La leggenda del Rocciacane
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La leggenda del Rocciacane
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Tante, svariate e diverse tra loro sono le favole nate durante gli anni attorno alla Rossa Gemma del Rocciacane, che brilla nella notte invernale al centro della strana collina dalla forma canina. Attorno ai focolari delle povere casupole dei contadini che abitano la Piana, quando i cieli sono neri e profondi e punteggiati di mille diademi stellari, ciascun anziano del villaggio offre la propria interpretazione sul misterioso bagliore scarlatto lassù, simile ad un faro, sulle scabre e desolate pareti della grigia altura immersa nel silenzio. C’è chi narra storie di fantasmi, di Re e Regine, di elfi e demoni, c’è chi pensa che il rosso rubino sia il cuore pulsante di un enorme cane cristallizzato nella roccia, che ancora vive e sogna strane cose. Chi si è azzardato a salire a metà della brulla collina pietrosa, con l’intento di indagare su quella curiosa fonte di luce, non ha infine trovato nulla che spiegasse il mistero né si è imbattuto, stranamente, in alcun riverbero luminoso, sebbene dalla Piana i contadini in attesa giurassero di vedere le lanterne degli esploratori aggirarsi proprio intorno alla splendente gemma, perfettamente visibile. Fu scoperto invece una sorta di tumulo di rocce accatastate molto simile ad una tomba, priva di ogni iscrizione, e qualcuno riferisce che lassù, tutt’intorno a quell’eremo, fa sempre caldo, anche nelle notti più gelide. Ma nessuno sosta mai a lungo in quel luogo misterioso immerso in un innaturale tepore. Chi lo ha fatto racconta spaventato che le stelle sembrano brillare più del normale, pulsano come cose vive e paiono narrare temibili segreti non adatti ad essere compresi dagli uomini. Così pian piano le leggende si sono fatte più cupe e il Rocciacane ha cominciato ad essere evitato da tutti. Il rosso bagliore ammicca sempre nella notte silenziosa, proprio come un cuore che pulsa, e la gente semplice della Piana ormai fa finta di ignorarne l’esistenza. Ma dietro alle favole e alle leggende c’è una storia che nessuno sa: la storia della giovane Lusilla e del suo incontro, lassù sul Rocciacane, con l’Angelo Triste…
Non era facile vivere nelle campagne del XIV secolo: morire lo era molto di più.
La maggior parte degli infanti passava a miglior vita senza neanche avere il tempo di spalancare gli occhi sul mondo: un mondo triste e violento, i cui colori erano il grigio della desolazione, il rosso del sangue versato, il nero della disperazione. Una terra coltivata e sfruttata in maniera sbagliata esauriva la sua fertilità e i frutti ottenuti con grandi travagli erano pochi e vizzi e mai destinati a coloro che in realtà li crescevano. La Malattia si propagava nei campi e le vite che falciava erano molte di più che le spighe di grano. La morte era una presenza attiva e multiforme: un morbo letale che rendeva le carni putrescenti, una spada dal rapido, freddo bacio, una lenta agonia dovuta alla fame. Si combatteva nei campi, gli eserciti si scontravano, perlopiù sconosciuti ai contadini che a loro volta lottavano in inutili sommosse contro i padroni che li vessavano senza tregua, senza rimorso. La fede stessa nel Dio Unico era una triste e plumbea parodia della speranza, notevolmente meno efficace degli antichi riti pagani della fecondità e dei piccoli dèi locali, condannati dal clero opulento ed ignaro.
Ciò che permetteva ai poveri contadini di sopravvivere era semplicemente l’impossibilità reale di comprendere quale fosse la loro condizione nel sistema delle cose, l’ignoranza che in questo caso garantiva un barlume di speranza.
No, non era facile vivere nelle campagne del XIV secolo: era facile morire.
Lusilla era una giovane trovatella ed alcuni ricordano come fosse capitata nel villaggio. Fu vista la prima volta il giorno successivo all’arrivo e partenza di una piccola carovana di mercanti diretti alla grande città: era una silenziosa bambina accovacciata sul ciglio della strada, tutta intenta ad osservare con grandi occhioni scuri le evoluzioni di una farfalla tra i ciuffi d’erba, sorridendo beata. L’anziano del villaggio la vide e pensò fosse stata abbandonata per sbaglio dai mercanti che erano passati il giorno prima. Confidando nel loro presto ritorno la affidò alla grande famiglia cui era imparentato perché la nutrissero in attesa che qualcuno la reclamasse ma fu presto chiaro che nessuno sarebbe ritornato dalla città e nessuno rivide più i carri dei commercianti. Si decise così che la bambina poteva restare e in virtù dei suoi grandi occhi brillanti e del suo luminoso sorriso fu chiamata Lusilla, la Piccola Luce. E da quel giorno la tristezza nei campi nebbiosi, l’orrore delle malattie ed i continui scontri armati, lo stesso terribile fantasma della fame, sembrarono sbiadire un pochino, farsi un poco più tollerabili.
Lusilla crebbe ed assunse, di fatto, il ruolo di figlia maggiore all’interno della famiglia che l’aveva accolta: di giorno passava il suo tempo accudendo allo stuolo di bambini vocianti che era la numerosa prole del figlio dell’anziano ma non di rado aiutava gli uomini nel lavoro dei campi, portando loro l’acqua o zappando la terra lei stessa. Preparava il pane, che chissà perché nella grande penuria di ingredienti risultava sempre più morbido di quello degli altri fornai, cuciva coperte per le stagioni fredde, compiva tutta una serie di piccoli lavori a chi glielo chiedeva e in molti si resero presto conto di quanto fosse preziosa la presenza della fanciulla. E non era nemmeno il lavoro stesso e la sua qualità il motivo della loro benevolenza: no, non per i suoi servigi tutti volevano bene a Lusilla. Era piuttosto per quel suo sorriso aperto, per quella sua misteriosa ed inesauribile gioia di vivere, per quel suo miracoloso ed innocente atteggiarsi alla vita. I vecchi moribondi, stremati dalle fatiche, chiedevano di vederla prima di chiudere per sempre gli occhi e più di un soldato ferito in battaglia e portato nel villaggio per le prime cure aveva trovato la forza di sopravvivere grazie alla sola presenza di Lusilla. Lo stesso prete del villaggio, persona ignorante, piena di superstizione e fanaticamente devota a dogmi scarsamente seguiti dalla stessa comunità, che in un primo tempo si era opposto all’accettazione della bambina da parte dell’anziano, intuendo in lei una sensibilità diversa da quella di tutti gli altri e addirittura vedendo all’opera forze diaboliche e presagi oscuri, fu ammansito col tempo dalla dolcezza di Lusilla. Per lo meno, da quando la ragazza lo aiutava nella casetta del Vero Dio, molte più persone seguivano la messa.
“Abbiamo fame, Morte e Desolazione sono attorno a noi. Perché Lusilla sorride sempre?” ci si chiedeva e qualcuno rispose: ”Chi ce la mandata ha voluto ripagarci così di tutto…”
E la vita scorreva nel villaggio, nonostante gli stenti, e là dove squillava una risata cristallina si sapeva esservi Lusilla, la fanciulla dai lunghi capelli neri come la notte, gli occhi scuri e profondi e il caldo sorriso.
Lusilla aveva un segreto.
Era innamorata ed era proprio la forza del suo amore il motivo di quel gioioso atteggiarsi di fronte al mondo. Quando le notti erano terse e limpide aspettava che tutti si addormentassero nell’unica grande stanza della sua casupola, si avvolgeva in grezze coperte e sgattaiolava fuori nelle tenebre, portando con sé solo una lanterna schermata. Dietro il povero villaggio sorgeva la curiosa altura rocciosa che da una certa prospettiva ricordava la figura di un enorme cane accovacciato, per questo conosciuta da tutti col nome di Rocciacane. Un ripido sentiero conduceva all’incirca a metà collina, dove c’era una sorta di scabra radura da cui si poteva vedere gran parte della Piana e il villaggio addormentato. Poggiata a terra la lanterna, Lusilla si sedeva sulle rocce, infagottandosi come meglio poteva nelle pesanti coperte, nell’attesa di abituarsi al freddo pungente delle notti invernali. Per quegli incontri era disposta a sopportare di tutto, ghiaccio, gelo e neve. Non le importava nulla delle intemperie o dei pericoli che potevano celarsi nelle tenebre. L’amore che provava la riscaldava nel profondo e le infondeva coraggio. Così la giovane attendeva nel buio, raccolta in se stessa, attendeva l’attimo magico, il momento di sollevare lo sguardo in alto e accogliere l’amante a sé…
Il Mistero del cielo stellato era il suo amante.
