importante. Era molto geloso, ma per non opprimerla - di lei comunque si fidava - aveva sempre cercato di dominarsi e non le aveva mai imposto o vietato nulla. Patrizia, per questo, gli voleva ancora piu' bene.

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Aveva rinunciato ad una vita da ventenne, ma era serena lo stesso. Un mare quieto al tramonto, un albero secolare, una montagna innevata rischiarata dal sole mattutino: questo era Maria. Il rifugio di tutti, la consolazione di nessuno. Non aveva mai vissuto la sua età: guardava tutto quello che succedeva ai suoi coetanei come se tutto fosse un film, qualcosa che a lei non poteva capitare. Ma sapeva ascoltare, o almeno così le dicevano, anche se i suoi consigli erano materni e avevano un pizzico di paternalismo, che però non infastidiva. Sapeva che nell'adolescenza si rideva per un nonnulla, si piangeva anche per meno ; a volte si facevano stupidaggini, di cui non ci si pentiva mai. Gli adulti non capivano, si erano dimenticati che erano stati adolescenti anche loro, o forse non lo erano mai stati, come Maria. Forse anche per questo non aveva mai conosciuto l'amore e quando pensava di essersi innamorata era un'illusione o qualcosa di troppo lontano. In passato l'avevano definita "una stella lontana, che tutti ammiravano, ma nessuno amava". Eh sì, perché di Maria la stima l'avevano tutti, ma niente di piu'. Con il suo straordinario equilibrio, quando qualcuno glielo faceva notare, rispondeva: "Nella vita ognuno di noi ha un ruolo, ed io ho questo". Ma quando questo equilibrio si sbilanciava, soffriva un po'… Un concentrato di sentimenti mai vissuti che si riflettevano nello specchio della razionalità; ma questo non la convinceva piu'. Per convincere gli altri non bastarono le sue urla mute. Come quando si chiuse in un arido silenzio per giorni dopo una delusione nei confronti di se stessa. Nella stessa situazione, ogni ragazza della sua età sarebbe stata delusa dell'evento, non di se stessa. Aveva parlato dei suoi sentimenti, una sola volta nella sua vita, piu' per se stessa che per chi l'ascoltava e di se stessa fu delusa. Era proprio un paradosso per la povera Maria: parlava sempre, forse troppo, ma non riusciva a dire le cose importanti. Quel giorno Maria parlò a sé stessa, tanto che le fu detto:"Posso parlare?". Ma le sembrava di parlare di un'altra persona. Maria parlava a Maria non di Maria. Lo specchio risplendette sempre di piu'.

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Il giorno della morte del padre di Patrizia Luca era in ufficio. Non si erano ancora fidanzati, ma la loro amicizia si era molto rafforzata negli ultimi tempi. Alle 15.00 di quel giorno squillò il telefono. "Luca, caro, sono Gilda, la madre di Patrizia. C'è stato un terribile incidente…Patrizia sta bene…Cioè, no, è sconvolta…Ti prego, raggiungici al S.Ignazio appena puoi". Tu,tu,tu: comunicazione interrotta, Luca gelato. Trovò Patrizia con uno sguardo fisso nel vuoto: cercava un sorriso che non vide piu'. L'abbracciò forte, mentre i singhiozzi di Gilda facevano eco nel corridoio dell'ospedale. Stettero così, in silenzio, per un tempo che nessuno dei due seppe valutare. Poco piu' di sei mesi dopo, ad un altro abbraccio seguì il loro primo bacio. Quel giorno né a Patrizia né a Luca sembrò di desiderare nient'altro: per Luca era la realizzazione di un sogno, per Patrizia era l'unica cosa bella che le era successa da tanto tempo…

