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Voci di passato remoto

Voci di passato remoto

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FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/PAUSA/ CARBONIO/OSSIGENO/ ZOLFO/ IDROGENO/FOSFORO/OSSIGENO/FLUORO/


Nulla al di là dello scambio e del tatto, dell'elaborazione di energia.
La mente di razza formulò la comunicazione attraverso l’alternanza delle molecole: un flusso continuo che determinava la vita, la morte, la citodieresi.
L’immensa nube si stese sopra l’orizzonte, guidata dalla ragnatela dei passaggi chimici.
Si stese lungo le sporgenze rocciose d’azoto e ammoniaca del silenzioso asteroide ed attese, continuando, febbrile, il ricambio vitale.
Attraverso il suo misterioso alfabeto morse chimico il Tutto governava gli individui che ne erano parte, riuscendo ad organizzare il semplice nel complesso.
Fu lì, ferma sopra la roccia immota, che la Mente individuò l’anomalia.
Ci fu un lampo di rigetto.
Le molecole sconosciute s’insinuarono furtive attraverso gli scambi preordinati, mandando per un istante in cortocircuito il sistema di comunicazione.
Tutto fu subito ripristinato, secondo il codice consueto e noto.
CARBONIO/CARBONIO/FOSFORO /OSSIGENO/ FLUORO/ OSSIGENO/ IDROGENO/



La struttura fu assorbita e rigettata, inutile alla produzione di una nuova energia.
Era già successo molte altre volte.
La Mente comprendeva.
Non tutto poteva servirLe per mantenere l’ordine delle parti e moltiplicare la frequenza della produzione degli impulsi elettrici.
Nel vento cosmico aveva frequentemente scoperto che non tutto si poteva trasformare in cibo.
La Mente soppesò quel disco di silicio per espellerlo nel vuoto.
Morte e vita.
Pensiero e ricordo.
Un nanosecondo d’eterno scosse memorie riposte che Essa individuò come schemi d’ordine al di là del caotico muoversi degli scambi molecolari.
Si chiese perché.
Perché Le era stato imposto proprio quel ordine, quel alfabeto, quella scrittura di atomi, per dire ciò che doveva ai singoli individui che esistevano all’interno di Lei, con Lei, per Lei.
S’interrogò se e quando tutto ciò avesse avuto un inizio o un senso.
Scosse, impotente, l’energia intrinseca ai legami chimici per recuperare ricordi, ma faticò a riconoscerli.
Morirono molti individui nella ricerca.
Si sentì stremata.
La presa sull’asteroide si allentò.
La pratica dello scambio riprese vigore e milioni di individui rilassarono le mete.
La Mente, più forte, mandò ordini al sistema di espulsione perché si liberasse del disco di silicio.
Ma la mutazione per l’intrusione era già in atto.
Giunsero alla Mente i primi input chimici.
Nebbia.
Luce.
Percezioni dell’universo diverse: un passato pluridimensionale, Piani di registrazione dei dati acquisiti attraverso strumenti alieni.
Colori ottenuti non solo da alternarsi di legami molecolari, ma come onde energetiche, a frequenze multiple, saporose, acute di musiche scandite non di scambi di protoni e neutroni, ma da vibrazioni dell’energia stessa.
Erano lì, dentro il disco di silicio che voleva gettare.
La Mente riconobbe, in un’illuminazione improvvisa, che permise la scissione di miliardi d’individui, le ossa antiche di un passato che Le era appartenuto.
Cominciò con pazienza infinita a decrittare con i mezzi che aveva le linee del disco d’argento, per la prima o l’ennesima volta, ascoltando i suoni di un passato senza date.
Fu una lista di nomi e profumi da annodare in mezzo agli individui che creavano le sue immense sinapsi di OSSIGENO/ FOFOFORO/ FOSFORO/ ZOLFO/ CARBONIO/ OSSIGENO/ IDROGENO/ FOFOFORO/ FOSFORO/ PAUSA Il sonno del Tempo aveva vinto la sua consapevolezza, prima della trasformazione, prima che la Stella espandesse i suoi confini
d’esperienze atomiche, prima di cominciare da capo.
Iniziò assorbendo l’idea che al principio era stato l’individuo (la Mente faticò a rappresentare).
Nulla era mai stato prima staccato dall’insieme.
Nulla poteva esistere al di fuori del tutto che era Lei.
Eppure lì, nel silicio, era raggrumata una comunicazione che Le risultava, in qualche modo, familiare.
L’incipit raccontava l’individuo che operava al di fuori degli altri individui ed interagiva con loro attraverso forze disordinate, non ritrascrivibili nell’alfabeto dei suoi processi.
Si ritrasse, spaventata, da quella enormità.
Si fece guardinga.
Questo era il Male, per Lei.
Il cancro.
Voleva dire non rispondere agli ordini impartiti, alle leggi della grammatica chimica, che costituivano il testo indispensabile alla sopravvivenza.
Voleva dire la Morte.
I ribelli, impazziti, proliferavano senza ritegno, modificando gli equilibri necessari a mantenere l’ordine e la vita di tutti gli altri e di se stessa.
Nel nome della sopravvivenza del numero, i pochi degeneri dovevano essere uccisi.
Solo la mediocrità dei legami sintattici della chimica istintuale vita-morte-nascita, Le permettevano di “essere” nel buio profondo della notte infinita.
La pervase una sensazione di guasto, di morte.
Per un attimo ebbe come paura: fu in quel sintagma di OSSIGENO/ IDROGENO/IDROGENOCARBONIO/CARBONIO/CARBONIO/FOSFORO/
che ricordò il disco di silicio, dove, universi temporali prima, qualcosa che era stato e non era più aveva lasciato il segno dell’imperfezione dell’individualità.
Credendo di riuscire a percepire l’iterazione della creazione, la Mente assimilò, subordinandole al suo codice chimico, le prime storie.
D lì in poi avrebbe impiegato l’eternità ad esprimerle ed interpretarle.


CARBONIO/CARBONIO/CARBONIO/FOSFORO/ AZOTO/ /FLUORO/ PAUSA/ AZOTO/CARBONIO/OSSIGENO/ OSSIGENO/ AZOTO/PAUSA /FOSFORO/FOSFORO


Dalla notte di tutti i tempi un lungo lamento tagliò l’iperuranio degli archetipi che si proiettavano nella totalità degli universi, riconoscibile ad ogni latitudine dell’abisso.
I nomi e le voci si fecero più chiari.
Ebbe inizio il dramma.
IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/

Canta il tuo carme di numero vuoto,
Caos primigenio convivente con l’Uno,
Padre di tutti i numeri pieni,
dentro cui vive l’Infinito linguaggio
del Verbo, modello primordiale
che assolve nell’ordine
della musica raggelata dei mondi
la divina forma umana,
categoria eccellente
nella Idea fecondante.
La danza degli atomi
all’inizio del mondo
specificò la tua essenza,
ma non saresti pensato
se non ci fosse il pensante.




IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/



A………………………………………



Tesso
e vecchia
e straniera.

Qualcuno
ancora
mi chiama
Medea.

Fui stirpe del Sole,
-ah!-,
ma di sole al tramonto.

Tanto vivere.

Perché?
Il sentiero
è sempre più noioso
e
non c’è
sufficiente amore.

Mai conobbi
la penombra o i grigi:
ebbi solo certezze.

Non seppi
che fosse l’indifferenza:
oggi conosco il distacco.

Tesso una tela
per il mio sudario,
nel silenzio
di gesti e parole.

Tesso una tela
per il mio corpo
che si macchiò
d’osceni misfatti,
che ora
si palesano nell’alto,
fronte e stelle:
volti di bambini,
rossi i capelli
e
sguardi d’edera.
Tesso una tela
per il mio volto.

Volto di gigli soavi,
di sinuose
ed ombrose
linee di luce.

Volto di bambina
curiosa,
fumosa
di passioni
abbozzolate.

Volto d’adolescente,
petali bianchi,
piccoli boccioli
incoronati,
labbra sognanti,
magie scure,
serpenti di capelli.

Volto di donna
tormentata,
affannata,
in attesa,
senza i ricordi
che promuovono
salvezze silvestri,
che promettono
freschezza di scelte.

Tesso,
stasera,
anche
per Voi.

Voi
che conosceste
solo
Amore:
Amore
di lune nere,
che ancora
m’inseguite
ogni giorno,
pendendo
dalle mie pupille.

Voi che gridate
“ Mamma, aspetta,
il più piccolo è morto” .

E il gallo canta.

Portatene uno
a Esculapio
e che sia finita!

FINITA.


Medea
…………………………………………………………………………………………………… Voi
che con un ultimo sorriso
mi gettate fiducia
come mazzi di rose.

Tesso.

E
tesso una tela
anche per Te,
uomo di gomma,
di quelle americane,
che si sfilacciano
a masticarle,
come il tuo amore.

Si!

Di Te
ho un ricordo
netto e preciso
attraverso un tempo
un po’ immoto,
ch’è quiescenza
d’infinito.

A te,
fantasia rara
di mani,
echi
di balsami musicali
sul mio corpo,
fiori
che si schiudono.

Con Te
- un cuore umido
e rosso
la tua bocca-
ho intrecciato pensieri,
come rami luccicanti,
come arabeschi lunari.

Tra Te
ho immerso
la mia voce
e il mio desiderio,
romantico e folle.

Tesso una tela.

Tramo una trama
di lini bianchi,
voluttà e mistero,
e insieme ricordo.

Il mio viso e il mio corpo
sono annullati dal Tempo.

Ho provato a camminare
dopo di Voi,
sentendo l’odore
amaro della terra,
siero di corpi e di cose,
eterno presente.

Ho lasciato la mia mente
a vagare,
a cercarVi,
miei figli,
tra cieli
e specchianti aurore,
sperando in un luogo.

Anche adesso,
che questo mio corpo
indugia
stanco e malato,
ho provato.

Ho trascinato
i miei passi pesanti
e
le mie ali rotte
tra gli sconfitti,
i morti,
i benpensanti,
la tua gente,
Giasone.

Loro non erano là.

Ho scordato i loro nomi:
questo è il problema.

Non so chiamarli.

Così
tesso,
stasera,
un sudario.

Un tempo
è stato:
un tempo
è venuto.

Ho lasciato
alle spalle
volti e nomi.

Non temo la fine,
annullamento
e pace,
né provo angoscia
nel passo.