Le stelle, i siderei gioielli gettati disordinatamente da un’onnipotente mano cosmica sul nero velluto, gemme pulsanti nelle tenebre silenziose, limpide, tremule, vive. E il Mistero che si celava oltre. Un grande, terribile Mistero che la riguardava. Lusilla non era istruita, non conosceva le teorie cosmogoniche né i fuorvianti errori della cultura religiosa, non sapeva i nomi delle stelle, pur riconoscendole ad occhio una per una. Eppure, nella sua istintiva percezione delle cose, sapeva molto più lei di qualsiasi altro studioso dei cieli di quel tempo: avvertiva distintamente la lontananza degli astri, il vuoto abisso degli spazi senza fine, l’infinito che la circondava. Un tempo le stelle si vedevano molto meglio di oggi anche ad occhio nudo e Lusilla sapeva che non erano tutte uguali fra di loro. Alcune, poche, brillavano di luce ferma, altre, quasi tutte, ammiccavano tremolanti ed erano di colori diversi. C’erano poi quelle curiose foschie globulari e quella lattea fosforescenza attraverso metà del cielo…
Adorava le zone del cielo invernale dove splendeva maestoso Orione con la rossa Betelgeuse e la vicina Bellatrix, ammirava le tre stelle vicine della Cintura, Alnitak, Alnilam e Mintaka e lo spolverio stellare sottostante, la nebulosa vera e propria. E poi la bianca e luminosissima Sirio, grande e fulgente a Sud, il rubino di fuoco di Aldebaran immerso tra le tenui Iadi, l’azzurro velo leggero delle Pleiadi che avvolgeva Maia e le sue sorelle. Nelle notti estive più calde si perdeva nell’argenteo nastro della Via Lattea, che divideva la volta celeste, mentre vicino rifulgeva la biancazzurra Vega. Ogni volta, dopo ore di muta, stupita e commossa osservazione, le sembrava di udire un suono etereo, indefinibile, quasi un canto di Sfere Celesti. Ormai ben conosceva i movimenti periodici delle stelle rapportati al ciclo delle stagioni e si era accorta che alcune formazioni di gemme ruotando tramontavano e altre no: in particolare gli arabeschi cosmici sembravano girare attorno ad una piccola stellina apparentemente ferma. Era lì che Lusilla spingeva i propri pensieri, in quell’unico punto fermo della gran giostra di stelle. Il Centro del Cielo, là dove si celava il Mistero. Non sospettava minimamente di cosa potesse trattarsi, sapeva solo che c’era e comunicava con la sua anima. Questa consapevolezza la rendeva felice e le permetteva di trascorrere le giornate allietata dal pensiero di trasparenti notte terse per i suoi incontri con l’Infinito.
Lucciole luminose e lontane, silenziose e sagge, percorrevano i loro sentieri siderali sopra il capo dell’assorta ragazza, rapita da sogni troppo grandi per essere capiti e troppo belli per essere raccontati a parole. Era sola, sola e riverente al cospetto di Dubhe e Merak, Sirra e Algol, Mizar e Alcor, Alfecca e Arturo, Denebola e Tarazed e le loro corti: nomi che non conosceva, nomi che ancora non erano stati dati. Ma le stelle tutte erano sue amiche e splendide ancelle del Mistero Assoluto che andava oltre le semplici e grottesche concezioni divine dell’uomo. Le stelle erano là, pulsanti nel buio.
E Lusilla era felice.
Felicità, la sua, che rendeva la vita sopportabile nel villaggio a ridosso del Rocciacane.
Il tempo scorreva e le stagioni si alternavano.
C’era sempre la guerra e la fame era un problema mai risolto. Il lavoro nei campi proseguiva mentre l’estate volgeva a termine. Nel cielo notturno le familiari formazioni di stelle caratteristiche della stagione calda si spostavano ruotando o tramontando e assumendo altre posizioni: globi luminosi come la cerulea Vega e l’arancione Arturo scomparivano oltre i monti, lasciando posto ai gemelli Castore e Polluce e ai brillanti asterismi del maestoso Orione. La serpeggiante Via Lattea sfumava nel buio portando con sé le infuocate glorie del Cigno e dell’Aquila, Altair e Albireo. Lungo l’asse dei cieli si inerpicava l’azzurro ammasso delle Sette Sorelle, seguito dal rubicondo occhio del Toro, Aldebaran, appena soffuso dal chiarore tenue delle Iadi. E poi Orione diventava il re di cieli e monopolizzava la stupefatta attenzione di Lusilla, sempre raggomitolata nel gelo della notte sul silenzioso Rocciacane. Voleva capire ciò che le stelle si sussurravano tra loro rincorrendosi nelle tenebre senza riverbero, le loro storie e i loro segreti ma la lingua che parlavano, ancorché perfettamente udibile, era al di là della sua comprensione. Lusilla attendeva pazientemente che il Mistero si svelasse a lei nella sua pienezza, rendendola in grado di comprendere i discorsi delle sue remote amiche. Solo allora si sarebbe sentita davvero appagata.
Ma il tempo passava e gli eterni girotondi di astri si specchiavano negli occhi della fanciulla, saggi nella loro indifferenza, irraggiungibili, finché la ragazza non si decideva a tornare nel villaggio, assonnata, sotto lo sguardo bianco della Luna appena sorta. Era molto bello vedere le basse nebbie dei campi avvolgere le casupole in un placido abbraccio o a volte attendere il primo riverbero dell’alba oltre il Rocciacane. Con queste splendide visioni come ultimo ricordo delle sue nottate, Lusilla tornava tra i suoi simili, che raramente volgevano lo sguardo in cerca del Mistero, lassù.
Fu in una trasparente e fredda notte dicembrina che Lusilla fece il suo incontro.
Inerpicatasi come sempre faceva lungo il familiare sentiero ghiacciato che portava alla rada a metà collina, si accorse con stupore di non essere sola. C’era qualcuno ad attenderla nel silenzio profondo della notte, sulla cresta rocciosa. Improvvisamente spaventata, la ragazza si acquattò tra i massi, non appena vide l’alta figura ammantata di nero stagliarsi sul lucore tremulo delle stelle. Il cuore prese a batterle forte in petto, poiché ben sapeva quanto potesse essere pericoloso per una fanciulla sola imbattersi in uno sconosciuto, specialmente ora, così lontana dal villaggio e nel pieno della notte. Sentì la paura crescerle dentro e fece un grande sforzo nel dominarla. Doveva andarsene subito da lì, scendere silenziosamente a valle. Forse un manipolo di briganti o di sbandati soldati mercenari era accampato lì vicino, con l’intento di assalire il villaggio e di razziarlo. Quella figura misteriosa sul ciglio del burrone poteva essere un esploratore mandato in avanscoperta per valutare che tipo di resistenza avrebbero potuto aspettarsi gli assalitori. Lusilla pensò che doveva avvisare gli anziani, dare l’allarme. Ma prima di tutto volle esserne certa. Facendosi forza e muovendosi impercettibilmente alzò la testa oltre la roccia per osservare meglio lo sconosciuto: ciò che vide fu solo un’imponente figura di spalle, immobile come una statua, avvolta in un manto di tenebra, intenta a guardare silenziosamente l’orizzonte buio. Non aveva mai visto prima una persona così alta. Non scorse armi, né spade né lance né scudo e non gli parve che indossasse una corazza. La paura lasciò il posto alla curiosità: chi era? Cosa faceva sul Rocciacane? Rimase ad osservare quell’immota apparizione per lunghi minuti. Abbandonò presto l’idea che potesse essere un guerriero o un potenziale nemico per il suo villaggio: tanti ne aveva visti, di bellicosi soldatacci, tutti privi dell’inusuale solennità che mostrava quell’uomo assorto in chissà quali pensieri. Rilassatasi un po’, decise di attendere che la figura oscura se ne andasse, anche se in realtà non sembrava affatto averne l’intenzione. Dopo qualche tempo avvertì l’insistente richiamo delle sue amiche celesti e ammaliata dall’ipnotica fascinazione e dall’innavvertibile canto sidereo delle Sfere non fece più caso alla presenza dell’intruso, tenendolo comunque nel suo campo visivo. I minuti passarono, scanditi da silenziosi corsi di gemme gelate nel buio…
Lusilla stava cercando invano di capire cosa sussurrasse il grigio sbuffo tenue della Rosetta nebulare, che altalenava tra le placide Procione e Betelgeuse, quando d’improvviso la sua attenzione fu distolta dai segreti stellari, spostandosi nuovamente sul solitario visitatore notturno. Davanti agli occhi pieni di sogni della giovane, l’uomo, senza voltarsi, allargò lentamente le braccia col palmo delle mani rivolto verso l’alto. Una sorta di dolce, eterea nenia mai udita prima da orecchie umane si levò in sordina nell’aria fredda, diventando uno strano, profondo canto, triste eppur meraviglioso, che solo un angelo avrebbe potuto emettere. Solennemente, le mani dello sconosciuto si raccolsero a coppa davanti a lui, sparendo alla vista di Lucilla, e subito un morbido lucore azzurro avvolse le spalle dell’uomo, inondandolo di un celeste riverbero. La luminescente fosforescenza si propagò verso l’alto col canto cristallino e fu allora che Lusilla fu stordita dal più profondo sentimento che avesse mai provato, qualcosa che scacciò il gelo dal suo corpo infondendole invece un caldo fiotto d’emozione. Osservò le stelle oltre il luminoso velo scaturito dallo sconosciuto: quasi avesse soffiato su braci ardenti, gli astri impazzirono di scintille. Stupefatta, paralizzata da qualcosa di ancor più potente della paura, ma che paura non era, Lusilla non si accorse di come luci e suoni cessarono né s’avvide di come scomparve l’uomo misterioso. Un solo pensiero lampeggiava furiosamente nella sua testa: il momento che tanto aveva atteso era finalmente giunto. Il Mistero che ogni notte cercava di abbracciare si era manifestato.
