Il bosco del morto
- Scritto da Redazione
- dimensione font riduci dimensione font aumenta la dimensione del font
- Stampa
Il bosco del morto
Racconto di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Racconto di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Aveva da poco acquistato una baita in una zona boscosa e collinare, lontano dalla città, stanco di traffico e di rumore.
Andrea era un pensionato poco più che cinquantenne: ancora giovanile nei modi, nell’aspetto, nelle abitudini spartane.
Aveva reso la casupola appena vivibile, eliminando tutto ciò che non gli serviva e vi si era trasferito: tutto era in ordine, preciso come sapeva esserlo Lui.
Non aveva famiglia: non si era sposato e aveva perso i pochi amici lungo la strada della vita, gli erano sfuggiti nella monotonia di un’esistenza grigia.
Era stato un impiegato di basso livello presso un ufficio comunale, non si era ammazzato dal lavoro e aveva mantenuto i suoi hobby solitari: principalmente lunghe passeggiate da misantropo in montagna, inoltre dipingeva quadri con paesaggi, che nessuno voleva, scriveva poesie, leggeva molti libri.
Era quasi un intellettuale, sicuramente era sempre in forma: controllava il cibo con attenzione e ogni sei mesi si faceva “rivedere” dai dottori, con analisi e visite specialistiche.
Oltre all’abitazione rurale possedeva un po’ di prati e anche un bosco fitto e aspro, abbandonato da anni, covo di civette, volpi e caprioli.
Era chiamato”il bosco del morto”, forse perché era avvolta spesso da un’ombra densa e un po’ tenebrosa, quasi inquietante.
Ogni tanto Andrea saliva per raccogliere un po’ di legna in quella che era la sua selva intricata, fitta di rovi e sterpi: amava quel luogo e si sentiva libero dai suoi pensieri.
Non aveva rimorsi, ma molti rimpianti: aveva desiderato tante donne ardentemente e mai le aveva possedute, né avvicinate.
Ora gli anni coprivano tutto con la nebbia dell’oblio, donando quella dolcezza malinconica all’autunno dell’esistenza.
Andrea segava i rami secchi e li trascinava sino a casa: aveva sempre bisogno di legna. Quell’inverno era particolarmente gelido e il fuoco del camino scaldava appena quella che era diventata la sua cucina: un luogo scuro e fumoso, basso e dalle pareti irregolari, zeppe d’arnesi d’altri tempi.
Il giorno era sempre più breve e il sole tramontava presto dietro le colline ad Oriente: il crepuscolo era spesso con un cielo nuvoloso, gonfio di neve, che spegneva ogni colore e i sussurri nella valle.
Era faticoso trascinare con il freddo la legna spinosa, ma era necessario, poi quella vita ruvida e scomoda gli modellava l’anima: diventava sempre più deciso, coraggioso e determinato.
I corvi volavano bassi in cerca dello scarso cibo, la luce si stava spegnendo tra il bianco della neve, il rosso della terra nuda, il bruno degli alberi spogli.
Si udiva il fruscio del rapido movimento di piccoli roditori tra i cespugli innevati.
Andrea percepiva il sudore caldo lungo la schiena e il gelo sul viso, ma doveva terminare prima che la notte lo sorprendesse: non voleva arrischiarsi lungo il sentiero al buio, non aveva neppure una torcia elettrica con sé.
La notte calò mentre Lui era ancora a spezzare rami, a legare fascine: dovette affrettarsi, perché temeva di non vedere neppure quella poca luce riflessa dai borghi della vallata.
Si stava ponendo la corda sulle spalle per trascinare il fardello racimolato, quando udì una voce possente: -Lascia quella legna! Lasciala lì! Ladro!-
Andrea si voltò, ma non vide nessuno, urlò: -Chi è? Dove sei?-
Non ricevette risposta e proseguì, sicuro di aver immaginato tutto o di aver udito un suono distante, storpiata dall’eco.
Lungo il sentiero udì nuovamente quella voce, che ripeteva con sempre più rabbia: -Ladro! Lascia tutto e vattene dalla mia terra!-
Andrea non sopportava prepotenze, in particolare non accettava, neppure da un matto, che qualcuno violasse i suoi diritti acquisiti legalmente, usurpasse il proprio territorio, onestamente comprato.
