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Il sassofono

Il sassofono

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- E’ il miglior sax in assoluto, e te lo vendo per un tozzo di pane Alex. Una vera miseria. - E questa miseria , quanto viene a significarmi in dollari? - Poco. Pochissimo. Si fa una piccola asta, e quello che offre di più...vince! - Un’asta, eh? Il prezzo lo decidiamo noi, no? E se partissimo da...da zero, per esempio? - Non credo sia possibile Alex. Voi mi credete troppo stupido, ed è un male. Il prezzo base l’ho deciso io. - Quanto? - Diecimila dollari. Non uno in meno. - Di...diecimila dollari? Tu sei tutto scemo, vecchio. Non pagherei così tanto nemmeno il sax di Adolf Sax, se me lo proponessero! - Ma non è lo strumento di chissà chi. È il mio! - Appunto! Cos’è, è tempestato di rubini? - Di più, molto di più. In fondo per te cosa sono diecimila dollari? E io mi separo da un amico. - Cosa sono diecimila dollari per me? ...Bè, a pensarci bene... Dì la verità, i creditori ti stanno di nuovo alle calcagna, eh? - Non tutti, ma... Allora, affare fatto? - Vorrei tanto sapere perché riesci a convincermi sempre... - Forse perché sono tuo padre? - Può darsi... Bè, ci vediamo domani mattina alle nove. Io ti porto i soldi, ma tu cerca di portarmi qualcosa che assomigli vagamente ad un sassofono. D’accordo? - Sicuro. A domani mattina... E vedi se riesci portarmi anche una bottiglia di rum. Di quello buono. - Seee, come no!
Era stato un ottimo affare. Come potevo rinunciare?
Francamente non ci dovevo fare niente con un sax nuovo...Nuovo... una sessantina d’anni fa, forse. Ma, dopotutto, era pur sempre mio padre. E forse era proprio per quel fatto se riusciva sempre a coinvolgermi nei suoi dannati “affari”. Un sax da diecimila dollari... In malora!
Non valeva tutti quei soldi, ovviamente. Diciamo che aveva un pochino calcato la mano...Ma Alex era sempre ben disposto nei confronti del suo vecchio. Ed era per questo che aveva sparato sul prezzo. Era comunque uno strumento davvero niente male. Perfetto e lucido come il primo giorno che l’aveva tenuto in mano. Il primo ed unico regalo che suo padre gli avesse fatto mai, prima di morire nell’incidente ferroviario di Losanna del dieci-nove. Del mille novecento nove. Mille novecento nove anni fa...
Il bar era sempre quello solito. Anche la puzza era la stessa. Il whisky... quello poi... Almeno non c’era il rischio che ti venisse un’ulcera, quello no di certo. Con quel brodino che sapeva vagamente di liquore stantio... - Suzanne...- La cameriera parve non averlo sentito. Continuò nella sua opera di caccia al topo; si voltò verso l’uomo solo al decimo o undicesimo richiamo. - Seee?, che ti porto Al ? Un altro bicchierino?- - Dì la verità, Suzanne, voi ai vecchi clienti offrite solo piscio di topo perché vi stanno simpatici e non volete vederli ubriachi, o solo perché volete che se ne vadano a fare i loro debiti da qualche altra parte?- - Penso che, ora come ora, non mi dispiacerebbe vedere il tuo schifo di faccia su qualche necrologio, comunque non dovresti lamentarti poi tanto. Lo sai che non ci sta giorno che i poliziotti invadano qualche onesto bar per sconquassargli tutte le casse di alcolici, no? Quindi bevi e ringrazia il Signore se riesci ancora a farti qualche bicchiere.- - Amen, sorella.- - Seee, scherza tu... Allora, cosa ti porto? Il solito?- - No, portami un tè.- - Un tè? Vedi che funziona comunque il mio whisky a buon mercato? Sei già ubriaco dopo il secondo.- - Non sono ubriaco, e servimi quel maledetto tè.- - Yessir... ma... mi vuol dire, di grazia, perché?- - Tra un po’ verrà mio figlio. Non voglio che senta la puzza del liquore...- - Signorino schizzinoso?- - No, ispettore di polizia.- La donna lo osservò per qualche istante, per vedere se stava scherzando, poi si incamminò tutta indaffarata verso il retro, per acciuffare qualche bustina di tè e camomilla e per nascondere alcune bottiglie di alcolici.