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C'era stata dunque una scossa nella vita di Maria, ma preferiva non ricordarla, perché non faceva piu' parte della persona che aveva deciso di essere. Non faceva nulla senza un motivo previsto e tutti i sentimenti, pur forti e belli, erano tutti giustificati; mai un rifiuto, mai una difficoltà nell'accettare di provarli. Tutto perfettamente ed indiscutibilmente normale. Tutti la definivano sana. Non piangeva mai senza sapere perché, anzi non si ricordava piu' l'ultima volta che aveva pianto. Considerava l'emozione qualcosa di interno, proprio, da non esternare. Le sue lacrime erano timide - diceva a chi le chiedeva "Non piangi mai?"- - si rifiutavano di farsi vedere. Maria aveva un particolare rapporto con il dolore: i suoi dolori non erano quelli degli altri e nei loro confronti era indifferente. Anni prima un'amicizia era finita e Maria non seppe mai perché. Al suo posto una ragazza della sua età - allora aveva solo quindici anni - avrebbe accusato o se stessa o l'amica, ma Maria no, non se la prese con nessuno, con niente. Soffrì in silenzio e pensò che la vita era anche questo. Tutto finisce e non sempre c'è un motivo - pensava. Non è colpa di nessuno se i rapporti umani non dipendono spesso dalle persone. Maria era così, viveva piu' serena dei suoi coetanei, in un mondo che quasi sempre non la riguardava. Ma non aveva mai provato emozioni forti. La follia, la necessità di agire d'istinto, senza un motivo, non erano mai stati parte della vita di Maria, tranne quando nella sua vita entrò Claudio.




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Le emozioni di Maria erano solo di Maria: le mancava il respiro se vedeva un bambino piccolo, se ascoltava le sue canzoni preferite, se passeggiava in montagna e intravedeva il sole tra le cime, se era sola davanti al mare in tempesta. Ma non si sentiva un'incompresa; pensava semplicemente che le persone sono diverse. D'altronde quello che provava non lo aveva mai detto, perché considerava il linguaggio delle parole inadeguato. Allora iniziò a scrivere i pensieri della mente grande di una ragazzina di tredici anni. Rileggendoli però non li sentiva piu' suoi: si erano come staccati da lei. Non lo fece piu'. Non trovò mai un modo adatto per esprimersi e negli anni tutti la ritennero una persona aperta, "che fa parlare i sassi", come qualcuno le disse. Dopo infantili illusioni giurò a se stessa che si sarebbe innamorata solo di chi le avesse fatto provare le sue emozioni, convinta nell'intimo di essere destinata a rimanere sola. Così infatti era sempre stato e Maria, ancora una volta diversa dalle sue coetanee, non aveva mai ritenuto questo un problema. Le dicevano, sarcasticamente, che ancora cercava il principe azzurro. Non si sarebbe mai immaginata allora che, non molto piu' tardi, avrebbe conosciuto un ragazzo bruttino, piuttosto timido e introverso, il principe piu' azzurro dello stesso mare in tempesta che le faceva sempre mancare il respiro. Il suo nome era Claudio.

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Per Patrizia era la prima vera storia d'amore, Luca invece aveva avuto un'altra ragazza, ma quando si fidanzò con Patrizia, come sempre succede, si convinse di aver amato, nella vita, solo lei. Luca con Patrizia era dolce, premuroso, era tutto quello di cui lei aveva bisogno. Trascorse così il primo anno. Era inverno. Patrizia rientrò a casa e trovò sul tavolo della cucina un biglietto: " Sono a casa di Giovanna e dormo da lei. Ci vediamo domani. Baci. Mamma". Quella sera Patrizia si sentì terribilmente sola. Era andato male un esame a cui teneva molto e si rese conto che la madre neppure si era ricordata del suo impegno all'Università. Questo la ferì molto. Pianse sommessamente per un tempo che non seppe valutare; poi squillò il telefono: era Luca. Patrizia lo supplicò di andare da lei. Dopo 10 minuti erano insieme. Guardarono un film distrattamente abbracciati sul divano, fino a che le loro carezze divennero piu' audaci. Luca guardò Patrizia fisso negli occhi e, sfiorandola come se fosse di cristallo, iniziò a slacciarle il giacchetto. Un brivido percorse la schiena di Patrizia, che si lasciò andare completamente nelle braccia di Luca. Nei momenti di unione piu' profonda Patrizia pensava ai dolori della sua vita ma anche come avrebbe potuto, finalmente, essere felice. La mattina seguente, però, si chiese cosa fosse successo e Luca, interpretando come interrogativo il suo sguardo perso, le disse dolcemente."Ti amo". Patrizia non seppe dire lo stesso. Gilda rientrò a casa due ore dopo trovando Patrizia sola, sul divano. Le chiese perché fosse rimasta sveglia, se avesse sostenuto l'esame, come fosse andato; perché, se, come…Patrizia la interruppe abbracciandola forte ed esclamando:"Ti voglio bene, mamma". Non poteva immaginare, allora, che quello sarebbe stato l'ultimo momento di tenerezza fra lei e sua madre.

