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La lupa ferita

La lupa ferita

Racconto di Pier Luigi Lupo
Era una giornata d’inferno e la temperatura non accennava a diminuire. Un caldo simile non si registrava da almeno cinquant’anni, o cento stando alle cronache. Le auto filavano via come padelle sopra piastre arroventate e le suole delle scarpe affondavano nel catrame dei marciapiedi. Jacques Bouchet sulla propria jeep canticchiava un motivetto dal mattino, da quando appena sveglio aveva acceso la radio. I finestrini erano abbassati e nell’abitacolo entrava l’odore dei campi e dell’asfalto. Jacques era un viaggiatore d’affari, e faceva ritorno a casa dopo un lungo giro nell’Emilia. Anche in camicia mostrava spalle possenti e braccia robuste, la camicia era di stoffa leggera con grossi quadri variopinti aperta nell’incavo del collo senza un pelo. Guidando pensava al fresco del suo giardino e all’amaca, lo sguardo attento alla strada in un bel viso maschile, con folti sopraccigli e l’ombra scura della barba di un giorno. Oltrepassata l’uscita di Savona, sull’orlo della strada, intravide una sagoma scura. Rallentò, entrò nella corsia d’emergenza, e tornò indietro alla sagoma scura: era un cane. Giaceva a terra come morto ma si muoveva. Era un incrocio tra un pastore tedesco e un husky, mostrava una zampa ferita e il muso schiacciato e macchiato di sangue. Jacques infilò i guanti e, con precauzione, sollevò il cane e lo depose nel cassone della jeep.

Alla prima stazione di servizio chiese delle informazioni. Nessuno sapeva rispondergli, c’erano quaranta gradi, e molti lo guardavano stravolti. Un uomo sulla cinquantina, stempiato, con una barba da frate andava ripetendo: Fa caldo perché siamo già nel cerchio primaio? E molti non capivano quel “primaio”.
Al bar Jacques si rinfrescò con una bibita. Al ragazzo del bancone, tipo svelto e sorridente, chiese se conosceva un veterinario nei dintorni.
“No, ma se vuole c’è mio padre, è cacciatore, s’intende d’animali.”
“Si tratta di un cane.”
“Perfetto, di cani è un vero specialista!”
“Dove lo posso trovare?”
“Cinque chilometri più avanti, alla prossima uscita. Dal casello saranno trecento metri, è sulla destra, non può sbagliare è una casa bassa rossa, senza recinto, chieda di Oberto.”
“Grazie” disse Jacques lasciando una moneta sul bancone.
“Mi saluti il vecchio!” urlò il ragazzo correndo da un altro cliente. Jacques rimontò sulla jeep e prima di partire udì il respiro sofferente della povera bestiola. L’abitacolo al sole s’era infuocato e in pochi istanti Jacques grondava sudore.

Oberto era un tipo burbero.
Ma questo non è un cane, disse subito.
E cos’è?
E’ un lupo, anzi una lupa, e nel dire ciò mostrava le mammelle dell’animale da sotto il pelo sottile del ventre.
E come c’è finita sull’autostrada?
Oberto non rispose. Erano sul retro della casa e attorno razzolavano decine di galline e tacchini. Jacques non sapendo essere d’aiuto s’accese una sigaretta. Oberto era di poche parole, dopo ch’ebbe finito di medicare la lupa riprese a verniciare una lunghissima palizzata che circondava la casa.
Cosa devo fare adesso? domandò Jacques.
Se la porti via!
Jacques s’avviò con la bestiola sulle braccia. Stavolta la jeep era all’ombra di un olmo. Era quasi mezzogiorno e fra un po’ avrebbe cercato un posto per mangiare. Riprese l’autostrada, ripensò all’amaca, ma doveva prima liberarsi dell’animale. Sua moglie non avrebbe gradito un cane figuriamoci un lupo, anzi una lupa. Pensandoci bene nessuno avrebbe fatto salti di gioia per una lupa, per di più ferita e col muso sfracellato. Lasciarla libera, però, non si poteva. Doveva cercare un veterinario che la curasse, che se ne prendesse cura, almeno per qualche giorno. Gli sarebbe costato qualche centinaio di euro, ma dopotutto gli affari erano andati bene. La lupa si lamentava. Come lui anche la lupa doveva aver sete. Alla prima stazione di servizio si fermò. Comperò una bottiglia d’acqua. Fece sporgere la lupa dal cassone e s’adoperò per farla bere, lentamente gli versò l’acqua nella bocca. Lei rimaneva ferma, attenta, con l’occhio fisso, e pronta a deglutire appena l’acqua le arrivava alla gola. La maggior parte dell’acqua cadeva a terra, ma lui continuò a fargliela scendere tra i denti. Quando l’acqua finì la lupa si accucciò tranquilla e riprese fiato.