Le undici. Non era da suo figlio tardare agli appuntamenti. Bevve un altro sorso di tè. Era indeciso se continuare ad aspettare o andarsene via. Magari lasciando alla barista un biglietto per lui. Decise che, in fondo, non aveva altre cose molto importanti da fare in giornata. Si fece servire ancora del tè. Guardò il bicchiere vagamente ambrato che gli sghignazzava in mano. Era ancora caldo, e gli arrossò il palmo. Parve non curarsene. Non ricordava... Non ricordava da quanto tempo non capiva più suo figlio. Un ex sassofonista quasi affermato. Alex aveva poi, di punto in bianco, deciso che era meglio abbandonare il jazz, che la musica non faceva per lui. Aveva cominciato a giocare a guardie e ladri, gli strumenti ad ammuffirsi in qualche baule ficcato in chissà quale cantina. Poi era cominciato il regime totalitario e perbenista. Il proibizionismo era dilagato. Nel frattempo lui non aveva più avuto problemi per quanto riguardava l’affitto... tanto la casa era stata demolita... Non aveva voluto alcun aiuto da suo figlio; anche perché Alex non si era accorto della disastrosa condizione finanziaria del padre... Almeno così pensava. Ed ora eccolo. A cinquantotto anni se ne sentiva addosso novanta di più. E quel tè freddo proprio non gli andava... Poi, mentre stava per alzarsi, ecco entrare Alex. Lui ha ancora la custodia con lo strumento vicina, ma se l’è quasi dimenticata. Nel locale ci sono una ventina di persone. Lui vuole salutarlo, spera che l’affare possa andare in porto come ha progettato; quei creditori sono delle belve, ed è difficile scappare se non si hanno posti sufficientemente buoni dove nascondersi. Alex è sulla soglia. Non vede il padre, non lo degna di uno sguardo. La gente non si è ancora accorta di niente. Tutto come al solito, bevono e ridono. Ad un tavolo si gioca a poker, e una prostituta, Blaky, sta chiacchierando col solito avventore a caccia di sensazioni forti, che la moglie stremata dagli anni non può più dargli. Tutto è l’immagine , la fotocopia del giorno prima e di quello prima ancora ma... C’è qualcosa che stona. Un’immagine , un oggetto, uno scintillio alla rovescia... - Alex...- Poi Suzanne lancia un urlo e si ammutolisce. Resta là, come un pesce secco. Guarda a destra, a sinistra. E lui chiede, perché non capisce, ancora non ha capito. Perché ancora non vuole capire. - Suzanne... p...perché urli?- La scena ora è immobile. Muta ,tutti guardano. Il vecchio a terra. L’uomo in piedi ,davanti alla porta. Gli uomini , le ombre dietro alla figura, dietro la porta. La prostituta è andata a mettersi un cappotto... troppo tardi. Gli uomini tentano di nascondere le carte, i liquori. Alcuni tentano di mettersi in fuga. Troppo tardi. Troppo tardi. Chi ha una pistola non ha tempo di estrarla. Chi non ce l’ha, perché non ha mai creduto nella violenza, non ha la possibilità di aprire un dialogo.
Basta poco... alle volte... e da una scintilla si genera un focolare duro a morire. Il pretesto, l’occasione di un incontro. La soffiata di qualcuno più informato di te. E non ti senti nemmeno tanto in colpa, lo sai? Perché sai di lavorare per la giustizia; secondo giustizia. E quello che lascia a terra è... niente. Il male sconfitto torna a casa bastonato. O, forse, non torna più. Semplicemente. E tu potrai dire, a chi te lo chiederà, “ avevano pistole e mitra. Spianati, contro di noi. Spietati. Avrebbero sparato. Abbiamo sparato prima noi.” Ma, nemmeno a tua moglie. Nemmeno al tuo confessore dirai mai che tuo padre, per farti una sorpresa ,s’era bevuto tanto di quel tè da star male per giorni. Anche perché non lo sai.
“ Ma...perché? Non ti piace il sax, Alex? Non ti piace perché non lo sai più usare, vero? È troppo difficile, per te, ormai... Ma a me servono, quei soldi. Lo sai, è vero?! E allora...perché non lo compri lo stesso, sto sassofono? È vecchio, sai? Più vecchio di me. Ma funziona ancora a dovere. Allora?! Ma... perché non vuoi fare un regalo a tuo padre?”
“Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto...yoh oh oh e una bottiglia di rum.”



FINE.
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