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Avrebbe potuto essere viva, finalmente, sarebbe potuta uscire dal suo sarcofago, ma Maria era un'avventuriera del deserto, che viaggia senza bere per giorni, vede l'acqua vicina a sé, tende la mano e non beve. Fu troppa la paura di se stessa che visse tutto internamente, parlando con sé e contro di sé. Solo un giorno volle mettersi alla prova: tentò di dire i suoi sentimenti, ma alla fine le sembrò di parlare di un'altra persona, e in fondo era così, perché Maria dei suoi sentimenti non parla mai… Tutto finì quando si rese conto che Claudio, come tutti, non l'aveva mai conosciuta: Claudio divenne ben presto uno dei tanti, rientrando nel grigiore che avvolgeva tutto il mondo esterno a Maria.

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Maria era capace di dare a tutto un senso: credeva che gli eventi non fossero mai casuali e che il compito degli esseri umani, in fondo, fosse di scoprire il loro recondito perché. I suoi amici le dicevano che era sciocco dare un senso agli eventi, perché, se pure lo avevano, niente e nessuno poteva confermare le supposizioni fatte. Concludevano che era inutile. Ma Maria no; la sua vita sarebbe stata inutile se non lo avesse fatto. In effetti il suo ragionamento era opposto, come sempre: proprio perché niente e nessuno poteva confermare le supposizioni, queste erano la verità per chi le congetturava. E non si viveva nel buio, ma con la certezza di essere su una strada illuminata. Se poi la strada era sbagliata, che importava? L'importante era non brancolare nel buio… E così le cose belle le sembravano piu' belle e le brutte un po' meno brutte. Ma soprattutto erano tutte legate, belle e brutte; e non perdeva un solo attimo della sua vita. Era questo che amava fare nella sua stanza, ripercorrere la strada che si era costruita negli anni: in tal modo le sembrava di vedere il futuro, come guardando un puzzle non finito si immagina la figura completa. Se poi, come spesso succedeva, gli eventi andavano diversamente, non era un problema, anzi, si era aperta un'altra porta, che poteva riservare inimmaginabili sorprese. Credeva in Dio, che riteneva la meta ultima della sua strada; i momenti piu' intimi con se stessa erano infatti le sue preghiere: Maria non si rivolgeva mai a Lui per chiedere che certi eventi si verificassero come avrebbe voluto lei, ma che il senso di tutto le fosse chiaro il prima possibile. Perché Maria non viveva per gli eventi, ma per cosa essi rappresentavano. Forse era per questo - a volte pensava - che era sempre così indifferente nei confronti di quello che le capitava. Negli anni gli eventi avevano perso identità: Maria si concentrava tanto nel legarli e spiegarli che non aveva né tempo né energia per addolorarsi o gioire per i singoli. All'esterno Maria poteva sembrare semplicemente serena, invece la sua mente era sempre in fervida attività. Nei momenti di silenzio, la madre di Maria le chiedeva:" A cosa pensi?". "A nulla", rispondeva Maria.