Ma quello è un lupo? domandò una ragazza.
Fino a qualche ora fa giaceva sull’asfalto mezza morta… disse lui.
Perché morta?
Leggendo negli occhi della ragazza il massimo interesse non indugiò a raccontarle tutta la storia.
Meriterebbe un bacio disse lei.
Prego.
La ragazza s’avvicinò e posò le sue labbra contro quelle dell’uomo, ma si staccò subito.
Per bacco! Me ne da un altro?
Nemmeno per sogno, è impegnato mi pare, disse fissandogli la fedina all’anulare della mano sinistra.
Già.


Questa ragazza aveva un sorriso meraviglioso, i suoi denti erano perfettamente allineati e bianchi, i suoi capelli erano lisci, lunghi e biondi, inoltre era snella ed elegante come una gazzella. Ma più di tutto Jacques rimase colpito dalle mani. Aveva mani delicate dalle dita lunghe, le unghie corte e pulite. Muoveva le mani con una grazia che lasciava incantati, come quelle di un prestigiatore. Jacques non poté trattenersi dal farne le lodi, e lei ricambiò fissando quelle di lui.

A pranzo Jacques mangiò in autogrill e mentre ingoiava i bocconi osservava le macchine filare sotto il suo tavolo, il ristorante era in un ponte a vetri sopra l’autostrada.
Un uomo con un berretto in testa che sedeva al tavolo accanto osservava le auto che passavano, addentava un panino e guardava le macchine.
Non ci sono qui i limiti di velocità? domandò Jacques.
Ci sono, ma sa com’è… è più bello correre. Poi se ha una di quelle!… E proprio in quel momento sfrecciò una Ferrari, passò talmente veloce che a stento riuscirono ad indovinarne il modello.
Di sicuro non monterò mai su una di quelle, disse l’uomo col berretto in testa, doveva essere un imbianchino o qualcosa del genere.

Non si può mai dire.
Eh, non ho più l’età per costruirmi sogni.
Non è poi così importante…
Lo so, però è bello.
Cosa è bello?
Caro signore, dalla vita ho avuto cose importanti come i figli, una casa, l’amore… però mi sono mancate le cose belle. Capisce? E’ vero che sono cose fatue ma di quelle abbiamo bisogno, e a volte solo di esse… adesso, da vecchio, vorrei ricordarmi di una bella macchina, di una bella casa, e di una bella donna…

Intanto la lupa restava nel cassone. Jacques cercava la maniera per liberarsene, diceva che si trattava di un povero cane abbandonato, ma ugualmente nessuno si mostrava interessato. A Ventimiglia, prima del confine, uscì dall’autostrada e si mise in cerca del veterinario. Ne trovò uno ma neanche a parlarne di lasciargliela, nemmeno per mille euro. Ora la lupa sembrava più tranquilla e con la perfetta fasciatura non perdeva più sangue. Jacques riprese l’autostrada, passò il confine. Alla dogana nessuno guardò nel cassone, sarebbe stata dura far credere la storia della lupa abbandonata… piuttosto avrebbero pensato che fosse un bracconiere o un imbalsamatore. Eppure alla fine dei conti poteva essere andata così: un ricco signore, magari un po’ eccentrico, ligure o piemontese, aveva messo a guardia del giardino una lupa, successivamente inquietato da quella presenza oppure osteggiato dai suoi vicini, aveva pensato di abbandonarla sulla Genova-Ventimiglia. Oppure si trattava di una lupa selvaggia scesa dalle montagne in cerca di chissà cosa, forse di una qualche preda, o forse del mare? A quest’ultima idea Jacques si commosse. Stavano costeggiando la costa, quella che va da Menton a Cannes e che le guide turistiche amano indicare come la “Costa Azzurra”. Dal finestrino si poteva scorgere il mare, ma a quell’ora, per la verità, si vedeva ben poco, appena una macchia scura.

Due ore dopo giunse a Grasse, a pochi chilometri da casa. La lupa dormiva nel cassone e probabilmente l’amaca del suo giardino dondolava al vento fresco della sera.
La moglie di Jacques non sopportava gli animali, o meglio, ne aveva una certa paura. Difficile immaginare una creatura come lei non intenerirsi per le moine di un cane o un gatto, ma così era. Avevano un giardino grande e vederlo privo di una qualsiasi bestiola che lo percorresse in lungo e in largo era un vero peccato. Era invece disseminato di gnomi in gesso, una fontana senza acqua, e una piscina vuota, colma di foglie secche, ed era una tristezza vederla. Con le giornate calde veniva ripulita e riempita ma ogni volta la manutenzione costava un occhio e sua moglie brontolava. Lei preferiva il mare alla piscina, e poi l’acqua non si scaldava mai e lei non sopportava l’acqua fredda.
D’estate adoro nuotare e stare a mollo, diceva Jacques.
Ci costa troppo, ribadiva sua moglie.

Forse quella ragazza, pensò Jacques, l’avrebbe presa, ma a lei chissà perché non aveva fatto la proposta. Dopo il “bacio” erano andati al bar, avevano preso del tè coi pasticcini. Il cameriere li aveva fatti sedere in terrazza. Da lì avevano ammirato una campagna sconfinata, di un verde intenso e percorsa da una brezza gradevole. Lei disse di chiamarsi Beatrice, e di studiare lingue straniere, ma non parlò molto, ascoltava piuttosto, accennò soltanto, fissando continuamente il paesaggio, che da bambina accompagnava spesso il nonno in campagna per pascolare le capre.