Quell’uomo aveva parlato alle stelle.
E le stelle avevano risposto.
Da quella notte in poi, sempre, Lusilla vide di nascosto la mistica comunione dello straniero di luce con il cielo stellato, udì il suo malinconico canto e contemplò gli astri eccitati giostrare nelle tenebre. Non aveva ancora il coraggio di abbandonare il suo nascondiglio tra le rocce ma sapeva che presto lo avrebbe fatto. Stranamente, anche quando giungeva lei prima alla radura a picco, ancora deserta, non avvertiva mai l’arrivo dello straniero né riusciva a coglierlo nell’atto di andarsene. Un battito di ciglia e lei restava sola. Ma l’unica cosa che contava era che l’uomo, se era un uomo e non un angelo, comunicava con le stelle, conosceva il loro arcano linguaggio e i loro segreti. Doveva assolutamente parlare con lui, ma come fare? Prese l’abitudine di sottrarre un bricco di latte ed una focaccia dalla sua casupola, lasciando il tutto su una roccia piatta nella rada e correndo poi a nascondersi. Ancora non aveva mai visto in viso la figura ammantata. Lo straniero trovava i doni di Lusilla, si sedeva e beveva il latte, senza mai toccare la focaccia. Iniziava poi a cantare e la fanciulla commossa coglieva il ringraziamento in quelle note aliene e nella danza delle stelle, le sembrava d'essere più vicino al Mistero. E una notte, finalmente, dopo che lo straniero ebbe consumato il latte, il rituale s’interruppe. L’uomo ammantato si voltò lentamente ma con misteriosa sicurezza verso il nascondiglio di Lusilla, facendole un semplice gesto d’invito con la mano. Era la prima volta che Lusilla vedeva il viso del visitatore: di quei lineamenti semplici eppure sfuggenti solo il sorriso poté divenire per lei un ricordo poiché il resto, pur nell’estrema somiglianza, non apparteneva al mondo degli uomini. L’Angelo parlò, con voce limpida e chiara, chiamandola a sé. Lusilla si mosse turbata verso l’alta figura avvolta di nero e su nel cielo, forse, Thuban del Drago scambiò una complice risatina con Kochab della Piccola Orsa.
“Tu parli con le stelle”
“Sì”
“Comprendi il loro linguaggio”
“Sì”
“Allora, le conosci. Tu vieni da… da lassù”
“Le tue domande in realtà non sono tali. Come ti chiami?”
“Lusilla”
“Lusilla, sì. La Piccola Luce…”
“Chi sei? Sei un…?”
“Sono un viaggiatore”
“Vieni da molto lontano. C’è solitudine, in te. Perché sei qui?”
“Sto aspettando… ho perso la strada”
“Chi stai aspettando?”
“Qualcuno che mi aiuti a tornare a casa, Piccola Luce. E qualcuno ho trovato”
“Sul Rocciacane? Perché qui?”
“Qui si può sognare. Qui parlo con le stelle. Casa mia è lassù, oltre l’Anello di Soli”
“Sei un angelo?”
Lo straniero sorrise in silenzio.
“Angelo, il tuo canto è bellissimo. Bellissimo e triste. Non credevo che gli angeli potessero essere tristi. Ti prego, insegnami a parlare con le stelle. Raccontami i loro segreti. Se lo desideri, io ti terrò compagnia”
“Sì, ti racconterò le loro storie. Ti svelerò i loro nomi. Ti parlerò degli altri mondi e delle genti che vi abitano. Vedrai e comprenderai cose meravigliose, cose lontane. E verrà un tempo in cui le stelle stesse ti parleranno e tu capirai da sola il loro linguaggio. Potrai raggiungerle e sarai con loro, Piccola Luce, poiché già splendono nei tuoi occhi…”
Così la giovane Lusilla dai capelli d’ebano mai mancò al suo appuntamento notturno con l’Angelo Triste e i segreti delle irraggiungibili gemme silenziose furono suoi. Seppe degli infiniti turbinii di polveri da cui nascevano le stelle biancazzurre, giovani e brillanti, dei veloci araldi delle tenebre che sfrecciavano come bolidi senza meta, della ridda di mondi gelidi e infuocati che giostravano solitari, delle eterne correnti siderali che lambivano gli astri fiammeggianti, portandone i sogni nelle visioni dei poeti sparsi su miriadi di pianeti. E seppe della lenta agonia dei soli morenti, dei giganteschi lampi di luce che erano il loro silenzioso grido di morte. Conobbe i Regni del Fuoco, del Cristallo e della Terra, i Molteplici Infiniti, gli Spazi Neri e senza vita, le Forme che non erano Forme. Seppe di razze antiche, splendide e sagge, e di razze brutali, aggressive e feroci. Le furono svelate storie strane ed incredibili di popolazioni al di là dei confini dell’immaginazione, di guerre eterne e fantastiche creazioni dello spirito, di Dei Multiformi e di cosmiche costruzioni. Ogni notte che trascorreva con l’Angelo Triste portava alla rivelazione di sempre nuovi segreti custoditi nel cuore degli astri. Doveva solo sfiorare l’azzurra Sfera che l’Angelo teneva tra le mani e tutto le appariva chiaro, comprensibile, meraviglioso. Vide gli Anelli dei Sistemi Esterni, le Polveri di Landara e Chila, i mondi collegati di Alderamin, le nebulose del Cigno e gli ammassi di galassie ai confini del Creato, fino a spingersi oltre le creazioni della materia. Stelle, stelle ovunque, pulsanti, vive, abbacinanti nella grande lotta tra Luce e Buio. Stelle che parlavano, che narravano misteri tramite l’Angelo Triste.
E Lusilla ascoltava il suo canto, poco prima che sparisse nel volgere di un battito di ciglia… il canto della Nostalgia, della casa lontana e persa in quel fantastico turbinio di astri fiammeggianti.
“Come puoi essere così triste, tu che conosci tante meraviglie?”
“Sono solo da tanto tempo. Sono così… lontano da ciò che amo davvero”
“E’ tutto così bello. Che tu sia qui… anche se soffri… la tua sofferenza è dolce e nobile…come il tuo sorriso. Vorrei aiutarti. Vorrei indicarti la strada che hai perso ma non posso. Mi sento inutile. Cosa posso fare per te?”
“Nulla di più di quanto tu non faccia adesso, Piccola Luce. Mi hai mostrato una stella che non avevo mai visto né conosciuto prima. Una stella che riscalda”
“Non capisco”
“No. Tu capisci. Tu hai sempre capito”
Notti luminose sul Rocciacane. Occhi spalancati sugli abissi infiniti, lontani. Storie magiche e immagini non destinate alla contemplazione di sensi umani. Comunicazione nel Silenzio, nel Grande Silenzio.
Di giorno Lucilla lavorava come al solito nei campi ed era affaccendata in varie incombenze al villaggio. A molti però non era sfuggito il cambiamento subito dalla giovane. Se un tempo l’attività febbrile mirata all’immediata esigenza di sopravvivenza, che ogni tipo di lavoro richiedeva, aveva interamente assorbito tutta la sua attenzione ed applicazione, ora sembrava che altri fossero i suoi pensieri, pensieri remoti e lontani. Nei suoi occhi la luce vitale che tutti avevano imparato ad amare si era trasformata, era mutata in qualcosa di diverso, strano e incomprensibile. Lusilla sembrava persa oltre lontani orizzonti sconosciuti, rapita in un’estasi soprannaturale, come se avesse conosciuto cose proibite al di là dell’umana esperienza e ne fosse stata vittima. La gente cominciò a provare una vaga irrequietezza e non si trovò più pienamente a proprio agio in presenza della ragazza. Ma i bambini continuavano ad amarla come sempre, ascoltando rapiti le strane favole che raccontava loro. L’anziano del villaggio, che ora era davvero anziano, borbottò qualcosa alla comunità, un giorno, ma pochi lo compresero bene: ” Lusilla ha in sé qualcosa di angelico. Vede e sente in modo diverso da noi. E io vi dico che non resterà per sempre al villaggio. No, non resterà ancora a lungo…”
C’erano strane luci, la notte, sul Rocciacane.
L’Angelo triste stava morendo.
L’aura interiore che emanava si stava esaurendo e nella sua voce c’era stanchezza e rassegnazione. Lusilla se ne accorse e anche le stelle parvero brillare di luce più soffusa.
“Me ne andrò presto, Piccola Luce”
“Hai ritrovato la strada che avevi perso?”
“No. E’ troppo tardi. L’aiuto che attendevo non giungerà in tempo. Tuttavia tornerò comunque a casa”
“Mi lascerai?”