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Da quel giorno il rapporto di Patrizia e Luca cambiò radicalmente. Sembrò a entrambi di appartenersi reciprocamente di piu', ma Patrizia non visse questo serenamente, almeno non subito. Si pentì segretamente di quello che era successo. Forse pensava che sarebbe stato diverso, in un altro modo, in un'altra situazione, chissà forse anche in un altro posto. Le sue amiche, quelle poche che aveva, le avevano raccontato che con i rispettivi fidanzati avevano parlato piu' volte dell'argomento, delle loro intenzioni. Patrizia e Luca mai, tanto che Patrizia guardava al sesso come qualcosa che non li riguardava - roba da grandi - si diceva. Quando accadde, perciò, Patrizia lo ritenne una debolezza, essenzialmente un errore. Luca, di contro, si sentì l'uomo piu' felice della terra. Non aveva mai avuto il coraggio di dire a Patrizia quanto la desiderasse e non capì mai perché. Quando accadde, perciò, Luca ritenne che anche a Patrizia era accaduto lo stesso. Nessuno dei due, però, parlò dell'argomento con l'altro: non seppero mai che questo fu il piu' grande errore della loro storia d'amore. Comunque si legarono di piu', Luca per amore, Patrizia trascinata - per amore - pensava… E così trascorsero altri due anni, essenzialmente sereni e alla fine fare l'amore con Luca sembrò a Patrizia la cosa piu' naturale del mondo. Non litigarono mai: sembravano la coppia piu' affiatata si potesse immaginare. Fino a quella mattina.

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La personalità di Maria - ormai sarà chiaro al lettore - era piuttosto complicata. Di questo lei era cosciente. Si sentiva diversa, ma non esclusa dal mondo, anzi. In realtà avvertiva che le era mancato qualcosa, alcune fasi della vita, diceva. Ma non se ne era mai fatto un reale problema. Non lo voleva ammettere, ma sapere che chi la conosceva la considerava sopra tutto la inorgogliva. Non si era mai resa conto che stare sopra vuole dire stare fuori… Maria aveva un inusuale rapporto con gli oggetti: conduceva una vita non agiata, ma certo non le mancava nulla e aveva la possibilità di concedersi qualche "sfizietto". E lo faceva, quando poteva, ma a volte sembrava, anche a lei stessa, che lo facesse per consuetudine. Fosse stato per lei, i divertimenti che si sarebbe concessa sarebbero state solo lunghe chiacchierate con le poche persone con cui stava bene. Non amava particolarmente uscire la sera e si rifiutava categoricamente di frequentare locali affollati e rumorosi. In realtà odiava i rumori esterni, perché - diceva - disturbano i pensieri se si è da soli e la comunicazione se si è in compagnia. Per questo non accendeva praticamente quasi mai la televisione, che definiva sempre "la rovina dell'intelligenza e dei rapporti umani". Gli oggetti che Maria amava e usava erano infatti gli strumenti che le permettevano di ascoltare la musica, che la aiutava a pensare, ed il telefono, che la aiutava a comunicare. La solitudine, per Maria, era una necessità periodica: quando voleva pensare cercava la solitudine disperatamente, nella sua stanza, dove le sembrava che l solitudine fosse piu'vera. Quella mattina Maria aveva fatto questo, ma non ci era riuscita, perché i suoi pensieri erano stati interrotti dal trillo del telefono.

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Il sogno aveva terribilmente turbato Patrizia, anche se lei tentò di mascherare l'angoscia a Luca. Quella mattina le nuvole avevano quasi sempre coperto il sole. Patrizia avvertiva una strana luce, la sentiva ma non la vedeva… I due ragazzi rimasero per molto tempo in silenzio, poi decisero di tornare a casa, perché ormai minacciava la pioggia. Camminarono…Silenzio…Salirono in macchina…Silenzio…Luca guidava e ogni tanto guardava Patrizia che aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Fu un lampo per Luca: rivide Patrizia all'ospedale, quel terribile pomeriggio di tre anni e mezzo prima. Fermò la macchina ed esclamò con voce interrotta:"Patrizia, che succede?". Ancora silenzio…A quella domanda Patrizia non poteva rispondere perché non succedeva nulla, di fatto, ma a lei sembrava fosse successo… Come quando ti alzi la mattina, guardi il cielo, è azzurro, neanche una nuvola, ma non vorresti che fosse così, perché, se così non fosse te la prenderesti con lui del tuo senso di soffocamento, di inadeguatezza. Patrizia avrebbe voluto vedere negli occhi di Luca della rabbia, almeno un vago risentimento…E invece c'era solo preoccupazione per lei e dolcezza. A questo punto non aveva nessun altro con cui prendersela che se stessa. Aprì la portiera dell'auto e uscì. In quel mentre pregò Dio - era tanto che non lo faceva - di aiutarla. Quando si vide arrivare un camion a tutta velocità ritenne che questo era il modo che Dio aveva ritenuto opportuno usare per ascoltare la sue preghiere…