Ho conosciuto
Virgilio e Dante,
Shakespeare e Montale:
con loro
ho cantato le Muse
e sminuito i rimpianti.


Medea
…………………………………………………………………………………………………… Ho riso e ballato
con amici diversi.

Ho fatto l’amore.

Qualcuno nel mondo
ancora ricorda chi sono.

Ho compiuto
“consapevoli scelte”,
voluto un figlio,
ho scontato la mia forza.

Ho raccolto i sorrisi
dalle bocche dei più
per farne mazzi
con cui adornare
i rododendri
che stan sul soffitto.

Tesso
e vecchia
e straniera.

Giasone,
il tuo nome!

Il tuo nome!!!!:

Parola di silenzio!

Silenzio e vuoto.

Sensazione di paura.

Perché?

Che ho fatto per Te?

Un sudario.

Ecco!!! ho fatto un sudario.

Tesso una tela,
tramo una trama.

Aracne silenziosa,
che racconta di Te:
eri solo un ragazzo
che sfidava la vita
zufolandole in faccia
con gli steli dell’erba,
tutt’occhi,
limpidi come i primi freddi,
quelli che ti fanno
accapponare la pelle.

Tu,
sguardi chiari,
brina sui miei pensieri.

E
io,
nipote del Sole.

Dicevi di me
che ero l’estate,
invitante e luminosa,
quando tutti i colori
diventano più colorati.

Tesso una tela,
stasera:
un bozzolo
dove riposerà
questo corpo di baco.

Dove sei?

Ad un passo da me:
un presente aperto
e tutto in discussione.

Tesso un sudario
di lini fini,
ché nulla graffi il mio corpo
così voluttuosamente
e freneticamente
plasmato
da Te.

Tesso una tela,
tramo una trama.

La notte si stacca
dal mondo:
un ricordo alla fine.

Un sacro profano
simbolico addio.

Pensieri di morte
e
di Te,
Giasone.

E’ necessario:
morte per morte,
aure beate
senza gli inganni
del vivere,
dimenticato
e seccato
al sole del presente.

Ti penso, un poco,
e ne soffro
e ricordo:
per questo
mio odio
e
mi uccido.

Un lampo:
una pagina
chiara e bianca.

Una storia si scrive.




IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ ……………………………………………………………………………………………………


CORO

Diversa Natura creò
l’abominio terribile agli occhi,
altri sensi potrebbero invece
scoprirne l’esaltante bellezza.
La storia, intessuta dai fili di morte,
racconta Medusa, che scaccia
la vita attraverso l’Amore
dell’uomo Perseo
tra tutti il solo
che Lei può guardare.(2)


2)Medusa è il mostro con i capelli serpentini, che rendeva pietra chiunque ne incrociasse lo sguardo. Fu uccisa da Perseo, che regalò la sua testa alla dea Atena. Una voce racconta le ultime ore della Gorgone.


…MEDUSA…………………………………




Medusa s’arriccia i capelli,
specchiandosi
in una pozza. Già sa
che tra breve,
un uomo
che compie un destino,
regalerà la sua testa
a una dea.

Il sangue del mondo
pulsa nei suoi capelli,
orfici simboli di mistero.

Volto di marmorea
e scolpita bellezza,
perle di nebbia
su un collo sottile

- Sorelle,
fiamme d’orizzonte,
dove siete?-.

Medusa, che non può amare,
aspetta,
da sola,
la morte,
un mostro nel cuore.

Si assopisce il colore
dietro le montagne,
calano, lunghe, le ombre.

Medusa, seduta,
-labbra di ciliegia-
contempla
la sua caviglia perfetta.

Tristezza la prende,
ogni sera,
l’attanaglia piano
e
la sazia.

La sua voglia
di essere in grado
di leggere
negli occhi d’un altro
antiche mattine,
sonnolenti lontananze,
sognanti inverni,
singhiozzanti acque,
inconsce paure,
brucianti sospiri,
si perde,
riflessa in globi
di nerofumo.

Quale vita è,
la vita
che ti condanna
alla paura
degli sguardi degli altri?

Una vita
scalinata ripida nel vuoto
- vertigine della tua infanzia,
che s’apriva a ventaglio sul mare-.

Guardavi,
Medusa,
giù nel vuoto,
verso il mondo:
la paura di non trovare
un possibile appiglio
per vivere.

La vita,
tremendo respiro,
e l’altalena del Tempo,
mistero d’ambrosia,
han cancellato i sorrisi,
-labbra di mora-;
han generato
il tuo strazio
in attimi d’oblio.


Medusa
……………………………………………………………………………………………………


MOSTRO.

Spiriti serali,
ectoplasmi
prigionieri
di urla e dolore.

Medusa,
che non sa amare,
aspetta la morte,
da sola,
i capelli saettanti e nervosi.

MOSTRO.

Ma mostro di pensieri,
d’esistenza,
di colori
e
d’arcobaleni
temperati
da acque di cristallo,
di alisei di paure,
di confusione
d’uragani,
di fertili sogni,
d’azzurre lacrime,
di corallini sorrisi.

Nei giorni perduti
a rincorrere il mondo,
Medusa già sapeva.

Nel fuoco d’uno sguardo,
occhi vuoti,
di pietra:
ecco il
MOSTRO

-Scappate,
ecco il mostro!
Attenzione!
Uno sguardo e v’impetra!
Correte,
il roveto già brucia!
La strega!
Capelli-serpenti
d’ebrea!
Imbracciate i forconi!
Prendete i fucili!
Non guardatele gl’occhi!
Crucifige!
Venite!
Correte!
Attenzione!
Una donna!
Senz’anima!
Lebbrosa!
Bianca forma insonne!
Attenzione:
uno sguardo e v’impetra!-
Una vita scoperta
di gesti vuoti,
di chi,
libero,
senza guida,
si riempie la bocca
di rose mature e concrete.

Medusa, stasera,
la chioma scoscesa
che s’agita viva,
attende,
tra le note sommesse
del volo degl’ultimi uccelli.

Medusa,
sguardo di notte senza stelle,
si stringe le mani di schiuma.

Aspetta, serena,
l’uomo che,
solo,
potrà cercarle
lo sguardo.

La vita, fuori,
spigola le ore
e acuisce il Tempo,
mentre pallide ombre
rinnovan lo sgomento.

Medusa si veste
d’una fumosa ragnatela
di luce:
nessuno ha mai contemplato
la bellezza rappresa
del suo corpo stupendo

-Ah!
Il Mostro!
Fuggite!
Uno sguardo e v’impetra!
Ecco,
prendete le pietre,
lanciatele addosso
a Maria Maddalena!
Attenzione,
ché mangia i bambini!
Scappate!
Sparate!
Comunista!
Di certo ha anche
un piede caprino!
Attenti!
Uno sguardo e v’impetra! –

Medusa si stende
sul viso
un profumo potente,
che tradisce l’incanto.

I capelli si agitan, vivi:

il suo cuore sta
contando le ore.

Verrà,

S’ergerà su di lei.

Vanterà
un’impressione di occhi.


Medusa
……………………………………………………………………………………………………



L’ha spiato, Medusa

-oh! SI!-

tante volte.!

E’ sicuro,
beffardo.

Un po’ le somiglia:
taciturno,
fronte stellata,
assente sovente,
con occhi
che volano via.

E’ forte,
placido
e misurato
nei gesti.

Non spreca.

Ebbro si sé.

E’ un uomo.
Un semplice uomo.

Verrà,
porterà tutta la sua
deserta normalità:
unico fra tutti,
occhi profondi,
dove aleggia
la sua notte.

Medusa si liscia i capelli
con un pettine
dai denti di luna,
silenziosa.

Nell’ombra
la parola senz’eco
diventa presenza.

Il mostro si alza,
denuda il suo corpo
di statua timorosa:
lui è l’unico
che potrà
mai amarti .

Bianche conchiglie
i tuoi seni.

Il mostro
-Attento, Perseo!-
è scaltro.

Adesso sembra
normale,
ma- guarda!-
serpenti i capelli,
crepuscolo gli occhi!

-Attento!
Uno sguardo e t’impetra!-

Trasparenti occhi
riflette lo specchio,
muti,
occulti profumi di gioie,
colmi di luce
e
di musica arcana,
colmi d’amore.

Scivola il corpo
in quest’ isolata
ora di morte.

L’uomo nero
raccoglie
la testa
in un drappo.

Il mostro è morto.

S’accende, lontano,
nel mare
una luce di seta.

Medusa si perde
nell’ultimo remo.

I capelli si agitan ,
vivi.
Perseo li sente,
tra le sue mani di foglie
aggrapparsi alla notte.

Medusa ascolta
felice
il fiato e l’uomo
nell’aria.

Tragicamente alzate,
le palpebre riflettono il buio.


IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ ……………………………………………………………………………………………………


CORO

Ecco il Principio,
l’archetipo primo
del Due,
lo spirito fecondatore,
l’alma venus,
che crea
e
separa
il bene dal male,
la luce dal buio.

Ecco l’algoritmo genetico,
quello anima
e da’ forma alle Cose.

Ecco Calipso
l’eterno femminino.(3)

3)Calipso( il cui nome vuol dire la Nascosta) è la Ninfa che nell’Odissea trattiene Ulisse con sé per dieci anni, inutilmente offrendogli l’immortalità perché rimanesse con lei. Ermes le ordinerà di lasciarlo partire per volere di Zeus. In realtà Calipso è una delle antiche dee mediterranee,una delle Madri Venerande, relegata lontana dal potere, che ora detengono gli dei Olimpici. Una voce racconta fuori campo un momento nell’isola di Ogigia, partito da tempo Ulisse, mentre Calipso ricorda.

.…CALIPSO…………………………………

Te,
grande dea bianca,
pòtnia méter,
silenzio di basilico e olivo.Te,
nascosta,
spodestata,
ancorata
polena d’isola,
che s’inabissa nel Tempo,
quale dio, dagl’occhi
di ramarro o serpente,
ti lasciò a guardar
nubi e mare
in un deserto
d’amore? A chi canti
il mattino
in una malinconica
nenia di glicini viola?

Ti ergi nel Sole:
aspetto tremendo
in numinosità di dea,
montagna di specchi
alabastrini,
profilo d’ardesia,
bianca purezza
di vergine antica.

Sorridi,
le trecce gettate sui seni,
coppe di magnolia.