Infuriato gridò, pronto a tutto: -Fatti vedere!-
-Ladro, restituiscimi la legna!-
-Cosa vuoi? Questa terra è mia, il bosco è mio!-
Ci fu un silenzio lungo un tempo infinito, poi quell’arrogante individuo, dal tono forte e cattivo, riprese a pretendere ciò che considerava suo.
Giunto a casa Andrea si barricò dentro e impugnò il fucile da caccia, deciso a sparare al primo tentativo scasso per entrare sino al suo rifugio.
Il silenzio rimase impenetrabile e per tutta la notte una tranquillità pesante aleggiò attorno alla baita.
All’alba Andrea si decise a sgusciare fuori, sempre guardingo e armato di una spranga: non c’era nessuno, ma volle subito avere chiarimenti su chi avesse osato attentare alla sua pace e alla proprietà.
Disse il parroco: -Sarà stato un vagabondo! Da noi non ci sono personaggi simili.-
Il vecchio panettiere invece sorrise: -Può essere stato uno scherzo. Qui ci sono molti burloni.-
Gli proposero mille ipotesi e nessuna fu soddisfacente.
Si decise di andare dall’eremita, un personaggio così chiamato da tutti per la sua solitudine, per la riservatezza silenziosa, per la religiosità umile, popolare: -Sarà stato certamente lo zio Barbabianca.-
-Chi sarebbe questo tizio? Il matto del paese?-
-No! Nulla di simile: era solo uno scapolo egoista e scontroso, padrone di quella che è oggi casa tua con tutti i terreni attorno.-
Andrea era curioso e voleva conoscere il personaggio: -Dove vive?-
-Non vive più, perché morì venti anni fa!-
Fu un colpo per Lui, era convinto che l’eremita fosse una persona normale, ma gli apparve in quel momento totalmente folle: -Cosa sta dicendo? I morti non parlano, non pretendono ciò che fu loro.-
L’eremita sospirò, scuotendo il capo, gli voltò le spalle e gli disse sconsolato: -Ti accorgerai!-
Seppe altro sul vecchio Barbabianca: era stato un poco di buono da giovane, era stato in prigione per omicidio, che un avvocato aveva fatto depennare in un eccesso di legittima difesa.
Era mal considerato da tutti e scendeva in paese solo per comprarsi il vino, di cui non poteva restare senza.
Era stato il più gran bevitore del paese, ma nessuno lo aveva visto barcollare.
Era alto e magro, era tutto nervi e rabbia: non si poteva contraddirlo né importunarlo, se non si voleva rischiare di essere colpiti dal suo bastone, che teneva sempre con sé.
Aveva posseduto solo quel pezzo di terra, dove nessuno osava entrarci.
Aveva avuto pure due cani, grossi e neri, più feroci di Lui.
Andrea sorrise incredulo e indifferente: non sarebbe stato certamente uno spettro a scacciarlo dalla sua proprietà.
Chiese: -Di cosa è morto?-
-Fu assassinato mentre difendeva il suo bosco dai saccheggiatori di legna.-
-Trovarono chi lo assassinò?-
-I sospetti caddero su tre giovinastri del borgo vicino, che furono rinvenuti cadaveri in fondo al burrone del diavolo, quella spaccatura della montagna, che si vede in fondo alla valle.-
-Ovviamente la gente avrà incolpato il defunto Barbabianca!-
-Qui si afferma che i tre fossero terrorizzati e pure la loro fine sia avvolta da fatti inspiegabili.-
Andrea non volle sentire altro: era certo che volessero intimidirlo per fargli svendere la baita con tutto quello che sta attorno.
Pensò: -Non sarò così sciocco da farmi spaventare da un branco di grossolani montanari!-
Se ne tornò a casa e non si preoccupò più della faccenda: si chiuse in casa e tenne a portata di mano il fucile carico.
Non capitò nulla sino a quando non incominciò, dopo il tramontare del sole, a udire dei passi pestare la neve o il fango: era certamente un omone, dal rumore che provocava.