20

La telefonata aveva terribilmente turbato Maria. Uscì dalla sua stanza con aria preoccupata, si dica anche sconvolta. Non capitava quasi mai, perché Maria affrontava crisi intensissime, ma di durata lampo. Si era convinta che in realtà le sue crisi erano talmente intense da dover durare necessariamente poco. Faceva studi scientifici, Maria, e po' per deformazione professionale, un po' perché certi paragoni la inorgoglivano, pensava sempre a quelle leggi della fisica in cui il prodotto di due grandezze variabili era sempre costante. Ecco questa costante per la sua legge era la sofferenza; ma sì, le sembrava perfetta questa nuova legge: DURATA x INTENSITA' = SOFFERENZA. Uscì sconvolta dalla stanza, comunque, tanto che sua madre, una donna che aveva quasi rinunciato a capire questa figlia così diversa da tutte le ragazze della sua età, esclamò con voce interrotta: "Maria, che succede?". Silenzio… Un attimo - Maria non rimaneva mai in silenzio - un attimo e con voce tremante disse:" Sola…Sposa…Sola!". "Chi si sposa? Chi è sola? Maria, che hai?". "Niente, mamma, penso". Questo aveva sempre innervosito quella povera donna: non conosceva mai, nemmeno lontanamente, i pensieri di questa figlia, di cui pure era tanto orgogliosa. Le sembrava a volte di non essere sua madre. Una madre che non conosce sua figlia, si diceva, è assurdo! Dava a volte la colpa a se stessa, a volte al destino. Non aveva mai capito che neppure Maria si era compresa del tutto, ma soprattutto che una madre genera un'altra persona, non una parte di sé, come il parto lascia credere a tutte le donne. Nella sua stanza Maria non poteva entrare piu' per pensare, perché l'atmosfera si era interrotta. Ma aveva bisogno dei suoi pensieri, quella mattina, quindi disse velocemente a sua madre che andava a fare una passeggiata. Così fece.




21

Il sole era alto, ma qualche nuvola nascondeva l'azzurro del cielo. Ormai era oltre mezzogiorno e le strade erano quasi deserte. L'atmosfera era languida, quasi irreale. Maria tutto questo neppure lo notava: a lei pareva di essere in un film del cinema muto, in cui gli eventi scorrevano piu' velocemente che nella realtà. Lei probabilmente neppure se ne rendeva conto, ma gli eventi scorrevano a velocità normale; era la sua realtà innaturalmente lenta. In effetti a Maria potevano accadere solo pochi eventi per volta, altrimenti non ne coglieva il senso e per lei era come se non fossero mai accaduti. Non potendo dunque rallentare la realtà, che molto spesso era indipendente da lei, la sfrondava, rendendola a lei piu' accessibile. Non pensi il lettore che Maria fosse consapevole di non avere una visione completa della realtà. No, assolutamente, anche perché lei era convinta che la realtà fosse soggettiva, se pure esisteva davvero… Solo pochi eventi nella sua vita l'avevano talmente sconvolta da essere da lei considerati anche se troppo ravvicinati. Erano eventi che le si erano imposti, non verificati. Ma mai le era capitato di avvertire questo turbamento per un evento solo. Insomma, Maria aveva vissuto anche momenti tragici nella sua vita, come la morte di un amico, suicida a 25 anni, la separazione dei suoi genitori, o la scomparsa del nonno, a cui era tanto legata. Anche questi però, alla fine, erano stati assorbiti nella mente di Maria, anche se con difficoltà, compresi e alla fine accettati, tristemente. Ma quello che le era successo quella mattina non era tragico, era sconvolgente…