Quando venne il cameriere a domandare se desiderassero qualcos’altro, Beatrice guardò l’orologio e allarmata disse che doveva assolutamente andare. Non c’era stato modo di scrivere un indirizzo o un numero telefonico, sparì nel nulla.


Helene, la moglie di Jacques, sfogliava pigramente una rivista d’arredamento, il suo corpo magro ma con le forme esatte di una donna ancor giovane era chiuso in una dolce vestina di seta e i suoi capelli biondo oro occupavano sparpagliati la spalliera della poltrona.
Ciao cara, tutto bene? domandò lui avvicinandosi per baciarla.
Ma lei senza sollevare la testa dal giornale domandò com’erano andati gli affari?

Non dovevi arrivare per pranzo? domandò ancora sua moglie.
Già, ma ho avuto un impedimento?
Una donna?
No.
E cosa allora?
Con te non riesco mai a nascondere nulla… sbuffò lui, ma sorrideva.
E’ una cosa che mi farà arrabbiare?
Forse.
Racconta.
Si tratta di un animale.
Oddio, lo sai che non sopporto gli animali.
Lo so.
Un cane? Un gatto?
Una lupa.
Una cosa?
Una lupa.
L’hai vinta a qualche gara di tiro?
Buona questa, lo sai che non amo sparare. E nel dir la frase gli scivolò un sorriso e si tolse la camicia.
Dai smettila di prendermi in giro - disse lei finalmente rilassata - vieni qui, mi sei mancato…
Si strinsero in un abbraccio e si baciarono.
Dopo un po’, dopo l’amore, Jacques mirando il soffitto disse:
Comunque è vero, ho una lupa nella jeep.
Ma sei impazzito? Lo sai che ho paura anche delle farfalle!
Vedrai sarà uno spasso quando di notte, mentre saremo abbracciati nel letto, la sentiremo ululare.
Dovresti farti dare una controllata!

La signora Bouchet si staccò dall’abbraccio del marito e provò ad addormentarsi. Jacques sorrideva, era uno strano riso, quasi da invasato.
Perché ha tanta paura, è così buona?… pensò lui e su questo suo pensiero s’addormentò.

Improvvisamente bussarono energicamente alla porta.
Chi sarà? Vai a vedere! saltò su la moglie spaventata.

Era Victor, il figlio della vicina.
Signor Bouchet, ha per caso visto qualche tipo sospetto da queste parti?
No, perché?
C’è stata una sparatoria alla banca, i ladri sono fuggiti, potrebbero aggirarsi nei paraggi, due di loro sono feriti, la polizia dice che occorre stare all’erta, potrebbero cercar riparo, capisce?
Grazie, ho capito benissimo, ma ora va a casa, non rimanere all’aperto.
Vado, non voglio mica trovarmeli davanti! e corse via.
Un attimo dopo Jacques richiudeva la porta e risaliva dalla moglie.

Quando tornò nella camera da letto la luce era spenta.
Chi era?
Victor.
Che voleva.
Niente, stava dicendo che alla banca c’è stata una sparatoria.
E allora?
I ladri sono fuggiti, ma non lontano, la polizia suppone che potrebbero essere rimasti nei dintorni.
Sono armati?
Credo proprio di sì.
Vuol dire che siamo in pericolo?
Forse.
Dopo qualche minuto Jacques dormiva, Helene lo sentiva russare, il viaggio doveva averlo stancato. Lei invece si rigirava nel letto incapace di chiudere occhio. Improvvisamente bussò sulla spalla del marito terrorizzata, ci mise un po’ a svegliarsi.

Che c’è? chiese con voce rauca.
C’è un uomo là fuori.
Sei sicura?
Ti prego, vai a vedere, mi sembra d’averlo sentito…
Jacques scese in giardino, fece il giro della casa, ma non trovò nessun uomo.
Allora? domandò ansiosa sua moglie.
Niente, non c’è nessuno. Dormi.
Ci fu un lungo silenzio.
Il respiro di Helene si fece affannoso, improvvisamente disse:
E’ molto malandata quella lupa?
Quale lupa? domandò Jacques.
Quella che ti sei portato dietro dall’Italia, ringhiò.
Perché t’interessa?
Ti prego, toglila dal cassone e mettila nel giardino.
Non può muoversi, ha una zampa rotta.
Pazienza, almeno vedranno che abbiamo un’animale.
Lo faccio ad una condizione.
Quale?
Che rimane con noi.

Silenzio.

Helene non rispondeva, infine chinò il capo rassegnata.
Jacques corse dalla lupa, un minuto dopo si rimetteva nel letto, voltava la faccia verso il muro e a poco a poco una smorfia di sorriso affiorò silenziosamente attorno alle sue labbra.
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