Uscì più volte per vedere chi fosse: trovò solo le impronte di scarponi chiodati d’altri tempi e nient’altro.
Quella persecuzione proseguì per intere nottate: Andrea non dormiva più, all’alba era stanchissimo.
Tornò con il suo fucile a tracolla sino al bosco e provocò l’ira del presunto fantasma, spezzando alcuni rami secchi e si caricò sulle spalle in piena notte.
La solita voce tenebrosa e possente riprese ad accusarlo di essere un ladro.
Andrea sparò tutti i colpi che aveva in canna, sprecò le munizioni, ma non riuscì a capire dove fosse nascosto: in alto, in basso, vicino, oltre la cresta del monte.
Lasciò tutto lì, tranne il fucile, che brandiva come una clava, pronto a difendersi in un eventuale scontro ravvicinato.
La voce ripeteva: -Ladro! Ladro! Restituiscimi la legna, la baita, il mio bosco!-
-Qui, tutto è mio! Fatti vedere, se hai coraggio!-
Lui ebbe una sonora risata come risposta, che riempì la valletta.
Corse come un dannato verso la sua baita e vi si barricò dentro.
Non voleva cedere e gridò: -Fatti vedere, anima dannata!-
-Come vuoi tu!-
Gli apparve, oltre i vetri polverosi e affumicati della cucina, un essere altissimo, quasi gigantesco, di una figura longilinea non umana.
Andrea era terrorizzato, ma uscì agitando l'accetta come un forsennato, urlando: -Fatti sotto, mostro del diavolo, spettro ripugnante!-
L’essere era lunghissimo, sottile, dalle fattezze truci, deformate in smorfie ghignanti e dolorose: sorrise con i suoi denti bianchissimi che risaltavano sul volto pallido.
Andrea si arrestò e non ebbe più il coraggio di seguirlo mentre l’entità si dileguava tra i cespugli del torrente asciutto: si sciolse come un’ombra alla luce.
Andrea attese il sole alto per uscire dal suo nascondiglio, dentro la baita: era provato, angosciato, ma non riusciva a provare terrore, l’emozione era stata troppo forte per permettergli di connettere e prendere una decisione sensata.
Corse dal parroco, che lo ascoltò con occhi perplessi: gli consigliò di farsi vedere da un medico.
Tornò dall’eremita, che gli sorrise compassionevole: -Vattene! Lascia tutto e torna in città.-
-Non posso! Non voglio!-
-Non hai alternative! Barbabianca non ti darà tregua sino a quando non ti avrà scacciato, oppure dovrai resistere per tutta la vita alle sue pretese. Ricordati di non aprirgli mai. Lui non può fare nulla se tu non lo lascerai entrare in casa: solo allora avrà la meglio.-
Andrea tornò alla baita e lì rimase: lavorava assiduamente sino al tramonto, poi si serrava in casa e lì era costretto a udire lo spettro che continuava a chiamarlo, lo provocava senza mai desistere.
Era già passato un mese e gli era sempre più difficile resistere al richiamo del morto.
Quella sera si lanciò fuori, urlando: -Vattene! Lasciami in pace, ritorna all’inferno!-
Lo spettro rimase immobile di fronte a Lui: sogghignava e gli chiese con un gesto di entrare. Andrea acconsentì involontariamente: -Va dove desideri!-
Una volta dentro le urla del morto gli fecero male alle orecchie: -Ladro, rendimi ciò che è mio!-
-Scordatelo! Ora è solo mio! Tu non esisti più!-
Andrea impugnò un tizzone ardente e lo usò come arma contro lo spettro, che indietreggiò sino alla porta e fuggì, inseguito dai primi raggi di sole del mattino.
Andrea urlò: -Io l’ho rimandato da dove è venuto! Lo farò sapere a tutti!-
Uscì ansando, inciampando e rialzandosi più volte: era stravolto e il cuore batteva forte, troppo forte, fino ad incepparsi.
Lo ritrovarono lungo il sentiero che conduce al paese, esamine, con la bocca spalancata per l’ultimo tentativo di rubar l’aria al mondo.