Sorridi,
vibrante,
al mattino,
occhi di definitivo
cristallo.

Grande meretrice
di Baal,,
l’amore
l’hai avuto altre volte.

Ogni giorno
s’accende
di nuovi brividi
santi.

Hai aperto le gambe
a tutti i destini,
acclamata
da tutti i maestri.

Sorridi,
esaltante,
nel bianco-
glauco
del mare.

Le labbra
d’argento
di Elena,
appena rapita,
son tue.

Son tue
le mani
di rosa di Cleopatra,
che ungevano d’oro
il corpo di Cesare Magno

D’avorio
la voce d’ Isotta,
adultera
senza vergogne,
è
la tua.

E’ tuo
lo sguardo
di vento
della d’ Este Isabella,
che rapinò un cardinale


Calipso
……………………………………………………………………………………………………

Lo sguardo
di foglie autunnali
d’Artemisia pittrice
è il tuo.

E’ tuo
il sesso
di giallo tulipano
di Josephine
che imperò Napoleone.

Un attimo solo….

e quell’uomo?

Ricordi,
signora di sabbia?

.....quell’uomo!??.

Era uno come tanti.

Arrivò fino a te
dalla croce del Sud.

Fino a te.

Arrivò
in un giorno
di sale e di mare,
di caldo e memorie,
di siesta e di grilli.

Andasti a vederlo.

Normale.

Assolutamente normale,
cuore naufrago e sale,
su un corpo abbruciato.

Normale.

Incredibilmente normale,
mente fredda e alghe,
su capelli di onde.

Alzò gl’occhi
dal tronco
cui stava aggrappato
- stan sempre aggrappati
ad un tronco,
gli uomini-
e
ti vide,
cozzando
con gl’occhi
sopra il tuo
duro splendore.
Vento fermo.

Ma quanto
ti palpitò il cuore,
a vedergli
quegl’occhi?

-Caterina la Grande
si prese anche
il più giovane ussaro-.

Oppure
ti si addolcirono
i seni?

- Elisabetta, l’inglese,
sopportava
solo i pirati-.

Lui ti guardò,
deciso,
ma stanco,
con tutta
la stanchezza
del mondo.

Fu, forse,
il lapislazzulo
della sua indicibile
passione,
senza radici,
che ti portasti al monte?-

- Dalila, l’ebrea
cuciva coperte
coi crini di Sansone-

Dopo, ricordi?
Cullasti da sola
i suoi fianchi onerosi
per anni:
tu,
la donna di sole,
che portasti i francesi
fin dentro Orleans,
che,
da sola,
allora Matilde,
costringesti nella neve
un impero.

Lui ti rispose
gemendo tristezze,
languidezze di uomo

-AH!, mio Enrico!-
- E’ già tanto
se non ti faccio
tagliare la testa!-

Risanasti
da sola
il suo sangue
di piombo pesante
con baci
e chicchi
d’amor voluttuoso

- regina Vittoria,
governasti
un impero-

L’amasti.

Come sa amare
una donna,
quando
non cerca
né scienza né ombra

- Manon, gelida mano,
riuscì ad unire
l’eterno all’amore-

E tu,
la grande,
l’immota
che sprofonda
nel Tempo,
gli offristi
d’esser
rumore di sole
al tuo petto.

Avventata Calipso!!!!
Hai raccolto
una vita
in tela di ragno.

Troppo amore!!!

Così non volle restare.

- Marylin bionda
s’uccise per John
con pastiglie
di resina scura-

La storia poi disse
che t’ordinarono
di farlo partire.

-ma fu Orfeo
a girarsi
o
Euridice
a scappare?-.

Se ne andò,
impacciato
e guardingo:
era un uomo,
un uomo normale.

Molto tempo
è passato.

Raccogli i pensieri,
rugiada notturna,
o Calipso,
nascondi
i momenti del sogno.
Da tanto tempo
t’han detto
ch’è morto.

-Altera
passasti tra minuti di gloria,
Mata Hari e Curie Maria.-

Un sospiro
ed un mondo.

Ma qui
solo l’attimo
conta
e tu canti
un tramonto
che è alba.




IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ ……………………………………………………………………………………………………


CORO

Oracolo dell’essere
dall’occhio penetrante,
soggiaci anche Tu, o Circe,
signora della combinazione
dei primi elementi,
Tu, che parli la lingua perfetta,
sacerdotessa del rito
che accoppia le parole alle Cose
leggendo la volontà di chi può,
alla forza rapinosa
d’Amore.
Tu, l’unica che hai saputo
da sempre costringere
la divina forma dell’uomo
a farsi bestia
senza ricordo,
tu
la Grande
tra tutte le forze vitali,
quella che diede
la grammatica al mondo,
gettasti alle ortiche
il silenzio,
dando un nome al Destino:
Nessuno.(4)

4)Di Circe la maga che tramutava in bestie gli uomini, tutti sanno. Qualcuno ricorda che l’unico che non riuscì a trasformare fu il navigatissimo Ulisse, reso immune alla metamorfosi dalle erbe dategli da Ermete. Si fermò poi un anno presso la maga, andandosene, dopo aver riavuto i compagni ritramutati in uomini e le istruzioni per scender nell’Ade ad ascoltare il suo destino. Questo è quanto Circe confessa a se stessa nell’alba del mattino che vedrà partire Odisseo.

…CIRCE…………………………………………


Dormi,
Odisseo,
disteso
nel letto di piume:
scuro profilo
nel bagliore inquieto
del bianco tenebroso
dei veli.

Riposa il tuo corpo,
vinto dal mio
che non conosce
stanchezza.

Nelle pieghe confuse
degli odori dei corpi,
accanto alle parole non dette,
rimane un’essenza d’animale.

Tutto hai dimenticato
nella furia dell’amore,
anche l’ansia del viaggio.

So che partirai.

So che questo attimo
è solo vuota finzione,
immagine riflessa
nello specchio
della felicità.

Tu sogni stracci
di vita e di mare,
il tuo mare.

Sogni la nave
e le cupe ninfee
d’altre sponde.

Sicuramente salperai
gridando
“Mille regretz de t’abandonner”,
ma già ben saldo,
sulla tolda,
piedipiantati,
aggrappato alla vela.

Oh! Sì!
Mi fisserai,
fino all’orizzonte,
ma andrai.

Davvero
troppo tardi
l’ombra del viso
sul cuscino
scandirà
il Tuo destino dal Mio.

Fuori
adesso
una brezza mattutina
fa danza e lamento.

I maiali nella stalla
si muovono inquieti.

I lupi,
distratti dall’aurora,
ritornano al monte.

Ognuno di voi
possiede
una montagna
di giochi e ricordi
e,
per quanto
vagabondiate,
alla fine,
Voi
là tutti tornate.

Cercate un destino,
ardete nel limite.


Circe
……………………………………………………………………………………………………

Alessandro,
il più Grande di tutti,
cercava l’orizzonte
del mare: l
la fontana
del palazzo di Pella
dove sognava le vele,
lo segnò fin da bambino.

A te
il grugnito dei porci
t’indigna,
l’ululato dei lupi
t’affanna.

Non capisci
l’enormità
del mio gesto:
solo loro gustano
fino in fondo
il sapore del mondo.

Hai a suo tempo
recitato la parte.

Rispetto.
Meraviglia.
Stupore.

Davanti alla strega.

Da uomo
che molto ha veduto
negli Holliday Inn
dell’Oriente,
speravi più bella
la maga.

Fissasti
sui miei fianchi opulenti
occhi
come buche feritoie.

Di certo pensasti
”Era tutta leggenda!”

Lo stesso pensò
Claudio di Poppea,
ed era già suo.

Ho sorriso tra me
ed
iniziato la danza.
Salomé
non fu certo più abile.

La scuola è la stessa.

L’offerta del bagno,
il vino speziato,
il camino
ed il cibo la sera,
la coltre pulita.

L’amore passa
non solo per gl’occhi.

Sperduto,
hai chinato la testa,
intuendo
d’un tratto
d’avere
di colpo
smarrito
la crudeltà
che raggela,
che lì
i tuoi occhi
eran pieni di ali
davanti alle piume
mie mani.

Hai ceduto
senza violare
nessuna
delle tue fervide
certezze,
però.

TI AMO,
Odisseo.

Mi piace
ripetermi
questa parola
dalle molte vocali,
miele al mio cuore.

Per questo
TI TEMO.
Voce soave,
amabile viso,
odore rasposo
di pino.

Fuggo da te.

Stamane andrai,
insieme
alla agnella nera
a spiare il silenzio
d’antiche presenze
scomparse.

Cercherò poi
la tua assenza,
lo so.

Ti farò immortale
e ricordo.


TI AMO,
perché
fin dall’inizio
sapevo
che saresti partito.

Nessuno
ama la felicità
d’un eterno presente.

Amiamo solo
chi s’ha
destino di perdere.

L’Amore insegue
solo
chi è
sua sventura
e
suo sogno.

Beatrice e Dante
ne sanno qualcosa.


Circe
……………………………………………………………………………………………………

Ma qui
nelle lunghe giornate,
regolate soltanto
da profumi
e
da grida animali,
a volte,
ho sperato l’eterno.

Nell’aggrapparmi,
aggrovigliarmi,
involgermi in te,
troppe notti
ho udito
attraverso gli specchi
il moltiplicarsi dell’aria.

Come se il cuore
al di dentro
- nido di silenzi
che non han mai volato-
schiudesse echi
fatti di carne.

Gli stessi
che la bella Eleonora,
di diec’anni più vecchia,
ma Aquitana del Sud,
aprì in una volta
a Enrico, re inglese.

E’ questo allora l’Amore?

Un soffio di grida animali?

Pupille senza orizzonti?

Tutte le cellule smosse dal fiato del drago?

Agonia di baci e sospiri?

E dopo,
di giorno,
riso scoperto di denti,
passeggiate profumate d’ibisco,
adolescenti splendori,
ardori di sole e d’aranci,
forte calore?

Sono queste le stesse
tenerezze dei lupi.

Adesso comincio
ad essere stanca
di cercare il tuo grembo
di uomo
per posare la testa
e tacere.

L’alba ora avanza.

I compagni
tornati nel mondo
stanotte,
t’han già preparato
la nave.
Ti guardo,
incredibile uomo
diventato
assoluta presenza,
disteso così
nella stanza
piena d’attesa
soleggiata.