22

Maria pensava, come faceva spesso, nella sua stanza. "Pronto? Signorina Maria Del Colle?" "Sì, sono io. Chi parla?" " Lei non mi conosce, ma sono stato incaricato di invitarla al matrimonio della sua amica Patrizia." "Ma io non conosco nessuna Patrizia, ci deve essere uno sbaglio" "No, è impossibile che sia uno sbaglio. Comunque non si preoccupi: lei non deve conoscere Patrizia, deve essere solo in quella chiesa". "Ma quando?Quale chiesa?". "Tra pochissimo, faccia presto. La chiesa è quella in cui la sposa sarà sola all'altare…". Telefonata chiusa: Maria non poté piu' replicare. A questo pensava Maria, passeggiando contrita, inquieta. Chi era Patrizia? Perché la invitava al suo matrimonio, inesistente, visto che lo sposo non c'era? L'assurdità era che non aveva mai pensato ad uno scherzo. Sentiva che era possibile, anche se sapeva che era assurdo… Era proprio strano, per Maria, ritenere possibile una cosa assurda. A volte riteneva impossibili cose decisamente piu' plausibili. Nel frattempo camminava, camminava e non si era mai posta il problema della direzione. Erano strade che conosceva sì, ma i pensieri rendevano il suo camminare distratto. Ad un tratto si accorse di essere giunta in strade mai percorse. Anche questo le risultò strano, visto che a piedi non poteva essere arrivata molto lontano. Comunque su questo non si soffermò molto: era piccola cosa se confrontata con quello che le era successo quella mattina. Non poteva immaginare che tutto era la stessa la cosa…Le strade erano proprio deserte, innaturalmente deserte. C'era un silenzio strano, ma familiare a Maria. Si sentiva solo il suono di un pianoforte, sì, era proprio un pianoforte, ed era vicino a lei, molto vicino, ma non vedeva dov'era. Cercò di seguire quel suono e si ritrovò davanti ad una chiesa mai vista prima. Era una bella chiesa, semplice, ma bella. Sentì un pianto sommesso provenire dall'interno, quindi entrò. Non si sarebbe detto dall'esterno, ma la chiesa dentro era maestosa: lampadari stupendi accecavano la vista di chi entrava e l'altare si imponeva con la sua presenza sfacciata. Maria aveva paura ad entrare, ma sentiva che non era per l'aspetto della chiesa, di fronte alla quale ci si poteva sentire molto piccoli. Dentro però non c'era nessuno. Il pianto era sempre piu' nitido e il suono del pianoforte era improvvisamente scomparso…

23 EPILOGO

A volte vorremmo essere quello che non siamo e lo vogliamo talmente tanto da desiderare l'esistenza e la compagnia di un nostro opposto. Chi lo sa, forse ognuno di noi ha un opposto, ma per la maggior parte delle persone sarà sempre sconosciuto. Qualche volta, raramente, il nostro desiderio è talmente forte che questo opposto viene allo scoperto. Se tutto va bene, troviamo il nostro complementare, e ci sentiamo realizzati, perché abbiamo trovato quello che ci mancava. Ma se non sappiamo con esattezza chi siamo e cosa vogliamo e desideriamo qualcosa di vago, non definito, qualcosa potrebbe non funzionare. Questi sono i casi in cui si sognano fantasmi, piu' che persone. Il sogno si può confondere con la realtà quando il loro confine è troppo sottile, fino a discutere la stessa identità. Tutto a questo punto può essere possibile. Non ha senso preoccuparsi della plausibilità degli eventi. Maria lo faceva sempre, ma quella mattina no e fu questo che la fece andare avanti. Patrizia non lo aveva mai fatto, perché forse non sognava neanche piu'. L'unico sogno che fece fu un urlo e non si meravigli il lettore se anche Maria poté udirlo…



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