“Sì. Ti lascerò. Ma tu sarai qui ad accogliere i miei simili e sarà grazie a te che io potrò tornare a casa”
“Grazie a me? Io sarò cieca, muta e sorda, senza di te!”
L’Angelo Triste sollevò nel palmo della mano l’azzurra Sfera dai contorni indefiniti con la quale comunicava col cielo, debolmente opalescente.
“Questo Occhio Parlante… te lo lascerò. E’ importante che tu lo consegni a chi verrà dopo di me. Solo tu puoi farlo, ora. Fino a che questo oggetto resterà qui io non potrò mai realmente lasciare questo posto…”
“Ma perché… perché stai morendo?”
“Non te lo posso spiegare. Ma ascolta… tutta quella magnificenza che vedi ruotare, lassù… è gelida ed infinita, non riscalda. Io… ho… freddo. Il freddo degli spazi infiniti, silenziosi ed oscuri… una diaccia solitudine… Tu per un po’ sei stata l’unica vera luce che io abbia potuto… vedere e sentire… ma non è sufficiente…”
“Non parlare più. Lascia che ti riscaldi”
Lusilla si strinse all’Angelo Triste. Strani segreti furono sussurrati quella notte. Segreti dolci e meravigliosi e le stelle tacquero, trattenendo il respiro.
La rossa Aldebaran col suo lieto e gaio corteo di azzurre Iadi era altissima nel cielo ed Orione si muoveva lento e solenne dietro al Toro. La Luna era già tramontata oltre le montagne e la notte si era fatta veramente buia.. Raggomitolata vicino all’Angelo Triste Lusilla piangeva in silenzio.
“Ascolta per l’ultima volta i celesti discorsi, Piccola Luce, e non provare dolore. Che sia il meraviglioso del Mistero a commuoverti, piuttosto”
“Non voglio più ascoltare. Il Mistero che cercavo è una cosa arida e non mi aiuterà. Non è cosa per me”
“Oltre i Regni della Luce e del Buio, esiste un Mistero che è tale anche per me. Non ti gioverà conoscerlo ma continuando a cercarlo tu mi hai aiutato e hai aiutato anche la gente del tuo villaggio. Hai potuto comprendere il linguaggio delle Sfere, che era già in te. Hai conosciuto molte cose, cose che nessun uomo conoscerà mai, per molto tempo… io ti ho fatto un Dono per il futuro. Questa notte me ne andrò ma tu devi promettermi che salirai ancora sul Rocciacane, anche se non potrai più udire le storie del Cosmo. Verrà qualcuno cui tu dovrai consegnare il mio Occhio parlante, poiché tutto ciò che sono è contenuto nel suo interno e deve tornare a casa”
“Te lo prometto. Tornerò qui”
“Ascolta per l’ultima volta, Piccola Luce…”
“Cantami del tuo mondo, di casa tua…”
“No. Ora canterò per te. E sia il riposo il balsamo per il tuo dolore”
“Dormi, Piccola Luce,
Dormi nel Gran Mare di Soli,
Nel Gran Mare di Astri e Sogna.
Di tutte le stelle la più piccola,
Di tutte le stelle la più viva, la più calda.
Persa nel vorticoso girotondo luminoso,
Non vedendoti ti ho trovata e sono con te.
Dormi, Piccola Luce,
Dormi nel gran Mare di Soli,
Nel Gran Mare di Astri e Sogna.
Non vedendoti, sarò con te”
Alla luce incerta dell’Occhio Parlante, tra le braccia dell’Angelo Triste, Lusilla si addormentò. Al suo risveglio scoprì che, sebbene la tenesse ancora stretta a sé in un tenero abbraccio, l’Angelo Triste se ne era andato.
Le voci correvano nel villaggio, voci concitate, preoccupate.
“Lusilla non sorride più!”
“Il raccolto è perso. Il bestiame muore e la malattia è tornata!”
“Si parla di nuove invasioni. Eserciti mercenari in arrivo!”
“Lusilla non sorride più! La gente ha paura!”
L’anziano, in letto di morte, mormorò: ” Se ne andrà così come è venuta. Ricordatela e ricordate il tempo in cui avete conosciuto la gaiezza…”
Le notti erano gelide sul Rocciacane, accanto alla tomba di pietra.
Le stelle erano lontane ed estranee, silenziose ed aliene, fredde ed irraggiungibili.
Lusilla attendeva, conservando l’opaca Sfera azzurra, attendeva accanto al tumulo e non considerava più amiche le tremolanti gemme siderali, non ricercava più il loro Mistero. Per due lunghi anni attese e mai più sorrise per tutto quel tempo. Vi furono scontri cruenti nei campi, la gente deperiva sempre più, la morte falciava il suo raccolto.
Ma una notte d’inverno, buia e profonda, stava per giungere. La notte in cui tra le azzurre Pleiadi velate da un impalpabile manto si accese un rosso bagliore di fuoco, che discese dritto e sicuro sul Rocciacane. Lusilla lo vide e sentì la Sfera riscaldarsi nelle sue mani. Un enorme globo vermiglio galleggiava sulla sua testa e quasi senza che se ne accorgesse tre Angeli avvolti nel loro nero manto apparvero nella rada rocciosa, alti e maestosi. La giovane si avvicinò alle tre figure e consegnò l’azzurra Sfera, come aveva promesso.
L’Occhio Parlante dell’Angelo Triste brillò come se fosse vivo nella mano di chi lo ricevette, comunicando in qualche modo misterioso coi nuovi venuti. Dopo alcuni minuti l’Angelo che stava davanti alla ragazza parlò, con voce dolce, simile a quella udita molto tempo prima.
“Tu che hai amato le stelle e sei stata accanto al nostro compagno, sappi che tutti i suoi ricordi, le sue sensazioni e pensieri, i suoi desideri e tutto di lui sono stati conservati e non sono andati persi. Grazie a te, ora torneranno a casa. Vuoi venire con noi…” l’Angelo esitò, prima di concludere “… Piccola Luce?”
Lusilla guardò la tomba alle sue spalle.
“Voglio restare vicino a lui”
L’Angelo la fissò, silenzioso, poi parlò nuovamente.
“Poiché il suo corpo ora appartiene a questo posto e non potrà tornare alle stelle, saranno allora le stelle a venire qui”
L’Angelo consegnò a Lucilla una rossa gemma pulsante come un cuore, apparsa magicamente nella sua mano.
“Ponila sul tumulo. Farà sempre caldo quassù e tu potrai comprendere nuovamente i segreti del Cosmo, da sola. Quando i tuoi occhi saranno stanchi e le palpebre ti si chiuderanno, noi torneremo e porteremo la tua luce oltre l’Anello Esterno di Soli, dove raggiungerai nuovamente il tuo…” L’alta figura sembrò esitare ancora “… Angelo”
Lusilla annuì e i tre Angeli neri svanirono. Qualcosa di scarlatto guizzò veloce nel cielo verso le Sette Sorelle, senza alcun rumore. La ragazza pose la gemma splendente sulla tomba dell’Angelo Triste, tra i blocchi di pietra grezza. Un piacevole tepore avvolse subito la rada ed un meraviglioso e mai dimenticato chiacchierio siderale tornò a farsi udire, comprensibilissimo. E il Mistero fu nuovamente vivo, le stelle si animarono e tornarono a narrare i loro segreti. Lusilla si tolse le inutili vesti, sentendo una calda carezza spiegarsi sulla pelle nuda, e si sdraiò presso il tumulo. C’erano lacrime nei suoi occhi, ma non dolorose, il sorriso sulle sue labbra.
E la notte era bellissima.
Nel piccolo cimitero del villaggio, i bambini, che non erano più tanto piccoli, si radunarono sulla tomba del saggio anziano.
“Padre, Lusilla è tornata a sorridere come un tempo e abbiamo avuto un buon raccolto. Se come dicesti tu un giorno dovesse andarsene per sempre, noi ricorderemo e forse avremo ancora buoni raccolti…”
Lusilla ascoltò, immersa nel rosso e caldo lucore, le storie di Alnitak e della gemella Alnilam e della gemella di entrambe Mintaka, delle nebulose oscure e luminose, dei Sistemi Esterni e dell’Universo intero. Il tempo passò e quando infine si sentì davvero stanca e bisognosa di fare il Lungo Sonno salutò per l’ultima volta l’Angelo Triste. Non fu però la rivelazione del Mistero dei Misteri l’ultima cosa che udì dalle sue amiche celesti. No, fu un’altra voce, conosciuta tanto tempo prima, a sussurrare quel dolce canto che l’avvolse in ciò che sembrò il più tenero degli abbracci.
“Dormi, Piccola Luce,
Dormi nel Gran Mare di Soli,
Nel Gran Mare di Astri e Sogna.
Di tutte le stelle la più piccola,
Di tutte le stella la più viva, la più calda.
Nel Gran Mare di Astri, Sogna.
Non vedendoti, io sarò con te”
E dalle azzurre Pleiadi, una stella rossa si staccò e discese dritta e sicura sul Rocciacane. Il globo infuocato galleggiò sulla sua testa, silenzioso, e Lusilla sentì presenza amiche tutt’intorno. Le stelle sbiadirono, gli occhi si chiusero.