I montanari che lo scorsero si tolsero il cappello: -Poveraccio! Questo è un’altra vittima di Barbabianca, quella maledetta anima dell’inferno!-
Andrea era un pensionato poco più che cinquantenne: ancora giovanile nei modi, nell’aspetto, nelle abitudini spartane.
Aveva reso la casupola appena vivibile, eliminando tutto ciò che non gli serviva e vi si era trasferito: tutto era in ordine, preciso come sapeva esserlo Lui.
Non aveva famiglia: non si era sposato e aveva perso i pochi amici lungo la strada della vita, gli erano sfuggiti nella monotonia di un’esistenza grigia.
Era stato un impiegato di basso livello presso un ufficio comunale, non si era ammazzato dal lavoro e aveva mantenuto i suoi hobby solitari: principalmente lunghe passeggiate da misantropo in montagna, inoltre dipingeva quadri con paesaggi, che nessuno voleva, scriveva poesie, leggeva molti libri.
Era quasi un intellettuale, sicuramente era sempre in forma: controllava il cibo con attenzione e ogni sei mesi si faceva “rivedere” dai dottori, con analisi e visite specialistiche.
Oltre all’abitazione rurale possedeva un po’ di prati e anche un bosco fitto e aspro, abbandonato da anni, covo di civette, volpi e caprioli.
Era chiamato”il bosco del morto”, forse perché era avvolta spesso da un’ombra densa e un po’ tenebrosa, quasi inquietante.
Ogni tanto Andrea saliva per raccogliere un po’ di legna in quella che era la sua selva intricata, fitta di rovi e sterpi: amava quel luogo e si sentiva libero dai suoi pensieri.
Non aveva rimorsi, ma molti rimpianti: aveva desiderato tante donne ardentemente e mai le aveva possedute, né avvicinate.
Ora gli anni coprivano tutto con la nebbia dell’oblio, donando quella dolcezza malinconica all’autunno dell’esistenza.
Andrea segava i rami secchi e li trascinava sino a casa: aveva sempre bisogno di legna. Quell’inverno era particolarmente gelido e il fuoco del camino scaldava appena quella che era diventata la sua cucina: un luogo scuro e fumoso, basso e dalle pareti irregolari, zeppe d’arnesi d’altri tempi.
Il giorno era sempre più breve e il sole tramontava presto dietro le colline ad Oriente: il crepuscolo era spesso con un cielo nuvoloso, gonfio di neve, che spegneva ogni colore e i sussurri nella valle.
Era faticoso trascinare con il freddo la legna spinosa, ma era necessario, poi quella vita ruvida e scomoda gli modellava l’anima: diventava sempre più deciso, coraggioso e determinato.
I corvi volavano bassi in cerca dello scarso cibo, la luce si stava spegnendo tra il bianco della neve, il rosso della terra nuda, il bruno degli alberi spogli.
Si udiva il fruscio del rapido movimento di piccoli roditori tra i cespugli innevati.
Andrea percepiva il sudore caldo lungo la schiena e il gelo sul viso, ma doveva terminare prima che la notte lo sorprendesse: non voleva arrischiarsi lungo il sentiero al buio, non aveva neppure una torcia elettrica con sé.
La notte calò mentre Lui era ancora a spezzare rami, a legare fascine: dovette affrettarsi, perché temeva di non vedere neppure quella poca luce riflessa dai borghi della vallata.
Si stava ponendo la corda sulle spalle per trascinare il fardello racimolato, quando udì una voce possente: -Lascia quella legna! Lasciala lì! Ladro!-
Andrea si voltò, ma non vide nessuno, urlò: -Chi è? Dove sei?-
Non ricevette risposta e proseguì, sicuro di aver immaginato tutto o di aver udito un suono distante, storpiata dall’eco.
Lungo il sentiero udì nuovamente quella voce, che ripeteva con sempre più rabbia: -Ladro! Lascia tutto e vattene dalla mia terra!-
Andrea non sopportava prepotenze, in particolare non accettava, neppure da un matto, che qualcuno violasse i suoi diritti acquisiti legalmente, usurpasse il proprio territorio, onestamente comprato.