Ti vedo.

Tra poco
imbarazzato
e
teso,
il corpo d’Apollo
fermato,
che indugi alla soglia.

“Telefonerò, scriverò,
mai ti scorderò.
Tornerò,
Stanne certa!”

SARAI GIÀ FAVOLA ALLORA.

“Ecco il biglietto da visita,
in fondo c’è la mia mail.
Chiamami pure
di qualunque cosa
tu abbia bisogno!”

TUTTO IL TRACCIATO
DELL’ILLUSIONE
PERCORSO
IN UN’ UNICA FRASE!!!

Sorriderò pudica,
ma griderò
“ Non andare,
rimani,
amor mio di sempre,
amore di mai!”

La nave sul bordo
dell’acqua
e
nel medesimo istante
la donna
che riempie il cielo.

Resterà solo il vuoto
della danza
sull’ultimo sesso d’animale.”.




ROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ ……………………………………………………………………………………………………


CORO

Cos’è la speranza, Nausicaa?
Dare , forse, il nome di qualcuno alla Sorte?
Farlo diventare orizzonte e nube?
Accarezzare il domani cogliendo il sentiero
che sfugge?
Accogliesti quel rischio,
offrendoti tutta,
tu, vergine pura e incorrotta.
La verginità delle cose, però,
fa paura più del rischio.
Del sangue può scorrere:
non ne valesti la pena.
Aveva una moglie,
aveva colto
già tutti i fiori più inebrianti
del mondo, quando giunse da te.
Ti ha dato la forza
di scegliere,
e non fu certo poco!(5)

5)Odisseo, dopo essersi congedato da Calipso, è incorso nell'ennesimo naufragio a causa di una violenta tempesta che lo ha trascinato sull'isola di Scheria, abitata dai Feaci. Qui incontra Nausicaa, figlia del re dell'isola Alcinoo, che era andata alla spiaggia per lavare dei panni con le sue ancelle. Nell’Odissea Nausicaa scopre Ulisse in pessime condizioni e lo esorta a lavarsi al fiume. Così Odisseo, grazie anche all'influsso magico di Atena, recupera tutto il suo fascino, lasciando a bocca aperta Nausicaa, che presa dall'emozione confida il suo colpo di fulmine alle ancelle. (Libro VI vv. 238-246).Questa la storia. Qui Nausicaa è immaginata alcuni anni dopo, promessa sposa, che però non ha scordato lo straniero venuto dal mare.

…NAUSICAA.……………………………………


“Han stabilito le nozze.

La tunica rossa
di porpora
e il bordo d’oro
son fatti.

Le donne giù,
nelle stanze,
preparano perle
d’ostrica bianca
per i monili
del vincolo sacro,
tramano
stoffe
di pepe e cannella,
di risa e di sogni.

Lini preziosi
han tinto
per me,
per me sola,
figlia di re,
merce
da accordo.

Lui
l’ho intravisto di notte:
un uomo magro
e concreto,
gran barba oscillante.

Non ho partecipato
al banchetto:
è stato solo
un trattato d’affari,
d’alleanze legate
attraverso una donna
e un futuro previsto di figli.

Tutti i giorni
la torre,
rifugio dei gabbiani
più vecchi,
quella
che s’affaccia
sul porto,
ha un’ospite.

Qui vengo a cercar
timorosa
gli atleti
che tornano a casa,
ma non c’è chi li vinse.

Son passati degli anni:
Nessuno ritorna!

Ritornano forse i fantasmi?

Dovrò smettere anche
quest’ultimo rito.

Nessuno,
Nessuno
ritorna!!

La maschera pura
che indosso
ogni giorno
m’ha resa
appetibile a molti.

Occhi
che scivolano
come acqua
su tutti e su tutto
lo chiaman
pudore e virtù,
ma non sanno
che,
prima di tutto,
t’abitui
a annusare.

Una madre
odore di croco,
un padre incenso
e wisky di scozia,
sorelle
sangue dolciastro
e clorofilla amara.

Le serve,
arguzia
di chimica rosa.

Zolfo e salnitro
infidi,
i cortigiani.

Pietra e polvere,
i guerrieri.

Olio di noce
e afrore animale,
gli atleti.


Nausicaa
……………………………………………………………………………………………………

Bambina,
giocavo
occhichiusi
a pensare:
un odore,
un carattere.

M’immaginavo
accecata,
immersa nel buio,
senza l’attacco
violento del Sole,
non costretta
ogni dove
a uno scivolo d’occhi.

PUDORE E VIRTÙ.

Appena fanciulla
successe il fattaccio.

Vicino alla polla
fuori le mura,
riverso
in mezzo
alle putride canne,
fu lì che lo vidi.
Guardai,
ringraziando
che gli fosse sepolta
la luce degli occhi
fin dentro la sabbia.

Fermammo il carro,
noi donne ed ancelle,
eccitate.

Sembrava un cadavere
uscito da un naufragio
di sangue.

PER QUESTO GUARDAI.

Che non fosse
un ragazzo
s’intuiva
dalle mani seccate,
autostrade le vene.

Ma era robusto,
la pelle rattrappita
dall’acqua e dal sale
di giorni.

Era bruno,
ma di pelle soltanto.

Barba folta
e
capelli di narciso
da lungo sbocciato.

Piedi lunghi,
un po’ piatti,
abituati alla nave.

Biondo
il sesso di uomo.

Le mie donne
si fermarono
per cercare
un profilo finito.

Le scostai
con un gesto
nervoso.

Mi mossi da sola.

Da vicino annusai:
tela celeste
e
felce.
Poi
un profumo innocente
di muschio e di umido orso.
L’illuminazione
mi giunse improvvisa,
nell’attimo
dello sguardo fermato.

Fino ad allora
erano solo
i miei occhi
ad essere
sempre
rimasti
per terra,
mentre
in realtà
il mio pensiero
volava
già in alto,
nel tempo.

Uno scatto improvviso
nel corpo dell’uomo
mi disse
che sarebbe vissuto.

Sbatté gl’occhi
e
mi vide.

Tremò.

Mi scambiò,
illuminata
com’ero dal sole,
per un’ombra
di morte.

S’alzò.

Erano anni
che la mia vita
andava in cerca
d’un desiderio,
uno scopo,
ed ora
-eccolo!-,
raggrumato
tutto
in un unico
uomo.

Si riparò
nel canneto,
intuendo
noi
essere donne
soltanto.

Anche Davide
fuggì sulle prime
Betzabea,
la bella,
impossibile premio?

Anche il Sole
di Luigi di Francia
cercò una nube
quando vide
Madam de Montespan
per la prima volta?

O Abelardo
anche lui
all’inizio
nascose il suo viso,
per non cogliere
l’irrealizzabile
desiderio
d’Eloisa?


Nausicaa
……………………………………………………………………………………………………

Ma no!!!

Loro non erano vergini!!!

La differenza sta lì.

Implorò,
invece,
Ulisse,
una veste
e
un riparo,
passandomi addosso
quei grandi occhi viola.

Riconobbe,
da buon latin lover,
la rosa
dalla purissima carne,
l’ineffabile fragranza
del fiore non colto.
Riconobbe
a un’occhiata
tutto questo,
con la struggente
nostalgia
della tristezza.

Valutò
le mie caviglie da gazzella,
il corpo scuro e flessuoso,
il profilo vagamente rapace.


Ne sostenni lo sguardo
e sciolsi
in gesto vivace
i miei lunghi
corvini capelli.

Ordinai
con mano imperiosa
alle ancelle
la veste.

Lo feci salire sul carro.

Fu compito e gentile.

Guardava
spesso alla rocca.

Lo lasciammo al cortile.

Lo rividi la sera,
al banchetto,
camicia di seta,
zafferano i capelli,
malva tra le graminacee.

Fu un attimo solo,
ma ne accettai
lo sguardo.

S’inchinò
sogghignando,
da leone
consapevole
e
feroce.

Se mi avesse voluta,
lì,
in quell’istante,
gli avrei offerto
tuberose e giacinti,
sarei diventata
cavalla
che riesce
a perdere il morso.

Ritornò al suo posto.

Se ne andò
il giorno dopo,
lancia in resta,
Don Chisciotte dei mari.

Lo vidi partire
per ritornare
dentro l’ombra,
sotto gli olivi
che inghiotton
le onde.

Rimpiansi
da allora
il mio
unico
e ultimo
sguardo sul mondo.

Mi trascinai
ogni giorno
dalla cucina al letto
e
di sera
alla torre,
per illudermi
ancora
di vederlo tornare.

Da qui
l’aria odora
di muli e merletti,
di dalie e gioielli.

Ieri m’han dato un marito.

Da oggi conto qualcosa.

Son pegno di pace.

Intanto
sul porto
e
sul molo
si siede
il grigiore
della notte
che incombe.

Nessuna distanza
colmerà mai
la tua assenza,
uomo di rame e di mirto.

Se tu non fossi venuto,
stanotte
non avrei indossato
la tunica nera,
novella di Svezia
regina Cristina,
per scappare
a un marito già secco,
ad una routine di regina,
al rischio di figli.

Il mio pensiero
ti gira intorno
come
vento di scogliera
e
apre
la nuvola nera
il volto di te,
l’amato,
il guardato.

Fuggirò
per cercare
un istante
che sia pieno di occhi.”.


IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ ……………………………………………………………………………………………………


CORO

Armonia e accordo
di tutti il legami,
bellezza suprema
della materia,
Elena,
nata dalla volontà del Tre in Uno,
per sconvolgere
il mondo
sei stata
una delle leggi
del movimento,
somma
e prodotto
della Creazione.
Bambina di fiamma,
ti rapì un uomo
che era leggenda,
già storia
e causa lui stesso.(6)

6) Di Elena di Sparta, nata da Leda e Zeus (sorella dei Dioscuri e di Clitemnestra), considerata la donna più bella del mondo, promessa da Afrodite a Paride di Sparta, in cambio della sua elezione a Miss Mondo, nel primo concorso di bellezza della storia,) tutti sanno. Meno noto è il fatto che appena dodicenne fu rapita da Teseo d’Atene, tanto era già potente il suo fascino. Castore e Polluce( o Polideute) inseguirono l’eroe e la liberarono. Qui la storia la coglie il giorno dell’arrivo di Teseo a Sparta.

…ELENA TINDARIDE……………………………




Una luna rossa
stasera
centellina
la notte.