Così venne il momento per colei che era stata Lusilla, la fanciulla dai capelli neri come l’ebano e grandi occhi scuri e profondi sul luminoso sorriso, di raggiungere l’Angelo Triste.
Sono tante e diverse tra loro le leggende nate col tempo sulla rossa gemma del Rocciacane, che brilla nel buio a metà della brulla collina dalla forma canina. I contadini della Piana la vedono di notte e sono timorosi poiché chi vi è salito nulla ha trovato se non un tumulo di pietra simile ad una rozza tomba. Le stelle lassù sono anormalmente vivide e brillanti e tutt’intorno c’è uno strano tepore, anche nelle notti più gelide. Strane visioni hanno colto gli uomini che si sono trattenuti presso la tomba, spaventandoli. C’è chi narra di fantasmi, elfi e demoni, c’è chi pensa che il rosso rubino notturno sia il cuore cristallizzato dell’enorme cane di roccia che dorme e sogna strane cose. Ma dietro alle leggende c’è una storia che nessuno conosce. La storia di Lusilla e del suo incontro con l’Angelo Triste.
Non era facile vivere nelle campagne del XIV secolo: morire lo era molto di più.
La maggior parte degli infanti passava a miglior vita senza neanche avere il tempo di spalancare gli occhi sul mondo: un mondo triste e violento, i cui colori erano il grigio della desolazione, il rosso del sangue versato, il nero della disperazione. Una terra coltivata e sfruttata in maniera sbagliata esauriva la sua fertilità e i frutti ottenuti con grandi travagli erano pochi e vizzi e mai destinati a coloro che in realtà li crescevano. La Malattia si propagava nei campi e le vite che falciava erano molte di più che le spighe di grano. La morte era una presenza attiva e multiforme: un morbo letale che rendeva le carni putrescenti, una spada dal rapido, freddo bacio, una lenta agonia dovuta alla fame. Si combatteva nei campi, gli eserciti si scontravano, perlopiù sconosciuti ai contadini che a loro volta lottavano in inutili sommosse contro i padroni che li vessavano senza tregua, senza rimorso. La fede stessa nel Dio Unico era una triste e plumbea parodia della speranza, notevolmente meno efficace degli antichi riti pagani della fecondità e dei piccoli dèi locali, condannati dal clero opulento ed ignaro.
Ciò che permetteva ai poveri contadini di sopravvivere era semplicemente l’impossibilità reale di comprendere quale fosse la loro condizione nel sistema delle cose, l’ignoranza che in questo caso garantiva un barlume di speranza.
No, non era facile vivere nelle campagne del XIV secolo: era facile morire.
Lusilla era una giovane trovatella ed alcuni ricordano come fosse capitata nel villaggio. Fu vista la prima volta il giorno successivo all’arrivo e partenza di una piccola carovana di mercanti diretti alla grande città: era una silenziosa bambina accovacciata sul ciglio della strada, tutta intenta ad osservare con grandi occhioni scuri le evoluzioni di una farfalla tra i ciuffi d’erba, sorridendo beata. L’anziano del villaggio la vide e pensò fosse stata abbandonata per sbaglio dai mercanti che erano passati il giorno prima. Confidando nel loro presto ritorno la affidò alla grande famiglia cui era imparentato perché la nutrissero in attesa che qualcuno la reclamasse ma fu presto chiaro che nessuno sarebbe ritornato dalla città e nessuno rivide più i carri dei commercianti. Si decise così che la bambina poteva restare e in virtù dei suoi grandi occhi brillanti e del suo luminoso sorriso fu chiamata Lusilla, la Piccola Luce. E da quel giorno la tristezza nei campi nebbiosi, l’orrore delle malattie ed i continui scontri armati, lo stesso terribile fantasma della fame, sembrarono sbiadire un pochino, farsi un poco più tollerabili.
Lusilla crebbe ed assunse, di fatto, il ruolo di figlia maggiore all’interno della famiglia che l’aveva accolta: di giorno passava il suo tempo accudendo allo stuolo di bambini vocianti che era la numerosa prole del figlio dell’anziano ma non di rado aiutava gli uomini nel lavoro dei campi, portando loro l’acqua o zappando la terra lei stessa. Preparava il pane, che chissà perché nella grande penuria di ingredienti risultava sempre più morbido di quello degli altri fornai, cuciva coperte per le stagioni fredde, compiva tutta una serie di piccoli lavori a chi glielo chiedeva e in molti si resero presto conto di quanto fosse preziosa la presenza della fanciulla. E non era nemmeno il lavoro stesso e la sua qualità il motivo della loro benevolenza: no, non per i suoi servigi tutti volevano bene a Lusilla. Era piuttosto per quel suo sorriso aperto, per quella sua misteriosa ed inesauribile gioia di vivere, per quel suo miracoloso ed innocente atteggiarsi alla vita. I vecchi moribondi, stremati dalle fatiche, chiedevano di vederla prima di chiudere per sempre gli occhi e più di un soldato ferito in battaglia e portato nel villaggio per le prime cure aveva trovato la forza di sopravvivere grazie alla sola presenza di Lusilla. Lo stesso prete del villaggio, persona ignorante, piena di superstizione e fanaticamente devota a dogmi scarsamente seguiti dalla stessa comunità, che in un primo tempo si era opposto all’accettazione della bambina da parte dell’anziano, intuendo in lei una sensibilità diversa da quella di tutti gli altri e addirittura vedendo all’opera forze diaboliche e presagi oscuri, fu ammansito col tempo dalla dolcezza di Lusilla. Per lo meno, da quando la ragazza lo aiutava nella casetta del Vero Dio, molte più persone seguivano la messa.
“Abbiamo fame, Morte e Desolazione sono attorno a noi. Perché Lusilla sorride sempre?” ci si chiedeva e qualcuno rispose: ”Chi ce la mandata ha voluto ripagarci così di tutto…”
E la vita scorreva nel villaggio, nonostante gli stenti, e là dove squillava una risata cristallina si sapeva esservi Lusilla, la fanciulla dai lunghi capelli neri come la notte, gli occhi scuri e profondi e il caldo sorriso.
Lusilla aveva un segreto.
Era innamorata ed era proprio la forza del suo amore il motivo di quel gioioso atteggiarsi di fronte al mondo. Quando le notti erano terse e limpide aspettava che tutti si addormentassero nell’unica grande stanza della sua casupola, si avvolgeva in grezze coperte e sgattaiolava fuori nelle tenebre, portando con sé solo una lanterna schermata. Dietro il povero villaggio sorgeva la curiosa altura rocciosa che da una certa prospettiva ricordava la figura di un enorme cane accovacciato, per questo conosciuta da tutti col nome di Rocciacane. Un ripido sentiero conduceva all’incirca a metà collina, dove c’era una sorta di scabra radura da cui si poteva vedere gran parte della Piana e il villaggio addormentato. Poggiata a terra la lanterna, Lusilla si sedeva sulle rocce, infagottandosi come meglio poteva nelle pesanti coperte, nell’attesa di abituarsi al freddo pungente delle notti invernali. Per quegli incontri era disposta a sopportare di tutto, ghiaccio, gelo e neve. Non le importava nulla delle intemperie o dei pericoli che potevano celarsi nelle tenebre. L’amore che provava la riscaldava nel profondo e le infondeva coraggio. Così la giovane attendeva nel buio, raccolta in se stessa, attendeva l’attimo magico, il momento di sollevare lo sguardo in alto e accogliere l’amante a sé…
Il Mistero del cielo stellato era il suo amante.
Le stelle, i siderei gioielli gettati disordinatamente da un’onnipotente mano cosmica sul nero velluto, gemme pulsanti nelle tenebre silenziose, limpide, tremule, vive. E il Mistero che si celava oltre. Un grande, terribile Mistero che la riguardava. Lusilla non era istruita, non conosceva le teorie cosmogoniche né i fuorvianti errori della cultura religiosa, non sapeva i nomi delle stelle, pur riconoscendole ad occhio una per una. Eppure, nella sua istintiva percezione delle cose, sapeva molto più lei di qualsiasi altro studioso dei cieli di quel tempo: avvertiva distintamente la lontananza degli astri, il vuoto abisso degli spazi senza fine, l’infinito che la circondava. Un tempo le stelle si vedevano molto meglio di oggi anche ad occhio nudo e Lusilla sapeva che non erano tutte uguali fra di loro. Alcune, poche, brillavano di luce ferma, altre, quasi tutte, ammiccavano tremolanti ed erano di colori diversi. C’erano poi quelle curiose foschie globulari e quella lattea fosforescenza attraverso metà del cielo…
Adorava le zone del cielo invernale dove splendeva maestoso Orione con la rossa Betelgeuse e la vicina Bellatrix, ammirava le tre stelle vicine della Cintura, Alnitak, Alnilam e Mintaka e lo spolverio stellare sottostante, la nebulosa vera e propria. E poi la bianca e luminosissima Sirio, grande e fulgente a Sud, il rubino di fuoco di Aldebaran immerso tra le tenui Iadi, l’azzurro velo leggero delle Pleiadi che avvolgeva Maia e le sue sorelle. Nelle notti estive più calde si perdeva nell’argenteo nastro della Via Lattea, che divideva la volta celeste, mentre vicino rifulgeva la biancazzurra Vega. Ogni volta, dopo ore di muta, stupita e commossa osservazione, le sembrava di udire un suono etereo, indefinibile, quasi un canto di Sfere Celesti. Ormai ben conosceva i movimenti periodici delle stelle rapportati al ciclo delle stagioni e si era accorta che alcune formazioni di gemme ruotando tramontavano e altre no: in particolare gli arabeschi cosmici sembravano girare attorno ad una piccola stellina apparentemente ferma. Era lì che Lusilla spingeva i propri pensieri, in quell’unico punto fermo della gran giostra di stelle. Il Centro del Cielo, là dove si celava il Mistero. Non sospettava minimamente di cosa potesse trattarsi, sapeva solo che c’era e comunicava con la sua anima. Questa consapevolezza la rendeva felice e le permetteva di trascorrere le giornate allietata dal pensiero di trasparenti notte terse per i suoi incontri con l’Infinito.