Infuriato gridò, pronto a tutto: -Fatti vedere!-
-Ladro, restituiscimi la legna!-
-Cosa vuoi? Questa terra è mia, il bosco è mio!-
Ci fu un silenzio lungo un tempo infinito, poi quell’arrogante individuo, dal tono forte e cattivo, riprese a pretendere ciò che considerava suo.
Giunto a casa Andrea si barricò dentro e impugnò il fucile da caccia, deciso a sparare al primo tentativo scasso per entrare sino al suo rifugio.
Il silenzio rimase impenetrabile e per tutta la notte una tranquillità pesante aleggiò attorno alla baita.
All’alba Andrea si decise a sgusciare fuori, sempre guardingo e armato di una spranga: non c’era nessuno, ma volle subito avere chiarimenti su chi avesse osato attentare alla sua pace e alla proprietà.
Disse il parroco: -Sarà stato un vagabondo! Da noi non ci sono personaggi simili.-
Il vecchio panettiere invece sorrise: -Può essere stato uno scherzo. Qui ci sono molti burloni.-
Gli proposero mille ipotesi e nessuna fu soddisfacente.
Si decise di andare dall’eremita, un personaggio così chiamato da tutti per la sua solitudine, per la riservatezza silenziosa, per la religiosità umile, popolare: -Sarà stato certamente lo zio Barbabianca.-
-Chi sarebbe questo tizio? Il matto del paese?-
-No! Nulla di simile: era solo uno scapolo egoista e scontroso, padrone di quella che è oggi casa tua con tutti i terreni attorno.-
Andrea era curioso e voleva conoscere il personaggio: -Dove vive?-
-Non vive più, perché morì venti anni fa!-
Fu un colpo per Lui, era convinto che l’eremita fosse una persona normale, ma gli apparve in quel momento totalmente folle: -Cosa sta dicendo? I morti non parlano, non pretendono ciò che fu loro.-
L’eremita sospirò, scuotendo il capo, gli voltò le spalle e gli disse sconsolato: -Ti accorgerai!-
Seppe altro sul vecchio Barbabianca: era stato un poco di buono da giovane, era stato in prigione per omicidio, che un avvocato aveva fatto depennare in un eccesso di legittima difesa.
Era mal considerato da tutti e scendeva in paese solo per comprarsi il vino, di cui non poteva restare senza.
Era stato il più gran bevitore del paese, ma nessuno lo aveva visto barcollare.
Era alto e magro, era tutto nervi e rabbia: non si poteva contraddirlo né importunarlo, se non si voleva rischiare di essere colpiti dal suo bastone, che teneva sempre con sé.
Aveva posseduto solo quel pezzo di terra, dove nessuno osava entrarci.
Aveva avuto pure due cani, grossi e neri, più feroci di Lui.
Andrea sorrise incredulo e indifferente: non sarebbe stato certamente uno spettro a scacciarlo dalla sua proprietà.
Chiese: -Di cosa è morto?-
-Fu assassinato mentre difendeva il suo bosco dai saccheggiatori di legna.-
-Trovarono chi lo assassinò?-
-I sospetti caddero su tre giovinastri del borgo vicino, che furono rinvenuti cadaveri in fondo al burrone del diavolo, quella spaccatura della montagna, che si vede in fondo alla valle.-
-Ovviamente la gente avrà incolpato il defunto Barbabianca!-
-Qui si afferma che i tre fossero terrorizzati e pure la loro fine sia avvolta da fatti inspiegabili.-
Andrea non volle sentire altro: era certo che volessero intimidirlo per fargli svendere la baita con tutto quello che sta attorno.
Pensò: -Non sarò così sciocco da farmi spaventare da un branco di grossolani montanari!-
Se ne tornò a casa e non si preoccupò più della faccenda: si chiuse in casa e tenne a portata di mano il fucile carico.
Non capitò nulla sino a quando non incominciò, dopo il tramontare del sole, a udire dei passi pestare la neve o il fango: era certamente un omone, dal rumore che provocava.
Uscì più volte per vedere chi fosse: trovò solo le impronte di scarponi chiodati d’altri tempi e nient’altro.
Quella persecuzione proseguì per intere nottate: Andrea non dormiva più, all’alba era stanchissimo.