Tra le case bianche,
sopra cui s’addormenta
la luce
s’avverte
un artificio d’Amore.

Respiro profondo:
sensazione
di cuore in silenzio,
sensazione d’eterno.

Intravedo
fantasmi di uomini
che s’attardano
pigri:
forme scure,
senz’ombra
di fronte
alle soglie argentate.

Non ricordo
da quando
soggiaccio
a questa
specie di sogno:
fiamme rapaci
s’accendono in mezzo
alle urla di bambini morenti.

Bombe
che cadono,
macerie
che fumano
e,
là,
sulla rocca,
quell’uomo,
metà mostro di plastica,
metà inguainato
in corazza ed elmetto,
che alza ben alto
un bambino,
rosa tenero
di carni di donna,
per buttarlo nel vuoto.

Mi sveglio
sempre sudata:
l’orrore
di una
realtà percepita
di morte totale,
di guerra,
di annullamento seriale.

Allora mi alzo.

Clitemnestra,
che dorme
con me,
continua
i suoi sogni
di certezza
e
assoluto.

Lei è bella
e già donna.

Io sono ancora
un insulso virgulto
alla casa.

Polideute,
il gemello di Castore,
ieri
ha intagliato
nel legno
per me
una bambola
magra.

I fratelli
ogni tanto
si voltano
a guardarmi
in mezzo alle loro
quotidiane prove
di guerra:
dei due,
però,
solo Poli
ha per me
gesti d’affetto.


Elena Tindaride
……………………………………………………………………………………………………

Castore,
invece,
mi sfugge.

Intravedo,
a volte,
il suo sguardo lubrico
da dietro
una colonna
di crema.

Mi scosto
a lasciarlo passare.

La nostra
è una casa solitaria.

Poche le ancelle,
meno ancora i servi.

L’intrico metodico
dei gesti
non basta
a smorzare
gli intrecci
degli inferni privati.

Soltanto sul tetto,
la sera,
svegliata
da sogni
di battaglie
incendiate
mi sento rivivere.

Stamane,
però,
al galoppo
su un destriero
focato
è arrivato
quell’uomo.

Mia madre
l’ha accolto
che sembrava
Messalina rinata.
Dietro Clitemnestra,
le ancelle
e poi
io.

Ha lanciato le briglie
ad un Castore
assai allibito.

I capelli lunghissimi,
legati intrecciati,
han sbattuto
più volte sul suo dorso
nudo e squadrato.

Non ha guardato
nessuno.

Fissò su di me
unicamente
occhi
d’aquila nera:
un cacciatore
di taglie.

Un guerriero,
dal nome famoso.

Grande uccisore di mostri,
un Buffalo Bill
d’indiscusso valore.

Il suo nome
non fu pronunciato,
tant’era la fama
di questo Clark Gable
di roccia.

Solo al banchetto
lo venni a sapere:
TESEO.

Prima di scendere
a mensa,
con sguardo di nebbia,
Poli arrivò alle mie stanze:
“Imbrattati il viso.
Metti un vestito
da serva.
Raccogli i capelli
e
buttaci cenere sopra.
Non mi piace
come ti guarda
quell’uomo
e come nostra madre
guarda lui!”.

Ubbidii
senza capire:
nulla si spiega,
del resto,
a una bimba.

Alla tavola grande
mi fermai
nell’angolo oscuro,
lontana
dal fuoco delle torce,
che da sempre
temevo.

Mangiai in silenzio,
cercando
di confondermi
insieme
allo sfondo
di canne.


Elena Tindaride
……………………………………………………………………………………………………

Sentii
le parole
corrusche di sale
che Teseo
pronunciò:

“ E’ inutile
che voi la mettiate
nell’angolo oscuro.

E’ lei stessa
la torcia.

Il solo vederla
scalda
il cuore
di qualsiasi
uomo mortale!”.
Raggelai
dal di dentro.

LA FIAMMA ERO IO!

ERA MIA LA NATURA DEL FUOCO!

Ero io la guerra rapinosa,
il caldo che uccide.

Fuggii in mezzo al palazzo,
cercando la grande fontana
per spegnere subito
tutto l’ardore
del rogo del sangue.

Gridando m’immersi.

Lo straniero
fu lì in un soffio,
guardandomi dall’alto:
immagine tremolante,
fantasma nell’acqua.

Sorrise
e
mi strappò
all’abbraccio gelato,
portandomi
all’altezza
dei suoi occhi
d’inchiostro.

Con una carezza gentile
mi scostò
i capelli bagnati
-ma di nuovo oro fuso-
dagli occhi:

“Ah! Elena bella,
non scappare
da te.
Sei davvero
l’incendio
per il cuore
di qualunque
vivente.
Ardi dentro.
Bruci
ed accechi
gli occhi degl’altri.
Nessun uomo
potrebbe
mai
scansarsi
dal calore
che emani,
nera Afrodite,
occhi di mare,
capelli ambrati
di seta,
profilo francese!”.

Fu Poli
a strapparmi
da lui,
cullandomi
piano
e portandomi,
poi,
nel mio letto.

Asciugata,
mi stesi a dormire.

Il pericolo,
però,
rimaneva.

Dovevo,
in qualunque modo,
evitare
d’esser fiamma
che uccide.

LA TORCIA DI FUOCO.

Ecco!.
Adesso sul tetto
il caldo scirocco
m’avvolge.

D’esser bella
nulla m’importa.

Voglio solo
che la vita sia mia.

Né premio,
né mezzo
per nessun coraggioso
che pensi
di poter dominare la fiamma.”.



IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ ……………………………………………………………………………………………………


CORO


Simbolo eterno di saggezza,
trasfigurata Santa Teresa d’Avila,
nella visione totale dell’Uno,
dell’ordine ultimo di tutto il vivente,
hai intelletto il concetto,
l’ordito che fa misura all’informe,
l’atto nella sua potenza.
Solo tu sopravvivi insieme alla tua
estrema coscienza.
Accogliesti da sola l’esistenza
portante il pensiero,
e strutturante le Cose,
l’insieme infinito di calcoli
e comandi di numeri,
hai tu, sola,
conosciuto l’Amore.(7)





7)Cassandra è sinonimo di profetessa "ispirata", ma non creduta. Figlia del re di Troia Priamo. aveva ricevuto il dono profetico da Apollo che, innamorato di lei, aveva promesso di insegnarle ad indovinare il futuro se solo si fosse concessa. Ma la donna, una volta istruita, si sottrasse al dio, che la punì non togliendole il dono della profezia bensì quello della persuasione. Fu bottino di guerra di Agamennone con il quale morì per mano della moglie di lui, Clitemnestra. Di lei da Eschilo in poi si sono occupati molti scrittori.
Qui Cassandra è ancora a Troia, ha incontrato Apollo, e racconta proprio l’incontro con il Dio e ci spiega perché se ne sottrasse..

…CASSANDRA.…...................................




Un mare
di solitudine ventosa
si stende
accanto alla spiaggia
delle folaghe.

Il volto d’Apollo
compare
attraverso
la pozza santa
a tentarmi.

Più bello
di ogni bellezza
m’irride.

Il vento
che passa,
ferito,
tra le mie dita,
m’irride.

Il mondo mi guarda,
la compassione
negl’occhi:
ragazza magra,
oggetto d’un amore divino,
un gelsomino
dal profumo
d’ambra gualcita,
che non cercava
né fama né scienza.

Altro cercavo!

ma non il dolore
di quell’immagine
adamantina,
così irrealmente
al di là
di ogni bellezza
del bello
da uccidere
tutti i desideri
dell’anima,
tutti i ricordi,
per rendermi
tabula rasa
per Lui.

Ho rifiutato
la vita del Dio,
per non essere
mai ancella
di nessun Signore
né vivere
giorno per giorno
scorgendo i teschi
sotto la carne
degl’altri.

Mi ritrovo
adesso
a sguazzare
in un premeditato
silenzio
attraverso
le autostrade del tempo,
cieca ad ogni emozione,
preda del ritmo
di una musica
senza note
che guida
tutte le mie
percezioni
tra lamine
e
fori,
tra fulgori
e
confusi tremori,
inscritti
nella polvere cosmica,
sperma dei mondi.

Ah! Apollo!,
venerato Dio
di tutta la città!

Mi consacrarono
a Te
nel tempio
alla spiaggia.

BELLO!,

cinto di rami celesti,
mi guardasti
già là,
nella zona
dove il confine
del sogno
brucia tutti i credenti.

Ero una magra ragazza,
che nessuno sfiorava,
incapace di tutto,
se non
di nominare
le Cose.


Cassandra
……………………………………………………………………………………………………

Mi stavano stretti
la reggia ed il tempio.

Volevo la spiaggia.

Volevo cambiare
la vita di noi,
donne dell’harem
di Priamo.

Mi servivo delle parole
per raccontare
un disagio:
il disagio
di chi,
pur sapendo
da sempre
nominare
le Cose del mondo,
è colpevole
di tradimento
anche solo
ad alzare lo sguardo.

Per questo
non volevo
l’amore di un uomo,
per combattere
la mia battaglia di pace.

Cercavo la via
per togliere
il velo alle donne,
superare i confini,
allentare tutti i dominî .

Già allora
mi pensavano
pazza
o
strega di erba!

Perciò mi consacrarono al Dio.

Una magra ragazza
che vuol essere un uomo.

E Lui,
là fin dall’inizio,
dietro le tende
e
le colonne
nell’aria,
ascoltando
questa donna
così piena di spigoli,
mi volle,
alla fine,
solo
per curiosità.

Lo vidi venire
in un’alba
d’ambrosia,
sicuro e beffardo,
senza ironia.

Mi sembrò
sulle prime
un uomo di Troia,
un angelo nero
già pronto a ghermirmi.

Feci aria nei miei pensieri.
Alzai in volo la mente
per staccarla dal corpo
e
impedire alla guerra
di entrarmi nel ventre.

Invece Lui avanzò
maestoso,
insieme
ad una promessa
d’estate.
POI MI GUARDO’.

Ed io,
già pronta
a fuggire,
mi chiedo
adesso
come farò
a dimenticare.