Lucciole luminose e lontane, silenziose e sagge, percorrevano i loro sentieri siderali sopra il capo dell’assorta ragazza, rapita da sogni troppo grandi per essere capiti e troppo belli per essere raccontati a parole. Era sola, sola e riverente al cospetto di Dubhe e Merak, Sirra e Algol, Mizar e Alcor, Alfecca e Arturo, Denebola e Tarazed e le loro corti: nomi che non conosceva, nomi che ancora non erano stati dati. Ma le stelle tutte erano sue amiche e splendide ancelle del Mistero Assoluto che andava oltre le semplici e grottesche concezioni divine dell’uomo. Le stelle erano là, pulsanti nel buio.
E Lusilla era felice.
Felicità, la sua, che rendeva la vita sopportabile nel villaggio a ridosso del Rocciacane.
Il tempo scorreva e le stagioni si alternavano.
C’era sempre la guerra e la fame era un problema mai risolto. Il lavoro nei campi proseguiva mentre l’estate volgeva a termine. Nel cielo notturno le familiari formazioni di stelle caratteristiche della stagione calda si spostavano ruotando o tramontando e assumendo altre posizioni: globi luminosi come la cerulea Vega e l’arancione Arturo scomparivano oltre i monti, lasciando posto ai gemelli Castore e Polluce e ai brillanti asterismi del maestoso Orione. La serpeggiante Via Lattea sfumava nel buio portando con sé le infuocate glorie del Cigno e dell’Aquila, Altair e Albireo. Lungo l’asse dei cieli si inerpicava l’azzurro ammasso delle Sette Sorelle, seguito dal rubicondo occhio del Toro, Aldebaran, appena soffuso dal chiarore tenue delle Iadi. E poi Orione diventava il re di cieli e monopolizzava la stupefatta attenzione di Lusilla, sempre raggomitolata nel gelo della notte sul silenzioso Rocciacane. Voleva capire ciò che le stelle si sussurravano tra loro rincorrendosi nelle tenebre senza riverbero, le loro storie e i loro segreti ma la lingua che parlavano, ancorché perfettamente udibile, era al di là della sua comprensione. Lusilla attendeva pazientemente che il Mistero si svelasse a lei nella sua pienezza, rendendola in grado di comprendere i discorsi delle sue remote amiche. Solo allora si sarebbe sentita davvero appagata.
Ma il tempo passava e gli eterni girotondi di astri si specchiavano negli occhi della fanciulla, saggi nella loro indifferenza, irraggiungibili, finché la ragazza non si decideva a tornare nel villaggio, assonnata, sotto lo sguardo bianco della Luna appena sorta. Era molto bello vedere le basse nebbie dei campi avvolgere le casupole in un placido abbraccio o a volte attendere il primo riverbero dell’alba oltre il Rocciacane. Con queste splendide visioni come ultimo ricordo delle sue nottate, Lusilla tornava tra i suoi simili, che raramente volgevano lo sguardo in cerca del Mistero, lassù.
Fu in una trasparente e fredda notte dicembrina che Lusilla fece il suo incontro.
Inerpicatasi come sempre faceva lungo il familiare sentiero ghiacciato che portava alla rada a metà collina, si accorse con stupore di non essere sola. C’era qualcuno ad attenderla nel silenzio profondo della notte, sulla cresta rocciosa. Improvvisamente spaventata, la ragazza si acquattò tra i massi, non appena vide l’alta figura ammantata di nero stagliarsi sul lucore tremulo delle stelle. Il cuore prese a batterle forte in petto, poiché ben sapeva quanto potesse essere pericoloso per una fanciulla sola imbattersi in uno sconosciuto, specialmente ora, così lontana dal villaggio e nel pieno della notte. Sentì la paura crescerle dentro e fece un grande sforzo nel dominarla. Doveva andarsene subito da lì, scendere silenziosamente a valle. Forse un manipolo di briganti o di sbandati soldati mercenari era accampato lì vicino, con l’intento di assalire il villaggio e di razziarlo. Quella figura misteriosa sul ciglio del burrone poteva essere un esploratore mandato in avanscoperta per valutare che tipo di resistenza avrebbero potuto aspettarsi gli assalitori. Lusilla pensò che doveva avvisare gli anziani, dare l’allarme. Ma prima di tutto volle esserne certa. Facendosi forza e muovendosi impercettibilmente alzò la testa oltre la roccia per osservare meglio lo sconosciuto: ciò che vide fu solo un’imponente figura di spalle, immobile come una statua, avvolta in un manto di tenebra, intenta a guardare silenziosamente l’orizzonte buio. Non aveva mai visto prima una persona così alta. Non scorse armi, né spade né lance né scudo e non gli parve che indossasse una corazza. La paura lasciò il posto alla curiosità: chi era? Cosa faceva sul Rocciacane? Rimase ad osservare quell’immota apparizione per lunghi minuti. Abbandonò presto l’idea che potesse essere un guerriero o un potenziale nemico per il suo villaggio: tanti ne aveva visti, di bellicosi soldatacci, tutti privi dell’inusuale solennità che mostrava quell’uomo assorto in chissà quali pensieri. Rilassatasi un po’, decise di attendere che la figura oscura se ne andasse, anche se in realtà non sembrava affatto averne l’intenzione. Dopo qualche tempo avvertì l’insistente richiamo delle sue amiche celesti e ammaliata dall’ipnotica fascinazione e dall’innavvertibile canto sidereo delle Sfere non fece più caso alla presenza dell’intruso, tenendolo comunque nel suo campo visivo. I minuti passarono, scanditi da silenziosi corsi di gemme gelate nel buio…
Lusilla stava cercando invano di capire cosa sussurrasse il grigio sbuffo tenue della Rosetta nebulare, che altalenava tra le placide Procione e Betelgeuse, quando d’improvviso la sua attenzione fu distolta dai segreti stellari, spostandosi nuovamente sul solitario visitatore notturno. Davanti agli occhi pieni di sogni della giovane, l’uomo, senza voltarsi, allargò lentamente le braccia col palmo delle mani rivolto verso l’alto. Una sorta di dolce, eterea nenia mai udita prima da orecchie umane si levò in sordina nell’aria fredda, diventando uno strano, profondo canto, triste eppur meraviglioso, che solo un angelo avrebbe potuto emettere. Solennemente, le mani dello sconosciuto si raccolsero a coppa davanti a lui, sparendo alla vista di Lucilla, e subito un morbido lucore azzurro avvolse le spalle dell’uomo, inondandolo di un celeste riverbero. La luminescente fosforescenza si propagò verso l’alto col canto cristallino e fu allora che Lusilla fu stordita dal più profondo sentimento che avesse mai provato, qualcosa che scacciò il gelo dal suo corpo infondendole invece un caldo fiotto d’emozione. Osservò le stelle oltre il luminoso velo scaturito dallo sconosciuto: quasi avesse soffiato su braci ardenti, gli astri impazzirono di scintille. Stupefatta, paralizzata da qualcosa di ancor più potente della paura, ma che paura non era, Lusilla non si accorse di come luci e suoni cessarono né s’avvide di come scomparve l’uomo misterioso. Un solo pensiero lampeggiava furiosamente nella sua testa: il momento che tanto aveva atteso era finalmente giunto. Il Mistero che ogni notte cercava di abbracciare si era manifestato.
Quell’uomo aveva parlato alle stelle.
E le stelle avevano risposto.