Tornò con il suo fucile a tracolla sino al bosco e provocò l’ira del presunto fantasma, spezzando alcuni rami secchi e si caricò sulle spalle in piena notte.
La solita voce tenebrosa e possente riprese ad accusarlo di essere un ladro.
Andrea sparò tutti i colpi che aveva in canna, sprecò le munizioni, ma non riuscì a capire dove fosse nascosto: in alto, in basso, vicino, oltre la cresta del monte.
Lasciò tutto lì, tranne il fucile, che brandiva come una clava, pronto a difendersi in un eventuale scontro ravvicinato.
La voce ripeteva: -Ladro! Ladro! Restituiscimi la legna, la baita, il mio bosco!-
-Qui, tutto è mio! Fatti vedere, se hai coraggio!-
Lui ebbe una sonora risata come risposta, che riempì la valletta.
Corse come un dannato verso la sua baita e vi si barricò dentro.
Non voleva cedere e gridò: -Fatti vedere, anima dannata!-
-Come vuoi tu!-
Gli apparve, oltre i vetri polverosi e affumicati della cucina, un essere altissimo, quasi gigantesco, di una figura longilinea non umana.
Andrea era terrorizzato, ma uscì agitando l'accetta come un forsennato, urlando: -Fatti sotto, mostro del diavolo, spettro ripugnante!-
L’essere era lunghissimo, sottile, dalle fattezze truci, deformate in smorfie ghignanti e dolorose: sorrise con i suoi denti bianchissimi che risaltavano sul volto pallido.
Andrea si arrestò e non ebbe più il coraggio di seguirlo mentre l’entità si dileguava tra i cespugli del torrente asciutto: si sciolse come un’ombra alla luce.
Andrea attese il sole alto per uscire dal suo nascondiglio, dentro la baita: era provato, angosciato, ma non riusciva a provare terrore, l’emozione era stata troppo forte per permettergli di connettere e prendere una decisione sensata.
Corse dal parroco, che lo ascoltò con occhi perplessi: gli consigliò di farsi vedere da un medico.
Tornò dall’eremita, che gli sorrise compassionevole: -Vattene! Lascia tutto e torna in città.-
-Non posso! Non voglio!-
-Non hai alternative! Barbabianca non ti darà tregua sino a quando non ti avrà scacciato, oppure dovrai resistere per tutta la vita alle sue pretese. Ricordati di non aprirgli mai. Lui non può fare nulla se tu non lo lascerai entrare in casa: solo allora avrà la meglio.-
Andrea tornò alla baita e lì rimase: lavorava assiduamente sino al tramonto, poi si serrava in casa e lì era costretto a udire lo spettro che continuava a chiamarlo, lo provocava senza mai desistere.
Era già passato un mese e gli era sempre più difficile resistere al richiamo del morto.
Quella sera si lanciò fuori, urlando: -Vattene! Lasciami in pace, ritorna all’inferno!-
Lo spettro rimase immobile di fronte a Lui: sogghignava e gli chiese con un gesto di entrare. Andrea acconsentì involontariamente: -Va dove desideri!-
Una volta dentro le urla del morto gli fecero male alle orecchie: -Ladro, rendimi ciò che è mio!-
-Scordatelo! Ora è solo mio! Tu non esisti più!-
Andrea impugnò un tizzone ardente e lo usò come arma contro lo spettro, che indietreggiò sino alla porta e fuggì, inseguito dai primi raggi di sole del mattino.
Andrea urlò: -Io l’ho rimandato da dove è venuto! Lo farò sapere a tutti!-
Uscì ansando, inciampando e rialzandosi più volte: era stravolto e il cuore batteva forte, troppo forte, fino ad incepparsi.
Lo ritrovarono lungo il sentiero che conduce al paese, esamine, con la bocca spalancata per l’ultimo tentativo di rubar l’aria al mondo.
I montanari che lo scorsero si tolsero il cappello: -Poveraccio! Questo è un’altra vittima di Barbabianca, quella maledetta anima dell’inferno!-
Letto 2133
volte
Pubblicato in
Vostri racconti
Ultimi da Redazione
Devi effettuare il login per inviare commenti