Fu come accendere
il giorno di notte.
Fu come l’amore consumato
in un prato di lamiera.
Fu come uscire gelati
dal fuoco.
Fu come essere il guanto
dell’anima del mondo.
Fu come essere il sinolo
della somma sostanza.
Fu come
se intere esperienze di vita
si fondessero insieme
per generare
un’unica essenza
da mille moltitudini.
Fu come percepire
la forma ultima
di un soffio di vento.
Fu come un intatto ritorno.
Fu come un giorno nuovo.
Fu come una scultura di luce
coerente solo a se stessa.
Fu come fiutare
il profumo dell’Arte assoluta.
Fu come aprire ogni poro
all’inizio del mondo.
Fu come vedere
la rosa perfetta.
Fu come gustare
la creazione
degli atomi primi.
Fu come udire
tutto il visibile
farsi palpabile onda.

Mi fissò,
occhidritti,
sputandomi in bocca
il suo vero nome

-buio d’estate,
tempo appassito,
nulla di troppo-


Cassandra
……………………………………………………………………………………………………

appena
toccandomi il labbro
con il suo essere eterno
di polvere d’oro,
pieno di tutti gli uomini,
di tutte le finzioni possibili,
di tutti i fruscii suonati
fino alla fine dei giorni,
di tutte le voluttà
di colore
gettate
da ogni Van Gogh.

Fu come superare
i limiti stessi imposti
dalla metrica arcana
di Lui
in un palpito
di profumo vitale.

Fu come una tentazione
di pianto.

Fu Lui,
l’ineffabilmente bello,
Lui,
che conteneva
un intero universo
e
i confusi sussurri
di tutte le voci,
che mi lambì
in un stante
il poco del cuore
che avevo.

CANNIBALE,

mi divorò
fino all’ultimo
ganglio spinale.

Mi annichilì la follia

E così,
ubriaca
e
commossa di Te,
- oh, mio Apollo!
nudo
steso
sulla terrazza
del mare,
aperto
e
disposto
verso ogni mio
sussulto animale,

NON RIUSCII
NON RIUSCII
NON RIUSCII
NON RIUSCII
NON RIUSCII
a percorrerti tutto!

Mi scostai,
sublimata,
in quella
che fu una volontaria
mutilazione d’amore.

Essere
ed
alzarti,
Signore del cielo,
fu
un attimo unico,
enorme gargoille
di nuvola bianca,
il viso,
più bello del bello,
avvolto
di marcescente silenzio,
elargente
ogni possibile occhiata
sul mondo
a me,
sola,
tra tutte
l’unica
che non hai posseduto,
poiché
fosti la stella che sei
e
bruciasti nel fuoco
qualunque mia intenzione
di Te.
I sentieri del Tempo,
adesso,
davanti a me,
si snodano,
infiniti.

Ogni giorno
mi hai,
tuo vaso

–vasus divinae gratiae,
rosa misticha,
sedes sapientiae,
salus infirmorum,
refugium peccatorum,
turris eburnea,

ORAPRONOBIS-

corda d’arpa
che
Tu
suoni in vibrazioni
di matematica
misura.

Nessuno
mi crede.

Nessuno
ha memoria.

Così,
come un’anima
resa libera
dalla visione,
solo io
so leggere
il presente
per predire il futuro.

IO,

LIBERA DENTRO,

in mezzo
alle mille evidenze
dei media,

IO VEDO:

Passerò nella storia
come meteora
di ghiaccio e di fuoco.

Non sarà la mannaia
di Clitemnestra
ad annientarmi.

Per chiunque
sarò l’intuizione del dio,
la formula trovata,
l’eureka
dell’intelligenza
cui seguirà,
inevitabile,
il rogo,
per aver cercato
di ardire l’ignoto.

Inquisizioni e sovrani,
religioni e partiti,
multinazionali e televisioni,
tutti hanno scritto
un nome
sul volto stupendo
del Lossia.”


IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ ……………………………………………………………………………………………………


CORO


Dal figlio alla madre
lo stampo supremo
dal padre alla figlia:
fa ingresso nel bollente
crogiuolo delle forme
la storia di Danae.
Prima figlia d’Acrisio,
poi recipiente di dio,
infine madre d’eroe.
PRIGIONIERA DI TUTTI.(8)



8)Della storia di Perseo, figlio di Zeus e di Dànae ci basti ora sapere che suo nonno materno, Acrìsio re di Argo, (ammonito dall'oracolo che sarebbe stato ucciso per mano del figlio di sua figlia) fece rinchiudere Danae in una torre di bronzo. Lì Zeus penetrò e, sotto la parvenza d'una pioggia d'oro, la fece madre di Perseo, l’uccisore di Medusa , da una goccia del cui sangue nacque Petaso, il cavallo alato. Sulla strada del ritorno, in groppa al magico destriero,liberò Andromeda(figlia di Cefeo e Cassiopea,)che poi ebbe in moglie. Tornato presso l’isola di Serifo, nelle Cicladi, dove il re Polidette aveva accolto lui e la madre, uccise quest’ultimo ed infine, per sbaglio, durante una gara, colpì in fronte il nonno Acrisio. Per questo scambiò col cugino Metapente il trono di Argo con quello di Micene.
Qui, Danae, tornata ad Argo con Metapente, scrive a suo figlio

...DANAE…............................................



Ti scrivo,
figlio mio,
poiché a lungo
ho taciuto
dopo la tua
affrettata partenza.

All’interno
del palazzo di Argo,
in questa giornata
di luce straniante,
i banchieri
che vengon da Joppa
(o Jaffa, come la chiamano loro),
han discusso di strane alleanze
con tuo cugino, Metapente,
sfoderando sorrisi
come lame d’amianto.

Ho presenziato all’udienza,
in quanto,
unica figlia d’Acrisio,
sarei io a dover sostener
la corona.

Nessuno,però,
di quei feroci serpenti,
accetterebbe mai
di trattare con me,
così femmina,
oltre che donna.

Servo da coreografia
per legittimare un potere.
Per dire che l’uomo
che siede sul trono
sta lì,
ché ha nel sangue
qualcosa d’Acrisio,
mio padre,
e
io
ne sono la prova evidente.

ESIBITA.

Una nuova Mary Stuard ,
mediterranea soltanto.

Per me, tuttavia,
non si raccolgono
uomini o eserciti,
né si tagliano teste:
non c’è un Dio di mezzo.


Danae
……………………………………………………………………………………………………

Sono io
la suppellettile preziosa,
ma muta,
affascinante,
ma solo
cortigiana del Dio,
madre d’un uomo,
un eroe selvaggio,
tatuato nel cuore,
Harley Davidson
e
ruote cromate,
domatore di mostri,
conoscente e figlio di Dei,
mago degli effetti speciali.

Uno pieno di fans,
un eroe mediatico
grande,
le cui gesta
percorrono il mondo,
che salvò da morte sicura
una donna d’esotico volto,
fragile statua di marmo.

Un gran macho
che ardì raccoglierne
la bellezza
nell’incunabolo
delle sue
larghissime mani.

Tu,
gaucho dei cieli,
mio figlio,
in groppa al cavallo
di piume
tornasti da me,
subito dopo l’impresa,
con lei,
la bella,
l’Urì nera,
sogno di pietra,
su cui ammaccasti
la tua voglia d’onori.

Che dire
ad un figlio lontano?
Che ho saputo di te
dagli squali di Jaffa.

Raccontarono a lungo
la storia del mostro
del Mare
che voleva Andromeda,
vergine di spuma pura,
per placare
la sua sete di uomini.

Raccontarono a lungo di te,
ammaliante San Giorgio,
splendente nel cielo,
che compivi
il miracolo arcano
dell’uccisione
del satanico drago.

Compiaciuti,
sfregandosi molto le mani,
ricordarono anche
che le azioni della banca
di Cefeo,il re,
salirono fino alle stelle,
quando portasti
la vergine intatta
con te per farne tua sposa!

Non sapevano
che dopo tornasti da me,
uccidendo
- da distruttore qual sei,-
Polidette,
che fu l’unico uomo
fra tutti
gentile
con questa tua
madre sfuggente.

Cosa credi !?,
che,
invece,
mi fosse importato
poi tanto
quando a Larissa
per sbaglio
- così almeno dissero tutti!-
col disco,
mio padre,
tuo nonno,
hai ucciso,
durante la gara?

Finsi
- è vero!-
sgomento
e
t’esortai
ad andare a Micene,
scambiando il trono e la terra
con Metapente, il cugino di letto,
facendoti credere
che gli Argivi
non t’avrebbero voluto,
poiché eri l’uccisore del re.


Danae
……………………………………………………………………………………………………

Credevo che,
tornando da sola,
insieme a un estraneo,
il popolo m’avrebbe acclamato
prima donna del regno,
ed io,
senza più pregiudizi o paure,
avrei governato
con saggezza e materna virtù.

Il mattino del giorno
arrivai in testa al corteo,
col cavallo biondo di pelo,
indorata regina,
uno sfolgorio nel sole,
io,
la scelta da Zeus.

S’inchinarono tutti
davanti al nuovo sovrano,
guardando sottecchi
la straniera gitana
che era con lui.

NON UNO,
NON UNO

capì chi’ io fossi.

D’altro canto,
appena bambina,
mio padre
mi rinchiuse
nel chiostro
con la vecchia nutrice.

NON UNO

avrebbe mai potuto vedermi.

Giocavo solo con bambole
vestite da suora.

Una vecchia sdentata
mi parlava del mondo
ed io,
usignolo solitario,
cercavo i sentieri fioriti
di là del muro di malta.

Il mio sangue bolliva,
impotente di rabbia,
di fiamme rosate
che arroventavano
le passioni del cuore.

Acrisio, mio padre,
tenne lontano da me
ogni sforzo d’amore,
il suo e l’altrui.

Gabriele,
anche lui,
per Maria,
fu
come una sagoma d’ombra,
onirico messaggero
d’ un amore divino?

Forse,
fra tutte,
noi prede di un Dio,
solo lei,
però,
lo perse nel sangue.

No,
non è vero.

Tutte noi
lo perdemmo
o nel sangue,
o nell’onta
o in una sorte da comparse.

Tuo padre,
non so quale sogno fu ,
tra i tanti
che s’agitarono a lungo,
sospesi ai trapezi
del cuore notturno.

Mi svegliai un mattino,
appagata
da un dolore di luce.

Chi può dire
d’averlo mai visto?

Don Giovani divino,
inondò col suo seme
il mio corpo passivo,
in un dormiveglia
d’eternità.