Da quella notte in poi, sempre, Lusilla vide di nascosto la mistica comunione dello straniero di luce con il cielo stellato, udì il suo malinconico canto e contemplò gli astri eccitati giostrare nelle tenebre. Non aveva ancora il coraggio di abbandonare il suo nascondiglio tra le rocce ma sapeva che presto lo avrebbe fatto. Stranamente, anche quando giungeva lei prima alla radura a picco, ancora deserta, non avvertiva mai l’arrivo dello straniero né riusciva a coglierlo nell’atto di andarsene. Un battito di ciglia e lei restava sola. Ma l’unica cosa che contava era che l’uomo, se era un uomo e non un angelo, comunicava con le stelle, conosceva il loro arcano linguaggio e i loro segreti. Doveva assolutamente parlare con lui, ma come fare? Prese l’abitudine di sottrarre un bricco di latte ed una focaccia dalla sua casupola, lasciando il tutto su una roccia piatta nella rada e correndo poi a nascondersi. Ancora non aveva mai visto in viso la figura ammantata. Lo straniero trovava i doni di Lusilla, si sedeva e beveva il latte, senza mai toccare la focaccia. Iniziava poi a cantare e la fanciulla commossa coglieva il ringraziamento in quelle note aliene e nella danza delle stelle, le sembrava d'essere più vicino al Mistero. E una notte, finalmente, dopo che lo straniero ebbe consumato il latte, il rituale s’interruppe. L’uomo ammantato si voltò lentamente ma con misteriosa sicurezza verso il nascondiglio di Lusilla, facendole un semplice gesto d’invito con la mano. Era la prima volta che Lusilla vedeva il viso del visitatore: di quei lineamenti semplici eppure sfuggenti solo il sorriso poté divenire per lei un ricordo poiché il resto, pur nell’estrema somiglianza, non apparteneva al mondo degli uomini. L’Angelo parlò, con voce limpida e chiara, chiamandola a sé. Lusilla si mosse turbata verso l’alta figura avvolta di nero e su nel cielo, forse, Thuban del Drago scambiò una complice risatina con Kochab della Piccola Orsa.
“Tu parli con le stelle”
“Sì”
“Comprendi il loro linguaggio”
“Sì”
“Allora, le conosci. Tu vieni da… da lassù”
“Le tue domande in realtà non sono tali. Come ti chiami?”
“Lusilla”
“Lusilla, sì. La Piccola Luce…”
“Chi sei? Sei un…?”
“Sono un viaggiatore”
“Vieni da molto lontano. C’è solitudine, in te. Perché sei qui?”
“Sto aspettando… ho perso la strada”
“Chi stai aspettando?”
“Qualcuno che mi aiuti a tornare a casa, Piccola Luce. E qualcuno ho trovato”
“Sul Rocciacane? Perché qui?”
“Qui si può sognare. Qui parlo con le stelle. Casa mia è lassù, oltre l’Anello di Soli”
“Sei un angelo?”
Lo straniero sorrise in silenzio.
“Angelo, il tuo canto è bellissimo. Bellissimo e triste. Non credevo che gli angeli potessero essere tristi. Ti prego, insegnami a parlare con le stelle. Raccontami i loro segreti. Se lo desideri, io ti terrò compagnia”
“Sì, ti racconterò le loro storie. Ti svelerò i loro nomi. Ti parlerò degli altri mondi e delle genti che vi abitano. Vedrai e comprenderai cose meravigliose, cose lontane. E verrà un tempo in cui le stelle stesse ti parleranno e tu capirai da sola il loro linguaggio. Potrai raggiungerle e sarai con loro, Piccola Luce, poiché già splendono nei tuoi occhi…”
Così la giovane Lusilla dai capelli d’ebano mai mancò al suo appuntamento notturno con l’Angelo Triste e i segreti delle irraggiungibili gemme silenziose furono suoi. Seppe degli infiniti turbinii di polveri da cui nascevano le stelle biancazzurre, giovani e brillanti, dei veloci araldi delle tenebre che sfrecciavano come bolidi senza meta, della ridda di mondi gelidi e infuocati che giostravano solitari, delle eterne correnti siderali che lambivano gli astri fiammeggianti, portandone i sogni nelle visioni dei poeti sparsi su miriadi di pianeti. E seppe della lenta agonia dei soli morenti, dei giganteschi lampi di luce che erano il loro silenzioso grido di morte. Conobbe i Regni del Fuoco, del Cristallo e della Terra, i Molteplici Infiniti, gli Spazi Neri e senza vita, le Forme che non erano Forme. Seppe di razze antiche, splendide e sagge, e di razze brutali, aggressive e feroci. Le furono svelate storie strane ed incredibili di popolazioni al di là dei confini dell’immaginazione, di guerre eterne e fantastiche creazioni dello spirito, di Dei Multiformi e di cosmiche costruzioni. Ogni notte che trascorreva con l’Angelo Triste portava alla rivelazione di sempre nuovi segreti custoditi nel cuore degli astri. Doveva solo sfiorare l’azzurra Sfera che l’Angelo teneva tra le mani e tutto le appariva chiaro, comprensibile, meraviglioso. Vide gli Anelli dei Sistemi Esterni, le Polveri di Landara e Chila, i mondi collegati di Alderamin, le nebulose del Cigno e gli ammassi di galassie ai confini del Creato, fino a spingersi oltre le creazioni della materia. Stelle, stelle ovunque, pulsanti, vive, abbacinanti nella grande lotta tra Luce e Buio. Stelle che parlavano, che narravano misteri tramite l’Angelo Triste.
E Lusilla ascoltava il suo canto, poco prima che sparisse nel volgere di un battito di ciglia… il canto della Nostalgia, della casa lontana e persa in quel fantastico turbinio di astri fiammeggianti.
“Come puoi essere così triste, tu che conosci tante meraviglie?”
“Sono solo da tanto tempo. Sono così… lontano da ciò che amo davvero”
“E’ tutto così bello. Che tu sia qui… anche se soffri… la tua sofferenza è dolce e nobile…come il tuo sorriso. Vorrei aiutarti. Vorrei indicarti la strada che hai perso ma non posso. Mi sento inutile. Cosa posso fare per te?”
“Nulla di più di quanto tu non faccia adesso, Piccola Luce. Mi hai mostrato una stella che non avevo mai visto né conosciuto prima. Una stella che riscalda”
“Non capisco”
“No. Tu capisci. Tu hai sempre capito”
Notti luminose sul Rocciacane. Occhi spalancati sugli abissi infiniti, lontani. Storie magiche e immagini non destinate alla contemplazione di sensi umani. Comunicazione nel Silenzio, nel Grande Silenzio.
Di giorno Lucilla lavorava come al solito nei campi ed era affaccendata in varie incombenze al villaggio. A molti però non era sfuggito il cambiamento subito dalla giovane. Se un tempo l’attività febbrile mirata all’immediata esigenza di sopravvivenza, che ogni tipo di lavoro richiedeva, aveva interamente assorbito tutta la sua attenzione ed applicazione, ora sembrava che altri fossero i suoi pensieri, pensieri remoti e lontani. Nei suoi occhi la luce vitale che tutti avevano imparato ad amare si era trasformata, era mutata in qualcosa di diverso, strano e incomprensibile. Lusilla sembrava persa oltre lontani orizzonti sconosciuti, rapita in un’estasi soprannaturale, come se avesse conosciuto cose proibite al di là dell’umana esperienza e ne fosse stata vittima. La gente cominciò a provare una vaga irrequietezza e non si trovò più pienamente a proprio agio in presenza della ragazza. Ma i bambini continuavano ad amarla come sempre, ascoltando rapiti le strane favole che raccontava loro. L’anziano del villaggio, che ora era davvero anziano, borbottò qualcosa alla comunità, un giorno, ma pochi lo compresero bene: ” Lusilla ha in sé qualcosa di angelico. Vede e sente in modo diverso da noi. E io vi dico che non resterà per sempre al villaggio. No, non resterà ancora a lungo…”
C’erano strane luci, la notte, sul Rocciacane.
L’Angelo triste stava morendo.
L’aura interiore che emanava si stava esaurendo e nella sua voce c’era stanchezza e rassegnazione. Lusilla se ne accorse e anche le stelle parvero brillare di luce più soffusa.
“Me ne andrò presto, Piccola Luce”
“Hai ritrovato la strada che avevi perso?”
“No. E’ troppo tardi. L’aiuto che attendevo non giungerà in tempo. Tuttavia tornerò comunque a casa”
“Mi lascerai?”
“Sì. Ti lascerò. Ma tu sarai qui ad accogliere i miei simili e sarà grazie a te che io potrò tornare a casa”
“Grazie a me? Io sarò cieca, muta e sorda, senza di te!”
L’Angelo Triste sollevò nel palmo della mano l’azzurra Sfera dai contorni indefiniti con la quale comunicava col cielo, debolmente opalescente.
“Questo Occhio Parlante… te lo lascerò. E’ importante che tu lo consegni a chi verrà dopo di me. Solo tu puoi farlo, ora. Fino a che questo oggetto resterà qui io non potrò mai realmente lasciare questo posto…”
“Ma perché… perché stai morendo?”
“Non te lo posso spiegare. Ma ascolta… tutta quella magnificenza che vedi ruotare, lassù… è gelida ed infinita, non riscalda. Io… ho… freddo. Il freddo degli spazi infiniti, silenziosi ed oscuri… una diaccia solitudine… Tu per un po’ sei stata l’unica vera luce che io abbia potuto… vedere e sentire… ma non è sufficiente…”
“Non parlare più. Lascia che ti riscaldi”
Lusilla si strinse all’Angelo Triste. Strani segreti furono sussurrati quella notte. Segreti dolci e meravigliosi e le stelle tacquero, trattenendo il respiro.
La rossa Aldebaran col suo lieto e gaio corteo di azzurre Iadi era altissima nel cielo ed Orione si muoveva lento e solenne dietro al Toro. La Luna era già tramontata oltre le montagne e la notte si era fatta veramente buia.. Raggomitolata vicino all’Angelo Triste Lusilla piangeva in silenzio.
“Ascolta per l’ultima volta i celesti discorsi, Piccola Luce, e non provare dolore. Che sia il meraviglioso del Mistero a commuoverti, piuttosto”
“Non voglio più ascoltare. Il Mistero che cercavo è una cosa arida e non mi aiuterà. Non è cosa per me”
“Oltre i Regni della Luce e del Buio, esiste un Mistero che è tale anche per me. Non ti gioverà conoscerlo ma continuando a cercarlo tu mi hai aiutato e hai aiutato anche la gente del tuo villaggio. Hai potuto comprendere il linguaggio delle Sfere, che era già in te. Hai conosciuto molte cose, cose che nessun uomo conoscerà mai, per molto tempo… io ti ho fatto un Dono per il futuro. Questa notte me ne andrò ma tu devi promettermi che salirai ancora sul Rocciacane, anche se non potrai più udire le storie del Cosmo. Verrà qualcuno cui tu dovrai consegnare il mio Occhio parlante, poiché tutto ciò che sono è contenuto nel suo interno e deve tornare a casa”
“Te lo prometto. Tornerò qui”
“Ascolta per l’ultima volta, Piccola Luce…”
“Cantami del tuo mondo, di casa tua…”
“No. Ora canterò per te. E sia il riposo il balsamo per il tuo dolore”
“Dormi, Piccola Luce,
Dormi nel Gran Mare di Soli,
Nel Gran Mare di Astri e Sogna.
Di tutte le stelle la più piccola,
Di tutte le stelle la più viva, la più calda.
Persa nel vorticoso girotondo luminoso,
Non vedendoti ti ho trovata e sono con te.
Dormi, Piccola Luce,
Dormi nel gran Mare di Soli,
Nel Gran Mare di Astri e Sogna.
Non vedendoti, sarò con te”
Alla luce incerta dell’Occhio Parlante, tra le braccia dell’Angelo Triste, Lusilla si addormentò. Al suo risveglio scoprì che, sebbene la tenesse ancora stretta a sé in un tenero abbraccio, l’Angelo Triste se ne era andato.
Le voci correvano nel villaggio, voci concitate, preoccupate.
“Lusilla non sorride più!”
“Il raccolto è perso. Il bestiame muore e la malattia è tornata!”
“Si parla di nuove invasioni. Eserciti mercenari in arrivo!”
“Lusilla non sorride più! La gente ha paura!”
L’anziano, in letto di morte, mormorò: ” Se ne andrà così come è venuta. Ricordatela e ricordate il tempo in cui avete conosciuto la gaiezza…”
Le notti erano gelide sul Rocciacane, accanto alla tomba di pietra.
Le stelle erano lontane ed estranee, silenziose ed aliene, fredde ed irraggiungibili.
Lusilla attendeva, conservando l’opaca Sfera azzurra, attendeva accanto al tumulo e non considerava più amiche le tremolanti gemme siderali, non ricercava più il loro Mistero. Per due lunghi anni attese e mai più sorrise per tutto quel tempo. Vi furono scontri cruenti nei campi, la gente deperiva sempre più, la morte falciava il suo raccolto.
Ma una notte d’inverno, buia e profonda, stava per giungere. La notte in cui tra le azzurre Pleiadi velate da un impalpabile manto si accese un rosso bagliore di fuoco, che discese dritto e sicuro sul Rocciacane. Lusilla lo vide e sentì la Sfera riscaldarsi nelle sue mani. Un enorme globo vermiglio galleggiava sulla sua testa e quasi senza che se ne accorgesse tre Angeli avvolti nel loro nero manto apparvero nella rada rocciosa, alti e maestosi. La giovane si avvicinò alle tre figure e consegnò l’azzurra Sfera, come aveva promesso.
L’Occhio Parlante dell’Angelo Triste brillò come se fosse vivo nella mano di chi lo ricevette, comunicando in qualche modo misterioso coi nuovi venuti. Dopo alcuni minuti l’Angelo che stava davanti alla ragazza parlò, con voce dolce, simile a quella udita molto tempo prima.
“Tu che hai amato le stelle e sei stata accanto al nostro compagno, sappi che tutti i suoi ricordi, le sue sensazioni e pensieri, i suoi desideri e tutto di lui sono stati conservati e non sono andati persi. Grazie a te, ora torneranno a casa. Vuoi venire con noi…” l’Angelo esitò, prima di concludere “… Piccola Luce?”
Lusilla guardò la tomba alle sue spalle.
“Voglio restare vicino a lui”
L’Angelo la fissò, silenzioso, poi parlò nuovamente.
“Poiché il suo corpo ora appartiene a questo posto e non potrà tornare alle stelle, saranno allora le stelle a venire qui”
L’Angelo consegnò a Lucilla una rossa gemma pulsante come un cuore, apparsa magicamente nella sua mano.
“Ponila sul tumulo. Farà sempre caldo quassù e tu potrai comprendere nuovamente i segreti del Cosmo, da sola. Quando i tuoi occhi saranno stanchi e le palpebre ti si chiuderanno, noi torneremo e porteremo la tua luce oltre l’Anello Esterno di Soli, dove raggiungerai nuovamente il tuo…” L’alta figura sembrò esitare ancora “… Angelo”
Lusilla annuì e i tre Angeli neri svanirono. Qualcosa di scarlatto guizzò veloce nel cielo verso le Sette Sorelle, senza alcun rumore. La ragazza pose la gemma splendente sulla tomba dell’Angelo Triste, tra i blocchi di pietra grezza. Un piacevole tepore avvolse subito la rada ed un meraviglioso e mai dimenticato chiacchierio siderale tornò a farsi udire, comprensibilissimo. E il Mistero fu nuovamente vivo, le stelle si animarono e tornarono a narrare i loro segreti. Lusilla si tolse le inutili vesti, sentendo una calda carezza spiegarsi sulla pelle nuda, e si sdraiò presso il tumulo. C’erano lacrime nei suoi occhi, ma non dolorose, il sorriso sulle sue labbra.
E la notte era bellissima.
Nel piccolo cimitero del villaggio, i bambini, che non erano più tanto piccoli, si radunarono sulla tomba del saggio anziano.
“Padre, Lusilla è tornata a sorridere come un tempo e abbiamo avuto un buon raccolto. Se come dicesti tu un giorno dovesse andarsene per sempre, noi ricorderemo e forse avremo ancora buoni raccolti…”
Lusilla ascoltò, immersa nel rosso e caldo lucore, le storie di Alnitak e della gemella Alnilam e della gemella di entrambe Mintaka, delle nebulose oscure e luminose, dei Sistemi Esterni e dell’Universo intero. Il tempo passò e quando infine si sentì davvero stanca e bisognosa di fare il Lungo Sonno salutò per l’ultima volta l’Angelo Triste. Non fu però la rivelazione del Mistero dei Misteri l’ultima cosa che udì dalle sue amiche celesti. No, fu un’altra voce, conosciuta tanto tempo prima, a sussurrare quel dolce canto che l’avvolse in ciò che sembrò il più tenero degli abbracci.
“Dormi, Piccola Luce,
Dormi nel Gran Mare di Soli,
Nel Gran Mare di Astri e Sogna.
Di tutte le stelle la più piccola,
Di tutte le stella la più viva, la più calda.
Nel Gran Mare di Astri, Sogna.
Non vedendoti, io sarò con te”
E dalle azzurre Pleiadi, una stella rossa si staccò e discese dritta e sicura sul Rocciacane. Il globo infuocato galleggiò sulla sua testa, silenzioso, e Lusilla sentì presenza amiche tutt’intorno. Le stelle sbiadirono, gli occhi si chiusero.
Così venne il momento per colei che era stata Lusilla, la fanciulla dai capelli neri come l’ebano e grandi occhi scuri e profondi sul luminoso sorriso, di raggiungere l’Angelo Triste.
Sono tante e diverse tra loro le leggende nate col tempo sulla rossa gemma del Rocciacane, che brilla nel buio a metà della brulla collina dalla forma canina. I contadini della Piana la vedono di notte e sono timorosi poiché chi vi è salito nulla ha trovato se non un tumulo di pietra simile ad una rozza tomba. Le stelle lassù sono anormalmente vivide e brillanti e tutt’intorno c’è uno strano tepore, anche nelle notti più gelide. Strane visioni hanno colto gli uomini che si sono trattenuti presso la tomba, spaventandoli. C’è chi narra di fantasmi, elfi e demoni, c’è chi pensa che il rosso rubino notturno sia il cuore cristallizzato dell’enorme cane di roccia che dorme e sogna strane cose. Ma dietro alle leggende c’è una storia che nessuno conosce. La storia di Lusilla e del suo incontro con l’Angelo Triste.
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