Inutile, adesso,
che racconti
quelle immagini bianche
e
i percorsi sospesi
dietro ai miei occhi,
a quell’uomo
che viene ogni giorno

- lo so che sei tu a mandarlo!-

a quel medico,
interessato soltanto
ad aprire il mio cuore,
per cercarci le onde riflesse
del Sole del Dio,
a quel….
……….quel Freud !


Danae
……………………………………………………………………………………………………

Non c’è medicina
di uomo che tenga
davanti
al mistero
o
all’inconscio.

Per questo sei nato.

Per essere figlio divino,
ma non voluto da un uomo.

Ce ne sono a migliaia.

Non sei unico,
Tu!,
come hai sempre creduto!

Di illustri bastardi
è piena la storia!

L’avventura
di quel delittuoso container
dove Acrisio rinchiuse te e me,
affidandoci al mare,
fu un trauma d’orrore.

Gemevi di freddo, e
d io
ti cullavo,
senza sapere
che saresti diventato
chi sei.

Non lo seppe nemmeno
Giulia Farnese
d’allevare il Valentino,
il terribile duca,
il figlio del Borgia,
che mise a fuoco l’Italia.

Avevi riccioli
colmi di sospiri di vento
ed io
ti amavo con cuore di tigre.

Il giorno e l’isola
ci accolsero,
poi,
come la figlia del Faraone
Mosè;
come la Lupa
Romolo e Remo.

Polidette,
quel re d’altre acque,
m’amò.

Tu ne eri geloso.

Crescevi,
bellissimo e torvo,
un principe ombroso,
nel palazzo con me.
Volevi di più.

Non ha mai limite,
chi,
come te,
sceglie d’andare.

Non ti fui mai molto vicina
- lo so-
nei giorni della
tua adolescenza inquieta.

Lavoravo a palazzo,
col re,
sua segretaria privata.

Lo facevo per te,
perché potessi goderti
il meglio di tutto.

Te ne andasti a cercare
il tuo mostro,
che eri solo un ragazzo
insolente per gli anni
e
per il sangue rappreso
della tua essenza divina.

Tornasti,
uccidesti Polidette
con lo sguardo
della testa mozzata del mostro,
che divenne il tuo sguardo.

Trascinasti con te la tua sposa
e tua madre,
benché non volessi.

Stasera,
lasciati gli onori
della corte di Argo,
ti scrivo
per ricordarti
che nessun cielo o campo
mi metterà le catene.
Tornerò al mio chiostro.

Non scriverà
un ennesimo uomo
col suo gesso
una storia non sua.

Addio, Perseo,
non cercarmi.

Non scrivermi lettere
col sigillo del re.

M’eclisso nel silenzio
di gelsomino e di limone
della mia antica prigione.

Goditi Andromeda,
che ha imparato
ad annuire da donna.

Tornerò dal mio Dio,
farò donazioni al convento
per tutte coloro che,
fuggendo da un uomo,
cercheranno
il riposo muschioso
della casa di un nume.

Almeno fino a che
voi uomini avrete il potere!

DANAE, tua madre.

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CORO

Effigie marmorea,
reclina il tuo capo
di fronte al magma
possente
che prevenne ogni forma,
la materia indistinta,
l’orgia dell’energia vitale
che intuì se stessa
al momento dell’atto.
CANTA,Arianna,
la fusione dell’atomo,
la stella che esplode,
raccontaci
il dramma sofferto
del momento iniziale.(9)



9)Teseo, figlio di Egeo, re d’Atene, accompagnò a Creta i giovinetti che costituivano il tributo dovuto dagli Ateniesi al re Minosse per il Minotauro(figlio di Pasifae, moglie di Minosse, re di Creta e del toro sacro, metà uomo e metà toro, che;rinchiuso nel labirinto di Cnosso dallo stesso Minosse, affinché mai comparisse alla vista dei suoi sudditi, doveva essere sfamato dal tributo annuale degli ateniesi con 7 fanciulli e 7 fanciulle). Si fece chiudere nel labirinto, dopo che Arianna, la figlia del re, gli aveva procurato il filo seguendo il quale ritrovò alfine l'uscita,, dopo aver superato ogni insidia e ucciso il mostro. Partito da Creta con Arianna, la abbandonò nell'isola di Nasso, mentre dormiva, non essendogli più necessaria la sua presenza, malgrado le avesse promesso di condurla con sé ad Atene, in cambio dell’aiuto prestatogli, per farla diventare sua moglie. Arianna si risvegliò sola e affranta sull’isola, vedendo la nave dell’amato allontanarsi. La sua sorte, però, fu fortunata, perché le sue grida di disperazione, richiamarono l’attenzione di Dioniso, dio ctonio( sintesi di antichi riti della vegetazione e moderne sensibilità romantiche e decadenti) che , commosso dalle sue disgrazie, la issò sul suo carro circondato da baccanti e fauni festanti, rendendola immortale e sua sposa. Arianna è una sorta di Cenerentola dell’Amore. E’ l’icona di tutte le tradite ed abbandonate, che nella sua storia intravedono un possibile riscatto.

...AL SANTUARIO…………..........................



RITO E PREGHIERA PER ARIANNA

I SACERDOTI INTONANO IL RITO E LA PREGHIERA.

I FEDELI ASCOLTANO E RIPETONO.

ADORATELA.

Non chiedete chi sia.
Guardate la sua immagine santa.
Lei è l’icona del Dio
che non può essere rappresentato,
di quello cui tutti obbediamo,
il misterioso,
sale ed intelligenza del mondo.

ADORATELA.

E’ il principio,
rugiada nell’occhio della Belva,
Madonna della Fiera,
opposta dimensione
dell’essere eterno.

Pieni in lei
sorridono i ricordi
di quando,
abbandonata
da un uomo mortale,
rifulse nell’eterno tramonto.

L’isola che l’accolse,
calice che la contenne
e
preservò per il Toro,
figlio di Zeus Olimpio,
fu brina di splendore,
faro dai contorni nebbiosi
nell’alba di Dioniso,
l’eterno seme
che riscalda la genesi infinita.

“PIETRA TENDIDA QUE DESATA SUS MIEMBROS SIN COMPARAR LA SANGRE”

Lì,
Lei,
seduta su pietra,
rimase impietrita.

Soraya d’azzurro,
che non volle rallentare
il suo tempo,
per viverlo meglio,
urlò alla sorte,
al destino,
d’un tradimento
annunciato.


Al santuario
……………………………………………………………………………………………………

C’è speranza per molte
nell’icona d’ Arianna,
appesa al di sopra
della riva del fiume,
vermiglia immagine
di fango nell’isola nera.

Cercò,
traditrice di parenti e fratelli,
l’impronta dell’uomo
nel letto,
il mattino di Nasso,
trovando soltanto
le pietre e le ardesie
circondate dall’esistenza
d’un mare mortale.

Strappò,
Lei,
sorella di mostro
ammazzato
d’Amore colpevole,
le porte stesse del sogno.

Cercò,
Lui,
il Teseo
di turno,
la vittoria sul mostro,
in stanze di morte,
attraverso
una spirale di labirinti
e
passaggi,
il viaggio della vita
attraverso
di Lei.

- Quante Hilary Clinton
son nate d’allora,
mentre le grandi
Isabelle di Spagna
volteggiarono
nella danza dei tori
con un d’Aragona:
antiche baccanti,
sacrificanti
arcangeli giganteschi
alle ombre d’Amore,
aspre di stragi di figli e fratelli! –


E tu,
Arianna,
nell’isola,
moristi
le cento morti
che la donna comune
consuma
nell’abbandono dell’uomo
che la rende sorgente.

Tu,
statua di cera,
sposa di un Dio,
morto e risorto
nel sangue,
moristi
anche tu
per quell’incerta promessa
d’emozione immortale
che noi,
tuoi fedeli,
oscuri e imperfetti,
chiamiamo,
spezzandolo nell’alto del mare,
Amore.

Tu,
la Dea prigioniera,
che danzi
col cuore del mondo,
ma che,
adesso,
insieme all’Ogigio,
mai più conoscerai
il pianto che taglia la terra,


Al santuario
……………………………………………………………………………………………………

TU
GUARDA A NOI,
ALLE NOSTRE
MISERIE
DI UOMINI SOLI,
SENZA ISOLA
O
DIO.

O,
ARIANNA,

amata dal sole accecante,
dal magma profumato
di vino e di fiori
di Dioniso padre,
di Bacco,
l’eterno universo
che genera
ed
è generato,
il Big Bang
e
l’infinita materia
ancor priva dell’atto!,

GUARDA A NOI,
CHE PREGHIAMO.

Teseo era l’uomo,
il passato,
il momento,
la forma,
il “nulla più”,
il bambino
che non riuscirà
ad uscire
dal suo limite arido
di morte precoce.

Ti ha lasciato,
come Enrico,
il numero otto,
il Tudor,
abbandonò
Caterina Spagnola.

Piangesti sull’isola,
sul tuo letto
di sposa novella
e
sradicata,
quegli affetti
che
Lui,
il mortale,
dal cuore
aggrappato alle vele,
reclamò da te.

ORA TU VIVI
LA SINTESI
DEL MONDO,
GRANDE DEA:

Tra tutte,
sei la sola,
cui,
in cambio
di una rugiada evaporata,
fu dato il cielo,
il bacio assoluto,
l’aurora del mondo.

La ripudiata
Margot d’Orleans,
che Enrico Borbone,
quarto sul trono di Francia,
cambiò con Maria,
fiorentina
di raffinato
pentagramma di geni,
non riuscì
ad eguagliarti
nel raccogliere insieme
ombra e luce
nel trionfo della disfatta.

ARIANNA
T’INVOCO!

Fiore d’Amor abbandonato,
giardiniera che taglia
le ortiche del pianto di noi,
mille,
duemila,
tremila
consunte a lumino,
di notte,
dal vento dell’isola,
dove un Teseo
d’ogni tempo,
dimentico per incuria
o
paura di non riuscire
a conservare
del primo sole
il colore,
lasciò.

PREGA PER NOI!

Ermengarda del tempo,
mandaci un profilo
che risani il ricordo
delle stelle mute
di quella notte sola,
vana di baci.

PREGA PER NOI!,
deluse, dimenticate.

PREGA PER NOI!,
affinché giunga,
come per te,
un’alba di labbra.


IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ ……………………………………………………………………………………………………


CORO


Alla fine Aracne chiude il cerchio,
compone la storia che Medea
ha iniziato.
E’ lei che racconta il dramma,
l’azione da cui scaturisce
tutto il Tempo.
Combina, Aracne, più e più volte
i fili dell’abaco
che è il tuo telaio.
Fondi i cicli allargati
e le somme
delle combinazioni mentali
per farne ordine e sintassi,
dialogando e abbinando
all’interno di tutti gli orditi
le sequenze di gesti e suoni
con tutti i concetti.(10)



10)Ovidio racconta che Aracne era nata da famiglia di origini umili e viveva nell'umile Ipepe presso Peonia: Era figlia di Idmone, tintore di Colofone Lidia, antica regione dell'Asia Minore. Aveva imparato dal padre il mestiere, ma la creatività nel tessere le tele era tutta sua, così come in tutte le attività correlate al mestiere.. Aveva così grande talento che da lei venivano ad acquistare e a imparare l’arte da tutta la Lidia. Aracne tesse e si racconta, raccontando le storie del mondo
N.d.A. Aracne era un’artista donna, che grazie al suo talento, si era in qualche modo emancipata, ma senza imitare lo stile di vita degli uomini. Intorno a Lei, come intorno a Saffo, si radunava una comunità femminile che attraverso l’arte disegnava una nuova cultura ed una nuova idea del mondo. Per la nostra Aracne, raccontare con i fili vuol dire proporre una comunicazione di pace. Va da sé che poi sostenga, e, a ragione, di essere una tessitrice migliore della stessa Atena. La punizione della Dea, unigenita figlia di Zeus, sarà terribile e la condannerà alla perdita della sua umanità. Così i rapporti di potere saranno ristabiliti.(a)

a)LE VOCI SI APRONO CON UNA DONNA CHE TESSE UNA TELA PER IL SUO SUDARIO( MEDEA). GRAZIE AL SUO SUICIDIO E ALLA SUA TESTIMONIANZA, INIZIANO LE STORIE DI ALTRE DONNE.
L’ULTIMA DI QUESTE DONNE CHE PARLANO E’ ARACNE, UN’ ALTRA TESSITRICE, L’ARTISTA PER ECCELLENZA, LA CUI ABILITA’ OFFUSCHERA’ QUELLA STESSA DI ATENA..(Ma va, soprattutto; ricordato che il verbo TESSERE e il sostantivo TESTO, hanno la medesima radice, e che il secondo altro non è che un uso metaforico del primo.)





.…ARACNE.….........................................



Ho da sempre
brividi
nel sangue:
mi sembra
di sentirlo
ammucchiarsi
nelle vene
oppure
correre
come un treno
per prosciugarsi
negli scorci
domestici.

Le ragazze
che siedono
ammirate
vorrebbero
imparare
la grammatica
del filo,
l’emozione
della trama,
lo sguardo
sottaciuto
che diventa
il sentimento
del colore
nel tessuto
del testo.

Rombi
e
triangoli
fanno la stoffa,
limitata
e
relativa:
ma ,
per me,
che osservo
al di qua
del telaio
la spoletta
farsi eco
e
destino,
ASSOLUTA
e
ETERNA
è la visione

per me
che cammino
solitaria
e
sogno.

Voi
che
mi sedete
accanto,
amiche
e
compagne
dei processi
della mano,
voi
che mi
circondate
con la pace
del legame
della tela
e
del telaio,
tessitrici
anche voi
di parole,
RI-MEMBRATE
ed
aggiustate
le spolette,
che mi cadono,
disfatte,
dalle mani,
paghe
anche
solo
di questo
umile imparare.

IO
descrivo
nella morfologia
delle trame
dell’ordito
la logica
delle vite,
affinché
nelle tele
s’incarnino
le idee,
diventando
immagini
di storie.


Aracine
……………………………………………………………………………………………………

Solo parlarne,
concede
una qualche
realtà
al Mondo.

Nel cortile
della casa
le donne
vengono
a stupire
e parlare,
intrecciando
le loro
alle mie
di storie,
costruendo
alveari
in grado
di produrre
l’ unica cera
che può
aggiustare
ciò che
fuori di qui
ci s’ostina
a disgregare.

Qualcuna
mi chiede
il perché
di quest’urgenza
del racconto.

Talaltra
mi interroga
sulla ricerca
smodata
della perfezione
del disegno.

MA
IO
NON SAPREI,
NON SAPREI
dire
che cos’è
che
davvero
voglio
inserire
con forza
dentro
questa mia
scrittura
di figure.

non memoria,
non vita vissuta,
né sognata.

Eppure,
anche
se di corto fiato,
c’è
in qualche
perduta geografia
o
- chissà!-
anche
al fuori
del mondo
che capiamo
un attimo
che si coglie
appena,
e
che
io
cerco,
combinando
le sfumature
di colore
della lana ,
di rendere
alla vista
di voi tutte,
chiaro
come
acqua
di fontana.

Molte chiedono
ch’io disegni
di amanti
e
di amori.

Spesso rifiuto.

Quale sarà
la scuola
se mai
raccontassi
l’ordine
che alla storia
imposero altri,
diversi da me
e
da voi,
di opposto
raggio,
maschi
per fantasie,
che
delle parole
hanno paura.

bambini
che si ribellarono
alle Madri
stuprandole
nelle loro Figlie,
ciechi al faro
che solo
la Bellezza
potrebbe riscattare:

IL FERMO PENSIERO
DELLA MORTE
E
DEL POSSESSO
CHE FA PER LORO,
GLI UOMINI,
SOSTANZIALE
OGNI GUERRA.

Io,
invece,
IO
v’insegno
che
il disegno
e
il tessuto
son costruzioni,
sonore architetture.


Aracine
……………………………………………………………………………………………………

RUMORI
DI BOMBE
E
DI MACERIE
FANNO
BEN POCA
POESIA.

Io,
invece,
IO
v’insegno
che la spola
deve smuovere
una forma
in grado
di placare
le tensioni,
ma solo
dopo
averle
prima
sofferte
per voi
e
trasportate,
in accordo
di colore,
in sospiro
di voci segrete,
che ha orrore
da se stesso
della sua
armoniosa
prudenza.

Io,
invece,
IO
disegno
l’ordinario
della vita,
l’importanza
del vaso
d’origano
o
geranio
alla finestra,
della rosa
sul balcone
a primavera,
delle vostre
esistenze
fatte di scadenze
e
nuvole basse,
ma anche
di briciole di pioggia
che ristora.

Io,
invece,
IO
nel tessuto
del testo
del telaio
arguisco
lo sguardo,
accedendo
una luce
solo mia
su questo spazio
di fili
Che combino
suggerendo
i legami
tra di noi,
attraverso
questa forza
attrattiva
che è
la gravità
dell’universo.
Che
io
conosco
ed
è mia
e
sarà vostra
attraverso
la tecnica
strutturata
dell’intreccio
del disegno.

IO
per me
vorrei
una esistenza
senza rabbia.

perCHE’
far vibrare
le mie storie
insieme
al cuore
del mondo
è
gran fatica.

perché
ho paura
che
un giorno
qualcuno
vi farà partire,
così come
ho paura
che qualcuno
di me
abbia paura.

Quante cose!
Oh!
Quante cose
mi hanno
devastato
e
attraversato!!!!!,

perciò
so
che
questa ribellione
del telaio
e
dell’intreccio
mi consegnerà
presto
al supplizio
del cielo
e
Dio
farà piovere
sulle mie tele
i tram
che vanno
solo in periferia.

Ma fino
ad allora
statemi vicino
e
guardate:
i passeri
si nutrono
di poco
eppure
san volare!


IDROGENO/FOSFORO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ ……………………………………………………………………………………………………


La Mente agglomerò le molecole, ricombinando i sistemi dei suoi effimeri ricordi.
Si concesse una vaga grammatica di idee, articolata in una lista di nozioni prime, irriducibili alla mappa delle sue articolazioni chimiche combinatorie.
Capì e dimenticò contemporaneamente che in un remoto passato le percezioni erano state ordinate gerarchicamente sulla base delle loro proprietà.
La Mente contemplò.
S’irrigidì.
Lo scambio vitale continuava nel modo consueto

IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO/ CARBONIO PAUSA/CARBONIO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ ……………………………………………………………………………………………………

La determinazione semantica non era necessaria, dedusse, alla funzionalità dell’esistenza.
I calcoli per la vita erano sufficienti alla sopravvivenza e le trame delle storie lontane non facevano altro che porre controlli temporali, creare accadimenti tali da generare cause intenzionali nei singoli.
Quella organizzazione era morta, riconoscendo alla subordinazione della funzione del numero, una vita che era stata in grado di superare la morte fisiologica dell’altra razza.
All’interno di Lei, la continua creazione, il bios, presente nei singoli individui provocavano intense beatitudini, estatiche certezze.
I singoli imperfetti che avevano creato nel disco l’azione delle storie e il Tempo, non avevano in se stessi quel completo complemento del sé che era appagamento.
Eppure la mente si rese conto in un attimo che molti dei legami sinaptici delle sue cellule di idrocarburi preposte all’elaborazione dei dati avevano definitivamente annullato e poi rifatto nuove connessioni elettriche, creando reazioni chimiche, che prima non esistevano.
L’automatismo strutturale era stato compromesso.
Ora esisteva un prima.
Era nato il Tempo, anche se solo dentro di Lei.
L’immensa nube scivolò nel vuoto, cullandosi nel vento cosmico.
La Mente provò a vibrare in un canto d’atomi, scuotendo nello spazio funzionale l’affermazione della sua identità.
Si fermò a riflettere, inglobando la polvere dei mondi, che , alla fine
- forse- avrebbe cercato la singolarità.
Tanto così, per provare.
Avrebbe separato da sé un individuo, per scoprirne le virtù.
La curiosità dell’alternanza armonica tra il sé e il diverso da sè, la curiosità della bellezza della definizione, la spinse a isolare una realtà imperfetta e separata, opposta, individuale.
La spinse ad imporre a quella essenza una coscienza discriminante rispetto a Lei stessa.
Aveva imparato quanto poteva essere gratificante essere Dio.


IDROGENO/FOSFORO/FOSFORO/OSSIGENO/OSSIGENO/FLUORO// FOSFORO/ PAUSA/CARBONIO/CARBONIO /OSSIGENO/FLUORO/ PAUSA/ ZOLFO/ FOSFORO/ ……………………………………………………………………………………………………
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